Particolare del monumento ai bambini di Bullenhuser Damm
Ogni tanto lo danno per morto, salvo constatare che è ancora ben vivo e presente nella nostra società. L’antisemitismo è diffuso nel modo più trasversale: a destra come a sinistra, nei ceti abbienti come in quelli poveri, tra italiani e stranieri, in chi ha fatto le scuole giuste come in quelli che si sono fermati alla terza media. Proprio come 80 anni fa.
A volte si nasconde, come in chi attacca lo stesso diritto ad esistere di Israele – e solo di quello Stato –, altre invece si fa più esplicito, nella violenza dei gesti o nello sfregio di una frase, che sia gridata allo stadio o scritta su un muro. Come ad esempio è accaduto recentemente a Mondovì (Cuneo), dove una mano sconosciuta ha tracciato sulla casa che fu di Lidia Rolfi, partigiana deportata a Ravensbruck nel 1944, una stella di Davide con scritto Juden hier: “qui ci sono ebrei”. O a Torino, dove due giorni dopo è comparsa la frase “Crepa sporca ebrea”.
Del resto lo ha spiegato chiaramente Gadi Luzzatto Voghera, storico e direttore della Fondazione Centro di Documentazione ebraica contemporanea (Cdec): gli attacchi antisemiti si concentrano proprio nei giorni immediatamente precedenti o successivi al Giorno della Memoria per le vittime dell’Olocausto, e spesso attingono all’immaginario della Shoah per denigrare, ferire, riaprire piaghe che sembravano cicatrizzate.
Con l’Olocausto il problema non è la storia: dopo decenni di ricerche e di studi abbiamo un quadro chiaro di quello che accadde; la questione vera è la memoria, di come queste nozioni possano uscire dai libri e dalle aule per entrare nel cuore e nella mente delle persone, influenzare i loro pensieri e le loro azioni in modo che quello che è successo non accada davvero mai più. Si collocano in questo contesto le tante iniziative editoriali che ogni anno escono in questo periodo: a volte più o meno di qualità, altre ampiamente giustificate, come nel caso del recente libro Storia di Sergio, di Andra e Tatiana Bucci (scritto con l’aiuto di Alessandra Viola, Rizzoli 2020)
“ Sergio De Simone fu sottoposto ad esperimenti medici e ucciso. Aveva 7 anni
Le sorelle Bucci furono portate ad Auschwitz nel 1944; furono tra i pochissimi bambini, una cinquantina, a sopravvivere al campo in quanto selezionate per il Kinderblock, la baracca dei fanciulli destinati agli esperimenti di Josef Mengele. Da anni Andra e Tatiana hanno deciso di portare la loro testimonianza nelle scuole e nelle occasioni pubbliche in cui è loro richiesto, e ultimamente si sono raccontate in un libro (Noi, bambine ad Auschwitz, Mondadori 2019) e in un film di animazione per la Rai (La stella di Andra e Tati). Oggi tornano a prendere la parola per narrare la vicenda del cuginetto Sergio De Simone: anche lui bambino ad Auschwitz, dove però, a differenza loro, fu effettivamente prelevato e sottoposto ai sadici esperimenti dei medici nazisti.
Quando Mengele venne nella loro baracca, col suo camice bianco sopra la divisa, chiese ai piccoli prigionieri chi voleva rivedere la mamma. Andra e Tatiana, avvertite da una guardiana che si era loro affezionata, restarono zitte; 20 bambini tra i 6 e i 12 anni, metà maschi e metà femmine, non riuscirono a resistere. Tra loro, nonostante gli avvertimenti, c’era anche il piccolo Sergio. La storia che segue, ricostruita attraverso documenti e testimonianze raccolte dopo la fine delle guerra, è puro orrore. Trasportati ad Amburgo e in seguito a Neuengamme, furono intenzionalmente infettati con i batteri della tubercolosi, quindi a tutti furono asportati i linfonodi, con lo scopo di appurare se avevano sviluppato anticorpi. Infine il 20 aprile 1945 le SS decisero di eliminarli, in quanto prove viventi dell’indicibile efferatezza dei loro crimini. Tutti e 20 furono portati di notte in una scuola, la Bullenhuser Damm, dove furono narcotizzati con un’iniezione di morfina e in seguito impiccati ai muri, prima di essere buttati nei forni crematori. Erano tutti di origine ebraica e provenivano da ogni parte d’Europa: Polonia, Francia, Olanda, Slovacchia… il piccolo Sergio, nato e vissuto a Napoli, era l’unico italiano
Oggi Andra e Tatiana Bucci sono due splendide ultraottantenni, tra le ultime testimoni oculari dei lager; il loro non è un libro di storia, anche se in parte è anche questo. Le vicende che raccontano si svolsero a pochi passi da noi, nelle società in cui ancora oggi viviamo, le più opulente – e in teoria istruite – del pianeta. Per tornare al discorso iniziale, storie come questa aiutano a combattere l’antisemitismo? Abbiamo già visto che l’odio e la propaganda non si fermano neppure di fronte alla memoria di Anna Frank. Che senso ha allora raccontarle? Andra e Tatiana potrebbero semplicemente rispondere che non potevano fare altrimenti, che dopo aver narrato la loro vicenda non era possibile tacere su quella di Sergio: quasi fosse un modo di restituirgli in qualche modo la vita che in maniera tanto barbara gli era stata tolta. E di dire che alla fine l’ultima parola non spetta a chi compie l’orrore e la violenza. Mai.
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