SCIENZA E RICERCA

Covid-19: una ricerca Unipd svela il possibile manifestarsi di segni neuropsicologici specifici

Da quando il virus SARS-CoV-2 è stato identificato gli scienziati hanno cercato di comprendere ogni aspetto del suo comportamento e sono sempre più gli studi che confermano la capacità del patogeno di minacciare anche il sistema nervoso. E’ già noto che nei casi gravi la malattia può presentarsi in forma sistemica, andando ad aggredire non solo i polmoni ma anche fegato, reni, intestino, cuore e vasi sanguigni attraverso meccanismi spesso facilitati dall’iper-reazione del sistema immunitario. Sotto bersaglio può finire anche il cervello: uno dei sintomi più tipici di SARS-CoV-2 consiste nella perdita del gusto e dell’olfatto, fattore che ha portato al sospetto che il virus sia capace di penetrare, attraverso il bulbo olfattivo, nel sistema nervoso centrale. La ridotta ossigenazione e i disturbi della coagulazione associati a SARS-CoV-2 possono inoltre favorire la comparsa di ictus ischemici o emorragici. Le complicazioni neurologiche legate all’impatto del virus sul cervello sono molteplici, come già ampiamente descritto da Monica Panetto in questo articolo su Il Bo Live, e si è arrivati a parlare di Neurocovid proprio in riferimento alle manifestazioni cliniche che coinvolgono il sistema nervoso e che possono arrivare a comprendere anche sintomi psichiatrici e comportamentali.

Ad aggiungere un nuovo importante tassello al filone di ricerca dedicato all’impatto di SARS-CoV-2 sul cervello è uno studio condotto dal professor Konstantinos Priftis del dipartimento di Psicologia generale dell’università di Padova, in collaborazione con le psicologhe Lorella Algeri e Simonetta Spada e con la fisiatra Stella Villella dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Il lavoro è appena stato pubblicato sulla rivista Neurological Sciences ed è il primo ad aver svelato la possibilità che il nuovo coronavirus si manifesti anche attraverso specifiche difficoltà cognitive come la perdita della capacità di scrittura o l’incapacità di ripetere le parole udite, un disturbo denominato afasia di conduzione. Lo studio, intitolato “COVID-19 presenting with agraphia and conduction aphasia in a patient with left-hemisphere ischemic” è partito dall’indagine di un paziente di 53 anni in cui l’infezione da SARS-CoV-2 si era manifestata, oltre che con lievi evidenze respiratorie, anche con segni neuropsicologici altamente specifici.

Al momento del ricovero il paziente non presentava sintomi facilmente riconducibili a Covid-19: l'uomo prima di entrare in ospedale aveva avuto qualche giorno di febbre ma era ormai passata, non aveva complicazioni polmonari e il tampone era negativo. Dai test sierologici disposti dal protocollo il paziente è però risultato positivo agli anticorpi per SARS-CoV-2 e la risonanza magnetica ha rivelato la presenza di embolie multiple nell'emisfero cerebrale sinistro. L'ictus, ci ha spiegato il professor Priftis, era stato con ogni probabilità causato proprio dall'azione del virus dato che il paziente non presentava nessuno dei tipici fattori di rischio. I successivi esami neuropsicologici hanno poi permesso di accertare l'esistenza di particolari difficoltà cognitive, mentre il resto delle funzioni mentali era rimasto intatto. Per questo motivo, sottolinea il primo autore dello studio, può essere molto importante inserire un’attenta valutazione neuropsicologica tra i test diagnostici per la valutazione del SARS-COV-2. 

L'intervista a Konstantinos Priftis, docente del dipartimento di Psicologia generale Unipd, primo autore dello studio che ha svelato la possibilità che Covid-19 si manifesti con segni neuropsicologici specifici. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Il paziente oggetto del nostro studio - ricostruisce il professor Konstantinos Priftis, primo autore dell'articolo pubblicato su Neurological Sciences - arrivò nella clinica neurologica dell’ospedale di Bergamo inizialmente con i segni di un comune ictus: aveva difficoltà con il linguaggio e con la parola ed era un po’ agitato dal punto di vista comportamentale. Considerata la sua storia clinica, caratterizzata dall'assenza di precedenti eventi ischemici e di fattori di rischio, e valutato che in precedenza l’uomo aveva avuto una febbre prolungata, pur non avendo manifestato i classici segni respiratori dell’infezione, i colleghi neurologi lo hanno sottoposto al protocollo per Covid-19. Il tampone è risultato negativo ma gli esami sierologici hanno rivelato la presenza di anticorpi per SARS-CoV-2. Il paziente quindi era arrivato in ospedale a causa di un ictus trombo-ischemico che però molto probabilmente era stato causato non dai soliti fattori di rischio, come diabete, ipertensione o elementi genetici, ma dall’azione del virus. Una volta fatta questa segnalazione il caso è stato subito riferito alla struttura con cui collaboro, una struttura di riabilitazione specialistica dell’ospedale di Bergamo, e a partire da quel momento abbiamo immediatamente approfondito il quadro neuropsicologico del paziente".

