SOCIETÀ

A che punto siamo con la sostenibilità in Italia

L’Accordo di Parigi pone l’obiettivo di contenere la temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C e il perseguimento degli sforzi per limitare l’aumento a 1,5°C, rispetto ai livelli preindustriali. Sappiamo che il battito di questo grado e mezzo è sempre più flebile e sappiamo anche che l’Accordo di Parigi è un patto non vincolante che è stato ratificato dall’Italia nel 2016 ma, di fatto, è divenuto operativo a livello internazionale solamente nel 2021. Ciò che ci interessa ora, è cercare d’avere uno sguardo non più globale ma locale sulla road map per arrivare alla neutralità climatica. Nella nostra serie intitolata "Sostenibilità di carta" analizzeremo una serie di documenti e piani governativi che dovrebbero rendere il nostro Paese sostenibile. Lo faremo con uno sguardo aperto sulle questioni ambientali e climatiche, continuando ad aggiornare costantemente anche la nostra serie su “Il clima che vogliamo”. Per capire qual è lo stato dell’arte quindi, non possiamo che andare direttamente alla fonte: il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica.

È proprio il Ministro che ogni anno aggiorna colleghi e cittadini sullo stato di attuazione degli impegni per ridurre le emissioni. Lo fa dal 2009 con una relazione allegata al DEF, cioè il Documento di Economia e Finanza che di fatto è il principale documento di programmazione della politica economica nazionale. La relazione del 2024 porta la firma di Gilberto Pichetto Fratin che ricorda innanzitutto il contesto normativo su cui si inseriscono le varie azioni. Dell’Accordo di Parigi abbiamo già parlato, ma ciò che non abbiamo detto è che al momento dell’adesione a tale Accordo, ogni Paese ha dovuto predisporre quelli che vengono chiamati NDC, cioè ha dovuto comunicare il proprio “Contributo determinato a livello nazionale”. Impegni che dovranno essere rinnovati nel 2025 prendendo in considerazione il periodo 2030-2040. 

Lo stesso Ministro ricorda che l’Unione Europea ha aggiornato il proprio NDC, modificando l’obiettivo vincolante da raggiungere entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 dal 40% di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra al -55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Tale obiettivo è legalmente vincolante, ed è stato integrato nel Regolamento UE 2021/1119, c.d. “Normativa europea per il clima” adottato il 30 giugno 2021. Il macro obiettivo di questa normativa non può che essere quello del raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.

Sempre a livello legislativo ricordiamo anche che la Commissione Europea nel luglio 2021 ha presentato il pacchetto definito “Fit for 55”, che altro non è che una serie di proposte legislative che dovrebbero servire per raggiungere l’obiettivo del -55% netto al 2030 per tutti gli Stati membri.

Nel contesto europeo rientra anche la “Legge europea per il clima”, cioè il Regolamento (UE) 2021/1119 che di fatto mette in legge le direttive del Green Deal. Tra le altre cose questo Regolamento definisce l’obiettivo vincolante per l’Unione di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, definisce un obiettivo intermedio al 2030 di riduzione di emissioni del 55% netto rispetto al 1990, inserisce l’impegno a definire un nuovo carbon budget per il periodo 2030-2050 e un nuovo target intermedio al 2040 e rende irreversibile il percorso intrapreso di transizione verso la neutralità climatica.

Che ci sia la necessità di azioni forti ed urgenti lo si evince quindi anche dagli aspetti burocratici. E non si può parlare di clima senza analizzare il tema dell’energia. Sappiamo che le rinnovabili sono e saranno le vere protagoniste della transizione energetica, ma la stretta attualità ci obbliga anche a guardare altrove. Anche in questo caso l’Unione Europea ha fatto più volte sentire la sua voce. L’ha fatto, ad esempio, con le nuove Direttive sul meccanismo ETS (Emission Trading Scheme), sull’energia rinnovabile e sull’Efficienza Energetica oltre alla definizione della nuova direttiva sulla prestazione energetica in edilizia, cioè quella che spesso viene definita “Case green”, approvata dal Parlamento europeo il 12 marzo scorso. Tale direttiva parte dal presupposto che gli edifici sono responsabili del 40% del consumo finale di energia nell'Unione e del 36% delle emissioni di gas serra associate all'energia. Il 75% di tutti gli edifici dell'Unione è tuttora inefficiente sul piano energetico e per riscaldarli ad oggi è usato principalmente ancora il gas naturale. Con queste premesse “Case green” dice che gli Stati membri dovranno ridurre del 16%, rispetto al 2020, i consumi energetici del proprio patrimonio edilizio entro il 2030, e di almeno il 20 per cento entro il 2035. Le nuove costruzioni poi, dovranno essere a emissioni zero entro il 2030 ma, consapevole che alcuni Paesi, come ad esempio l’Italia, hanno un patrimonio edilizio storico molto importante anche in termini quantitativi e non solo qualitativi, la direttiva mette in chiaro che il raggiungimento dell’obiettivo finale non può dipendere solo dalla costruzione di nuovi edifici, motivo per cui prevede che tale risparmio energetico dovrà essere assicurato per almeno il 55% dalla diminuzione del consumo di energia di almeno il 43% delle case con le prestazioni energetiche peggiori, comprese anche quelle danneggiate da terremoti o altre calamità naturali.

