SCIENZA E RICERCA

Non solo Venezia: un territorio fragile in cui serve pianificazione

Italia ancora in ginocchio a causa del maltempo. Da nord a sud sono molte le regioni colpite da forti piogge che hanno causato disagi, strade chiuse, smottamenti e frane. A Torino sono stati allagati i Murazzi e il Borgo medievale. Lungo la Torino-Savona è crollato un tratto di viadotto. A Venezia il picco di 140 centimetri di acqua alta previsto per domenica 24 novembre non c'è stato: sono stati raggiunti i 130 centimetri a Punta della Salute e 136 alla diga di Lido San Nicoletto. Ma è previsto che i limiti della marea si manterranno su valori elevati anche questa settimana. In molte altre zone del Veneto è allerta arancione per lunedì 25 novembre.

“Ormai da alcuni anni si presentano scenari incidentali molto importanti e diversificati – sottolinea riferendosi alla nostra regione Loris Munaro, direttore interregionale dei Vigili del Fuoco Veneto e Trentino Alto Adige, a Padova per un convegno –. L’ultima settimana è stata molto critica, in quanto sia la laguna, e quindi la città di Venezia, ma anche la montagna hanno sofferto moltissimo per una situazione meteorologica particolare, unica nel suo genere anche per la presenza di venti forti che ormai sono la caratteristica fondamentale di questi eventi”. Forti mareggiate hanno sconvolto il litorale, Pellestrina è andata sott’acqua completamente; in montagna si sono verificati parecchi smottamenti, ancora in atto nella Val Zoldana e nel Comelico dove la vulnerabilità del territorio si è presentata in tutta la sua pienezza. Dopo la tempesta Vaia dell’anno scorso, sono stati rilevati 93 nuovi siti a rischio valanghe, rispetto a quelli storici già monitorati, peraltro privi di barriere per contenerne la caduta. Scendendo a valle, sono state riscontrate criticità sul Piave e sul Tagliamento.

Intervista a Luigi D’Alpaos, emerito di idraulica all'università di Padova (fino al minuto 4.54) e a Loris Munaro, direttore interregionale dei Vigili del Fuoco. Riprese e montaggio di Elisa Speronello

“La situazione della regione Veneto – osserva Luigi D’Alpaos, professore emerito di idraulica dell’università di Padova – non è delle migliori dal punto di vista della sicurezza idraulica”. D’Alpaos spiega che in montagna il problema principale è dovuto al trasporto di materiale solido e galleggiante e sottolinea che a determinare le situazioni più pericolose sono spesso i fenomeni impulsivi (generati dal crollo di versanti instabili in alveo, dalla formazione di sbarramenti temporanei e dalla loro improvvisa rimozione). Le difficoltà maggiori non sono dovute dunque al contenimento delle portate liquide di piena, quanto piuttosto alla regimazione del trasporto solido.

In pianura – continua – la questione è diversa, perché non esiste importante fiume del Veneto che si trovi in condizioni di sicurezza”. Secondo D’Alpaos tutti gli alvei sono sottodimensionati rispetto alle portate massime in arrivo da monte e quindi è inevitabile che in occasione di eventi importanti si verifichino fenomeni di esondazione, di sormonto delle strutture di difesa arginale. Quando questo accade, molto spesso segue una rottura dell’argine stesso con il coinvolgimento di aree molto estese nei fenomeni di allagamento che ne conseguono.

D’Alpaos si sofferma in particolare sui fatti di Venezia. “Per quanto riguarda la laguna, bisogna dire che il problema resta sempre da risolvere, nonostante le somme importanti che lo Stato italiano ha investito nelle iniziative volte alla difesa dei centri storici lagunari dalle acque alte. Si è optato per una soluzione molto complessa dal punto di vista ingegneristico, forse anche di incerto risultato”. D’Alpaos si riferisce al Mose, l’opera pensata per separare la laguna dal mare in caso di acqua alta, composta da quattro schiere di paratoie mobili installate nel fondale delle bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia. L’ingegnere non si esime dal sottolineare le complicazioni già insorte nei lavori finora eseguiti, osservando che ad oggi non sono noti né i tempi necessari a risolvere queste problematiche, né la somma di cui c’è bisogno per terminare i lavori.

Guarda l'intervista completa a Paolo Mozzi, docente del dipartimento di Geoscienze. Riprese e montaggio di Elisa Speronello

Se questa è la situazione a livello regionale, quali provvedimenti adottare? “Il Veneto – argomenta Paolo Mozzi, docente del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova – è un territorio splendido, caratterizzato da una grande diversità geomorfologica e geologica. È un territorio attivo dal punto di vista geologico e quando l’attività dei processi geologici si interseca con i tempi dell’uomo, la pericolosità insita di un territorio aumenta”. Gli ultimi eventi meteorici inoltre dimostrano ancora una volta come sia anche un territorio fragile, proprio a causa della dinamicità insita nel suo sviluppo. “Dobbiamo ragionare maggiormente in termini di pianificazione territoriale e per questo dobbiamo avere un quadro conoscitivo il più possibile aggiornato”.

Mozzi fa qualche esempio: “Si consideri il problema degli argini fluviali soggetti ai fontanazzi, fenomeno tipico del basso Po: una cartografia geologica dei sedimenti alluvionali può mettere in evidenza quali settori degli argini siano più a rischio e questo permetterebbe di agire preventivamente. Ancora, si possono definire le aree più soggette al fenomeno della subsidenza e quindi, in area costiera e lagunare, più soggette all'innalzamento relativo del livello del mare su tempi medio-lunghi. Per quel che riguarda le frane invece, sono ben note le cause predisponenti (tipologie di rocce, fratturazione, presenza di falda freatica) e quindi, conoscendo la distribuzione di queste caratteristiche, è possibile capire quali contesti siano più soggetti a fenomeni franosi. Ciò, di conseguenza, consentirebbe di mettere in atto sistemi di monitoraggio per verificare eventuali deformazioni e accelerazioni del corpo roccioso (un sistema di questo tipo, ad esempio, è attivo sulla frana del Tessina nell'Alpago)”.

E conclude: “Una conoscenza geologica omogenea e diffusa del territorio può contribuire a mitigare la pericolosità. Purtroppo in Italia solo circa il 44% del territorio è coperta da una moderna cartografia geologica alla scala 1:50.000 (progetto Carg). In Veneto, si arriva solo a circa un terzo”.

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