Gli accertamenti hanno permesso di rilevare la specificità dei segni neuropsicologici provocati dalla lesione ischemica e l'assenza di difficoltà mentali generalizzate. "Non ci siamo limitati - spiega il docente del dipartimento di Psicologia generale dell'università di Padova - alle descrizioni generali, allo stabilire se il paziente fosse o non fosse confuso. Al riguardo voglio precisare che l’uomo non era assolutamente in stato di confusione, non aveva alcuna idea delirante e non c’era nessuno dei segni generalizzati già presentati in letteratura nei casi in cui Covid-19 colpisce il cervello. Al contrario, il nostro paziente aveva segni neuropsicologici specifici: aveva perso la capacità di scrivere e aveva una difficoltà, seppur più lieve, nel ripetere le parole udite, un disturbo che tecnicamente si chiama afasia di conduzione. Tutte le altre funzioni mentali, come la lettura, la memoria, la capacità di parlare spontaneamente, capire il linguaggio ed effettuare azioni complesse con gli arti erano completamente intatte".

Fortunatamente la lesione era circoscritta e il paziente è stato curato in una struttura specializzata nella riabilitazione neuropsicologica. "Il decorso - prosegue il professor Priftis - è altamente positivo e l’uomo sta recuperando in modo soddisfacente. Questo ci fa capire non solo la necessità di una valutazione neuropsicologica delle difficoltà cognitive a cui possono andare incontro i pazienti Covid-19, ma anche l’estrema importanza che queste persone siano seguite in modo appropriato una volta passata la fase acuta della malattia. I pazienti possono infatti negativizzarsi e il virus può andare via, ma i disturbi cognitivi possono restare e serve una riabilitazione neuropsicologica con esercizi specifici per la scrittura e la parola. Nella sua sfortuna il paziente è stato ricoverato a Bergamo, che come sappiamo è stata una delle città maggiormente colpite dal Covid-19 e lì tutte le strutture cliniche, sia quelle direttamente coinvolte nella presa in carico delle persone colpite dal virus, ma anche quelle neurologiche e riabilitative sono altamente preparate non solo a valutare se un paziente positivo a Covid-19 manifesta difficoltà cognitive, ma anche la situazione opposta e cioè la possibilità che proprio la presenza di un problema cognitivo sia una spia sentinella del nuovo coronavirus. C’è un approccio diagnostico molto dettagliato e bidirezionale che garantisce che questi pazienti vengano seguiti e trattati nel modo più appropriato. Il paziente oggetto della nostra pubblicazione non è l’unico ma è solo il primo di una serie di casi che stiamo attualmente studiando: ci sono anche altre persone che hanno segni neurologici specifici e circoscritti e questi soggetti vengono avviati ad un processo di riabilitazione neuropsicologica e ad interventi logopedici, sulla base della sede della lesione riscontrata perché è da questa che dipendono i segni e i sintomi manifestati".

Il professor Konstantinos Priftis puntualizza che i segni neuropsicologici osservati nel paziente oggetto dello studio possono manifestarsi anche in seguito ad un evento ischemico non collegato a Covid-19. "L’agrafia può verificarsi anche in persone colpite da ictus per cause indipendenti dall'azione di SARS-CoV-2. Il risultato non cambia, quello che varia è l’origine dell’episodio ischemico. Noi cerchiamo di far passare il messaggio che i pazienti Covid possono necessitare di una valutazione dettagliata delle funzioni cognitive, le tabelle generali dove si parla di agitazione o confusione non sono esaustive". A caratterizzare la tipologia di ictus legata a Covid-19 è però la presenza di più occlusioni in parallelo. "I colleghi neurologi - approfondisce Priftis - sottolineano che negli ictus classici è raro, sebbene non impossibile, che si presentino occlusioni parallele di diverse arterie. E le occlusioni che abbiamo riscontrato nel nostro paziente difficilmente sono riconducibili a episodi avvenuti in momenti diversi del passato perché altrimenti avrebbe manifestato dei sintomi. L’uomo inoltre ha una storia negativa rispetto ad eventi ischemici e le occlusioni riguardavano arterie di una certa grandezza che avrebbero sicuramente provocato delle manifestazioni cliniche. Il paziente aveva una serie di arterie occluse in parallelo e con tutta probabilità questi processi tromboembolici sono stati provocati dal virus SARS-CoV-2. Con altri tipi di virus in genere l’occlusione si limita ad una sola arteria e i segni comunque si instaurano subito con difficoltà a scrivere, camminare, parlare, ascoltare, vedere e così via".

Per il futuro, conclude il professor Konstantinos Priftis, una delle frontiere che il sistema sanitario dovrà fronteggiare sarà quella di valutare un paziente Covid-19 anche dal punto di vista neuropsicologico alla ricerca di indizi sentinella e avviare, quando necessario, una sistematica riabilitazione cognitiva. "Ci concentreremo nello studiare questa nuova serie di pazienti con dei protocolli adeguati comprensivi di tutte le funzioni cerebrali, senza trascurarne nessuna: la memoria, l’attenzione, il linguaggio scritto, il linguaggio orale, la capacità di pensare e ragionare, l'esecuzione di azioni complesse allo scopo di vedere qual è il profilo epidemiologico di queesti disturbi. Sicuramente in seguito approfondiremo anche tutti gli aspetti riabilitativi. E’ una nuova sfida - spiega il docente - perché questi pazienti prima non c’erano e questo vuol dire che i servizi di neuropsicologia devono essere ampliati, i neuropsicologi clinici devono essere presenti dappertutto e ritengo che anche nelle strutture di accoglienza acuta ci debba già essere un neuropsicologo clinico che sia in grado di effettuare un breve test che possa coprire tutte le funzioni cognitive e darci delle informazioni utili su dove avviare e come programmare l’eventuale riabilitazione".

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