La relazione del Ministro però fa riferimento all’anno 2023, quindi si basa sulla legislazione vigente fino ad un anno fa. Pichetto Fratin spiega che “per quanto riguarda il percorso di decarbonizzazione nazionale, pertanto, nel quadro dell’NDC europeo, esistono strumenti di pianificazione di breve e lungo periodo di cui si è dotata l’Italia, sempre secondo quanto stabilito nel Regolamento EU sulla Governance per Energy Union”. 

Questi strumenti sono: il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) e la Strategia nazionale di lungo periodo sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra.

La Strategia nazionale di lungo periodo sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, invece, “individua possibili percorsi di decarbonizzazione, prendendo in considerazione diverse opzioni tecnologiche, comprese quelle più innovative, non ancora completamente sviluppate, al fine di raggiungere l’obiettivo di neutralità climatica al 2050, tenendo anche in dovuta considerazione il prossimo impatto del PNRR”.

Ma se queste sono le strategie ed i piani per il futuro, qual è la situazione attuale? Partendo dal Protocollo di Kyoto, del 1997, vediamo come l’Italia abbia raggiunto l’obiettivo di ridurre le proprie emissioni del 6,5% rispetto ai livelli del 1990 nel periodo 2008-2012.

Protocollo a cui è stata data prosecuzione nel 2012 alla COP di Doha e il termine per la conclusione degli adempimenti di questi impegni era previsto per la fine del 2023. Oltre a ciò il Consiglio Europeo, nella primavera del 2007, aveva stabilito la necessità che l’Unione avviasse una transizione verso un’economia a basso contenuto di carbonio attraverso un approccio integrato tra le politiche in materia di clima ed energia. Il Consiglio, quindi, aveva stabilito di raggiungere, entro il 2020, gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra del 20% rispetto ai livelli del 1990; la riduzione dei consumi energetici del 20% rispetto allo scenario “business as usual”; la produzione di energia da fonti rinnovabili pari al 20% dei consumi energetici dell’Unione europea; e l’uso dei biocombustibili per il 10% della quantità di combustibile utilizzato nel settore dei trasporti. 

I provvedimenti più rilevanti ai fini del raggiungimento degli obiettivi di riduzione al 2020 sono due e riguardano la Direttiva 2003/87/CE, cioè l’istituzione di un sistema per lo scambio di quote di emissioni di CO2 e la Decisione 406/2009/CE13, cioè quella più comunemente detta “Effort Sharing”.

La prima istituisce un sistema di tipo “cap and trade”, che significa che se l’impianto emette nell’anno quote superiori a quelle assegnate gratuitamente deve comprare all’asta o da un altro operatore le quote mancanti, se invece l’impianto emette una quantità inferiore di quote, rispetto a quanto assegnato gratuitamente, il gestore trattiene la differenza per venderle ad un altro operatore (scambio di quote tra i partecipanti al sistema) o le conserva per coprire eventuali maggiori emissioni negli anni successivi.

L’Effort sharing invece si basa sull’assegnazione di un ammontare massimo di emissioni consentite da compensare con “quote” di emissione ed è dedicato esclusivamente ai gas ad effetto serra provenienti da edilizia, agricoltura, gestione dei rifiuti, piccola industria e trasporti.

