UNIVERSITÀ E SCUOLA

Siamo un Paese per studenti?

Dall’intervento di Federica Laudisa, dell’Osservatorio regionale per l’università e per il diritto allo studio universitario della Regione Piemonte, a un recente incontro sui temi dell’università. Il documento originale e il video dell’intervento sono pubblicati su Roars.it.  

Per essere un Paese per studenti occorrerebbe innanzitutto avere una visione politica del sistema universitario che comprenda oltre alla ricerca e alla didattica anche i servizi agli studenti, come in modo lungimirante sosteneva alcuni anni or sono anche Achim Meyer auf der Heyde del Deutsches Studentenwerk, l’associazione nazionale tedesca degli enti per il diritto allo studio.

Perché il sostegno agli studenti garantisce pari opportunità di accesso agli studi universitari (attraverso l’aiuto economico); assicura delle condizioni di vita socialmente sostenibili (tramite mense e residenze); favorisce il completamento del percorso accademico (attraverso i servizi di counseling); supporta gli studenti internazionali (con programmi culturali); facilita la transizione nel mondo del lavoro (con i Career Services). Questo è il significato che assumono i servizi agli studenti in Germania. Mentre in Italia la catena già debole che lega didattica e ricerca ha al suo interno un anello ancora più debole che sono i servizi agli studenti.

Un Paese per studenti quanto meno garantisce la borsa a tutti gli studenti che ne hanno diritto, con criteri di accesso uguali a prescindere dalla sede di studio, mentre da noi nel 2013-14 46.000 studenti idonei non hanno ottenuto alcuna borsa di studio, e a seconda delle sede di studio è stato richiesto un limite Isee diverso. È chiaro che la figura dell’idoneo non beneficiario potrà scomparire solo grazie alla revisione del sistema di finanziamento: ovvero non solo più risorse, ma anche maggiore chiarezza circa chi paga cosa tra Stato e Regioni. Siamo l’unico Paese che finanzia le borse di studio con tre fonti di finanziamento, lo Stato, le Regioni e le entrate da tassa regionale per il diritto allo studio [a carico degli studenti] e non è in grado di dare la borsa a tutti gli idonei.

Un Paese per studenti informa gli studenti prima dell’iscrizione se hanno diritto alla borsa: non è la borsa di studio che fa cambiare la decisione di uno studente di iscriversi o meno all’università se saprà solo a dicembre se ha diritto alla borsa di studio, e se ne ha diritto, se la riceverà. Ma la proposta di inviare un opuscolo informativo sulle borse di studio per via telematica agli studenti delle scuole superiori – iniziativa che non necessiterebbe nemmeno una norma ad hoc – è stata fatta completamente abortire inserendo nella legge di conversione del cosiddetto DL Istruzione (L. 128/2013), l’inciso “secondo modalità da definire con successivo decreto ministeriale”.

Un Paese per studenti supporta un numero congruo di studenti, perché solo l’8% degli iscritti è borsista (contro il 18% della Germania, il 19% della Spagna e il 27% della Francia, dati 2012-13). Sebbene già nel 1963 la Commissione d’indagine sullo stato e lo sviluppo della pubblica istruzione, con una visione ampia, mirasse a passare dall’8% al 17% di iscritti beneficiari di assegno nel 1970-71, dopo 50 anni la percentuale è rimasta ancora ferma all’8%.

Un Paese a misura di studente, inoltre, dispone di un numero congruo di residenze. Soltanto il 2% degli studenti in Italia alloggia in una residenza universitaria (all’ultimo posto, a pari merito con il 2% di Malta e dopo il 5% di Bosnia-Erzegovina, dati 2014-15 Eurostudent V). La Commissione sopraccitata nella relazione del 1963 stimava un fabbisogno di almeno 50.000 posti-letto, nel 2014 ce ne sono 40.000.

Infine, monitora sistematicamente la politica per il diritto allo studio per capire dove si sta andando e dove andare anziché attuare interventi spot di breve respiro e dubbia efficacia. Basti ricordare l’ultimo, in ordine temporale: le borse per mobilità per studenti particolarmente meritevoli istituite a favore degli immatricolati con il cosiddetto Decreto del Fare con un finanziamento di 17 milioni di euro per il triennio 2013/14-2015/16, di cui si ignorano gli esiti. Quanti studenti ne hanno beneficiato, quanti l’hanno mantenuta? Queste borse hanno raggiunto lo scopo per cui sono state introdotte? Non se ne hanno notizie. Questi 17 milioni avrebbero potuto invece essere spesi per pagare il contributo di mobilità internazionale (ammonta attualmente a circa 5 milioni di euro) a tutti gli idonei, perché solo la metà dei richiedenti oggi ne è beneficiario.

Le condizioni per essere un Paese per studenti sembrano ai confini della realtà, ma sono la realtà in altri paesi. Si possono raggiungere.

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