CULTURA

Mistica e modernità, tra incomprensioni e sorprese

“La mistica è l’anti-Babele – scriveva Michel De Certeau: gesuita, antropologo, linguista e molte altre cose ancora –, è la ricerca di un parlare comune dopo la sua frattura, è l’invenzione di una lingua ‘di Dio’ o ‘degli angeli’ che copre la disseminazione delle lingue umane”. Alle parole dell’intellettuale francese si ispira il volume L’anti-Babele (pubblicato da poco da il melangolo e curato da Isabella Adinolfi, Giancarlo Gaeta e Andreina Lavagetto), che riunisce i contributi di alcuni tra i maggiori studiosi italiani del fenomeno religioso: da Mauro Pesce a Massimo Cacciari, da Giovanni Filoramo a Giovanni Vian.

Tema centrale, come suggerisce il nome completo dell’opera, è la mistica: per sua natura fenomeno personalissimo e quasi incomunicabile, ma nondimeno capace attraverso i secoli di fecondare la storia e la cultura, non solo religiose. Un’influenza che continua ancora oggi, anche se in maniera più sotterranea e inaspettata, persino in un Occidente laico e secolarizzato. Se infatti le confessioni tradizionali oggi appaiono in crisi, è pur vero che spesso il bisogno inappagato di spiritualità riemerge sotto altre forme, magari più magmatiche e apparentemente indefinite.

“Dopo la frantumazione della christianitas infatti l’Europa non ha trovato alcun altro principio religioso unificante né alcuno se ne prospetta, capace di vincere il nichilismo che la consuma”, scrive nel suo contributo Paolo Bettiolo, già docente di storia del Cristianesimo presso l’università di Padova, a cui il volume è dedicato. Lo studioso però allo stesso tempo nota “un inatteso fervore, una bullitio ed ebullitio, verrebbe da dire, in cui la religione del futuro si prepara nello scontro e nella selezione di proposte diverse”. E in questo instabile equilibrio, dove l’importanza della dottrina e dei dogmi sembra venir meno, è proprio l’esperienza mistica a riguadagnare un ruolo di primo piano, accanto a tutte quelle pratiche che in generale sembrano ricollegare spiritualità e benessere, interiore ed esteriore: dallo yoga alle arti marziali, dai gruppi di meditazione trascendentale al cammino di Santiago.

Spesso infatti la strada verso l’ascesi è molto più concreta di quanto sembri, e come tale può essere un ponte tra credenze e concezioni diversissime tra loro. Non è un caso che il grande storico delle religioni Rudolf Otto, autore della monumentale monografia sul Sacro, non temesse di accostare Meister Eckart a un pensatore e asceta indiano come Shankara, fondatore della scuola induista dell'advaitavedānta.

La mistica però non è solo un ponte tra Occidente e Oriente, ma anche tra cultura religiosa e quella laica, arrivando addirittura a lambire il pensiero scientifico, come si vede ad esempio in alcune nozioni fondamentali come quelle di evoluzione e di inconscio (lo mette bene in luce Luca Crescenzi). Il tema del rapporto con il sacro percorre infatti tutte le branche della cultura europea: dalla politica (come evidenzia Massimo Cacciari nel suo saggio su Dante) alla filosofia, come in Pascal e in Kierkegaard, impareggiabili anticipatori ed esploratori delle ansie moderne. Un tema vivo e fecondo anche quando, come in Nietzsche, l’ascolto o il dialogo con il trascendente lasciano invece spazio al confronto e alla ribellione. Anzi: quella del filosofo e filologo prussiano, figlio di un pastore luterano, si configura a un certo punto come una vera e propria “mistica senza Dio”, secondo la definizione che il filosofo Giorgio Brianese applica anche a Schopenauer e a Carlo Michelstaedter. Dalla letteratura religiosa infatti i pensatori moderni spesso prendono a prestito non solo forme ed espressioni – Così parlò Zarathustra si presenta per molti versi come un libro iniziatico – ma anche la perenne tensione all’andare oltre i limiti di un ragionamento percepito come freddo e sterile.

Ma non è tutto, perché una profonda tensione religiosa anima anche l’arte moderna, “non più cristiana ma estetica e letteraria – scrive nell’introduzione il curatore Giancarlo Gaeta –, impegnata a ritrovare la potenza della parola, il suo puro suono interiore”. Lo vediamo in Rilke, Kandinscky, Klee e Schönberg; nelle poesie di Ungaretti e di Montale così come nei romanzi e nei racconti di Don DeLillo e Flannery O’Connor, con il loro impegno costante – scriveva Joseph Conrad – a proporre al nostro sguardo “quei particolari di vita concreti che danno realtà al mistero della nostra posizione sulla terra”.

Un filo, quello tra fede e vita, religiosità e cultura, che negli ultimi anni sfilacciarsi sempre più, ma non del tutto. Forse anzi un giorno toccherà proprio alla mistica – sono sempre le parole di Gaeta – “resistere sulle macerie di un ‘cristianesimo in frantumi’, nonché di una Europa in perdita d’identità”. Per tentare forse di ridare una lingua comune a un continente che sembra aver perso se stesso.

Daniele Mont D’Arpizio

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