Come notiamo dal grafico, ma è uno scenario che per il futuro purtroppo cambierà, come vedremo, l’Italia ha avuto sempre meno emissioni rispetto agli obiettivi e le motivazioni sono state esplicitate proprio dal Ministro. “Il settore industriale ha registrato un calo emissivo che risente del progressivo efficientamento dei processi produttivi - si legge nell’allegato al DEF -, dell’abbandono dei combustibili più inquinanti e a più alto livello di emissioni di gas serra, ma anche della crisi strutturale innescata a partire dalla crisi finanziaria globale del 2008. Nel settore civile la progressiva riduzione delle emissioni è riconducibile, in analogia con l’industria, all’abbandono dei combustibili più inquinanti e a più alto livello di emissioni di gas serra, ma anche al progressivo, seppur lento, efficientamento del parco immobiliare. Per quanto riguarda il settore dei trasporti, invece, le politiche sugli standard emissivi e di consumo dei nuovi veicoli sono state in buona parte compensate dalle dinamiche economiche e dalla crescente domanda di trasporto privato, anche come modifica dei comportamenti a seguito della pandemia. In sintesi, per quanto riguarda i settori meno influenzati dalla situazione economica, come trasporti e civile, non risultano riduzioni significative delle emissioni a partire dal 2013. Pertanto, sebbene le riduzioni richieste dal rispetto delle allocazioni annuali per il periodo 2013–2020 siano state non solo raggiunte ma ampiamente superate (si calcola un “overachievement” totale per il periodo in termini di riduzione delle emissioni di 190 MtCO2eq), la mancata riduzione delle emissioni dei settori trasporti e civile ha portato a un progressivo avvicinamento dei livelli emissivi italiani alle AEA (Annual Emission Allocation), fino al superamento delle stesse registrato per l’anno 2021. Tale superamento risulta essere di 10,9 MtCO2eq. Già dallo scorso anno - conclude la nota -, i primi dati disponibili mostravano una ripresa significativa delle emissioni, in buona parte riconducibile sia alla ripresa economica e delle attività produttive che alla crescita della mobilità privata.”

Arriviamo ora agli obiettivi futuri, cioè quel famoso Fit for 55% di cui abbiamo già parlato. Sappiamo che il Consiglio Europeo il 10 e 11 dicembre 2020 ha adottato l’obiettivo di riduzione UE delle emissioni nette pari ad almeno il 55% entro il 2030 e aggiornato, di conseguenza, l’NDC europeo. Il 29 luglio 2021 è entrata in vigore la Legge europea sul clima (Regolamento CEE/UE 30 giugno 2021, n. 1119) che “stabilisce l'obiettivo vincolante della neutralità climatica nell'Unione entro il 2050” e con questo pacchetto di leggi ha anche aggiornato il Regolamento “Effort Sharing” e si è dato nuovi obiettivi di assorbimento delle emissioni per il settore LULUCF, cioè il Land Use, Land Use Change and Forestry. Qui l’UE si è data l’obiettivo di assorbimento di carbonio, pari a 310 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 entro il 2030.

Le proiezioni per quanto riguarda le emissioni del nostro Paese non sono ancora aggiornate e dovrebbero esserlo entro la fine di giugno, cioè dopo l’aggiornamento finale del PNIEC ed il successivo invio alla Commissione europea. Tra poche settimane quindi, saranno disponibili nuovi scenari che approfondiremo, ma per ora non ci resta che basarci sempre sulla nota di aggiornamento al DEF che “evidenzia che da tale scenario continua ad emergere una certa distanza dagli obiettivi di riduzione che indica la particolare difficoltà ad incidere efficientemente su alcuni settori, in particolare Trasporti e Civile, come già emerso dall’andamento delle emissioni negli ultimi anni.” 

Gli scenari sono due e li riassumiamo nelle tabelle seguenti. Il primo riguarda quello dello scenario di riferimento dove si intuisce come il lavoro da fare per raggiungere gli obiettivi “Effort sharing” sia ancora molto.

Va un po’ meglio con lo scenario riferito alle politiche aggiuntive, che altro non sono che azioni definite nella bozza di aggiornamento del PNIEC del giugno 2023. Entrambi gli scenari, inoltre, sono in fase di aggiornamento. “Appare, quindi, necessario - scrive il Ministro - adottare ulteriori politiche e misure aggiuntive, in particolare nei settori civile e dei trasporti, per raggiungere gli obiettivi europei che si applicano all’Italia”.

Le politiche per ridurre le emissioni sono diverse e riguardano sia l’Unione Europea che, di conseguenza, il nostro paese. I Piani e le Strategie in atto delineano delle strade tanto chiare quanto probabilmente insufficienti per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica. Andare a scandagliare a fondo tali politiche però, ci permette di capire qual è lo stato dell’arte dell’Italia e, soprattutto, quale sarà il nostro futuro. È quello che cercheremo di fare in questa nuova serie di articoli.

 

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012