SOCIETÀ

Siamo umani perché abbiamo il naso

Si chiamano Sensory maps e aiutano ad orientarsi tra profumi e odori delle città del mondo (ma anche tra sapori e “consistenze”). Tra tutte, e prima di tutte, New York - con i profumi di popcorn, caffè e bergamotto che escono dai negozi o l’odore di sigaro, cocco, aftershave e urina dei vicoli - poi Edimburgo e Glasgow, Parigi, Pamplona, Amsterdam e Milano. È la versione contemporanea e metropolitana di quel grand tour dei sensi che, da secoli, attraversa culture e civiltà, ispirando pagine d’arte e letteratura. Un viaggio che si presenta come avventura di scoperta, capace di emozionare e stimolare la memoria, ora trasformandosi in poesia dall’incontro con Venezia e le sale dedicate al profumo di Palazzo Mocenigo (e la mappa olfattiva lungo le Vie delle Spezie percorse dagli antichi veneziani), ora assumendo i toni più attuali della denuncia con Città del Messico, dove i livelli troppo alti di inquinamento hanno “scippato” l’olfatto agli abitanti. 

“Le città sono odori – scriveva il palestinese Mahmoud Darwish nell’opera In presenza d’assenza - Una città, qualsiasi città, che non sia riconoscibile dal suo odore non merita di essere ricordata. L’odore è memoria, è tramonto”, può evocare un ricordo intimo e lontano nel tempo. Lo raccontò Marcel Proust (nota è la sindrome che porta il suo nome) con le madeleines e l’hanno confermato poi, negli anni, diverse ricerche, tra cui uno studio, pubblicato sulla rivista scientifica Plos One e condotto tra gli altri dalle università di Aichi e Tokyo, che ha collegato i profumi alla memoria autobiografica e, in particolare, a un’emozione positiva che farebbe persino bene alla salute. Ma un odore può essere collegato anche a un’emozione estremamente negativa. E sempre di memoria olfattiva si tratta. A sostenerlo è un recente studio portoghese, pubblicato a fine gennaio, sempre sulla rivista Plos One: “Ogni individuo ha un odore corporeo unico, paragonabile a un’impronta digitale – si legge nell’abstract – Nell'indagine forense, si è utilizzata l’identificazione dell’odore corporeo di un colpevole da parte di cani, ma non di esseri umani. Noi presentiamo i primi risultati sperimentali sulla memoria dell’odore corporeo in testimoni coinvolti in crimini violenti”, per dimostrare, dunque, la possibilità di utilizzare questo stesso odore come elemento d’identificazione.

Ma come si può raccontare un odore o un profumo? È possibile esprimere a parole una fragranza? Quanto e come il pro-fumus ha attraversato epoche, culture e immaginari? A queste domande cerca di rispondere Il profumo della letteratura, volume curato da Daniela Ciani Forza e Simone Francescato ed edito da Skira, una raccolta di saggi che riflette sul mistero e la ricchezza dell’universo olfattivo-letterario, dall’antichità ai nostri giorni. Platone, per esempio, diffidava dell’empeiria, cioè dell’esperienza incapace di elevarsi a techne, prediligendo “la condizione in cui l’uomo imprime il suo sigillo alla materia mediante la tecnica”. Secondo il filosofo greco, in una gerarchia dei sensi, a dominare è la vista (da cui nascono le idee), mentre olfatto e gusto si troverebbero ai gradini più bassi proprio perché legati strettamente alla passività umana e meno dotati di slancio cognitivo. “Quel che disturba nel senso dell’olfatto è la passività che induce nell’umano: un qualcosa di proveniente dal mondo esterno ci afferra, s’imprime in noi e modifica il nostro tono esistenziale, indipendentemente dalla volontà – si legge nel libro - Se universalità e libertà sembrano a molti filosofi i contrassegni decisivi dell’umano, l’olfatto e il gusto paiono poco suscettibili di astrazione, ignorando così, simultaneamente, le dimensioni dell’universalità (prevale la singolarità) e della libertà (subiamo il fascino, o la ripugnanza, di odori e gusti)”. 

Se per Platone l’odore e il profumo sono “reliquie di un atteggiamento che precede il pensiero”, capaci di scatenare il “sortilegio che renderebbe gli uomini incapaci di genuina responsabilità”, molti secoli più tardi sarà un altro filosofo a riconsegnare ai sensi quella forza interpretativa in grado di “rendere semplici i fenomeni”. Stiamo parlando di Nietzsche, per il quale non è possibile capire il mondo in maniera diversa da come ce lo manifestano i nostri sensi, “che conferiscono profili nuovi ai fenomeni medesimi, consentendo agli umani non solo di aprirsi al mondo, ma anche di impadronirsene”.

Dalla filosofia alla letteratura, passando per la musica e l’arte. Il viaggio nel tempo alla scoperta del profumo attraversa le quasi 400 pagine del libro muovendosi rapido tra epoche e civiltà, tra sacro e profano. Osserva il mondo greco, supera le resistenze dei romani e attraversa la cultura nipponica con La storia di Genji e l’arte della miscelazione degli incensi. Fino a raggiungere Profumo di Capuana con la fragranza di zagara (“che si attacca alla biancheria, alle vesti, e invade fin la camera durante la notte”), la lezione ottocentesca di Zola che alla morente Albine, ne Il fallo dell’abate Mouret, fa ‘ascoltare’ i profumi tramutatisi in note, o la Madama Butterfly di Puccini che odora di verbena. Segue la scia pungente del garofano in Uomini e Topi di Steinbeck e l’inebriante cannella, in viaggio dall’Oriente alla terra lusitana. E, ancora, la rosa senza più fragranza citata, nel 1964, da Arthur Miller nel ricordo pallido di Marilyn Monroe, scomparsa due anni prima e associata invece, dai più, alle due gocce di Chanel n.5: “Come si fa a rievocare l’amore? – si chiedeva Miller - È come se stando nel fondo di una cantina tentassi di ricordare il profumo di una rosa. Il colore sì: più o meno ci riesci. Ma il profumo? E cos’è la verità della rosa se non il suo profumo?”. 

Il volume attraversa luoghi e tempi, dà conto della Mistica dell’olfatto dello scrittore e pittore Josef Váchal (in cui un universo visivo e visionario si fonde e confonde con la natura attraverso odori e profumi), non dimentica il romanzo Profumo di Süskind e incrocia le esperienze di figure come Gabriele D’Annunzio e il suo “naso voluttuoso”, o come il francese Edmond Roudnitska, profumiere filosofo (1905-1996) che conquistò la fama lavorando per Dior. All’epiteto ‘naso’, Roudnitska preferiva quello di ‘compositore’ perché “il profumo – diceva - come tutte le opere d’arte, è una creazione dello spirito, poiché solo lo spirito è in grado di ricombinare e rielaborare i ricordi olfattivi fino a ottenere una nuova, originale sintesi. Io non compongo i miei profumi con il naso ma con il cervello e, anche se perdessi l’odorato, potrei ancora inventare e comporre profumi. Beethoven era sordo quando ha composto la Nona”.

Francesca Boccaletto 

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