L'ultimo Rapporto speciale pubblicato online l'8 ottobre scorso dall'Ipcc (il Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni unite) illustrava l'impatto che un aumento della temperatura globale di 1,5°C rispetto a livelli pre-industriali avrebbe sulla salute del pianeta e dei suoi abitanti.
Restando sotto la soglia degli 1,5°C, entro il 2100 l'innalzamento del livello dei mari potrebbe restare sotto i 10 cm, 10 milioni di persone verrebbero risparmiate da fenomeni di deficit idrici e siccità associati a precipitazioni estreme, 420 milioni di persone non verrebbero esposte a straordinarie ondate di calore, solo (si fa per dire) l'80% circa delle barriere coralline scomparirebbe.
Le conseguenza sarebbero molto più drammatiche se si verificasse il cosiddetto overshoot, lo sforamento della soglia di temperatura critica: le barriere coralline sparirebbero completamente con il conseguente danno a specie ed ecosistemi che da queste dipendono; la calotta glaciale dell'Antartide verrebbe destabilizzata e si verificherebbe la perdita irreversibile della calotta continentale della Groenlandia; l'aumento del livello medio dei mari sarebbe nell'ordine di metri per secoli o millenni; intere isole, regioni e città scomparirebbero sommerse dall'acqua, altre andrebbero incontro a desertificazione e milioni di persone sarebbero costrette a migrare.
Il rapporto dell'Ipcc ammonisce anche che il mantenimento delle attuali tendenze produttive e di consumo porterebbe inevitabilmente all'overshoot. Con l’Accordo di Parigi del dicembre 2015 i Paesi firmatari si assumevano l'impegno di ridurre le emissioni di gas serra con misure stabilite su base nazionale che rispondono all'acronimo di NDCs (Nationally Determined Contributions).
Tuttavia, uno studio pubblicato su Nature Communications lo scorso 16 novembre, che analizza nel dettaglio proprio le NDCs di ciascun Paese, mostra che le misure messe in campo sono gravemente insufficienti per il raggiungimento degli obiettivi preposti.
Mappa del riscaldamento globale Paese per Paese: in rosso scuro quelli che fanno peggio. Da: Paris-equity-check.org. Basato su Robiou du Pont et al. 2018 Nature Communications
Lo studio ha preso in esame 169 Paesi e per ciascuno di essi ha stimato a quanto ammonterebbe il loro contributo relativo all'aumento delle temperature globali. Le tendenze produttive e di consumo dell'India porterebbero a un incremento della temperatura di 2,6°C, quelle del Regno Unito di 2,9°C, quelle dell'Unione Europea di 3,4°C; il Brasile arriverebbe a 3,7°C, gli Stati Uniti (che pure si sono svincolati dall'accordo di Parigi) a 4°C, il Giappone a 4,3°C; Paesi come la Cina e la Russia, ma anche Canada, Sud Africa, Nuova Zelanda e Argentina, supererebbero i 5°C.
Gli autori dello studio, ricercatori dell'Australian-German Climate & Energy College dell'università di Melbourne e del Potsdam Institute for Climate Impact Research, rilevano una mancanza di ambizione collettiva a tener fede agli impegni presi, sottolineando che le NCDs differiscono troppo tra di loro nell'interpretare il concetto di equità con cui queste misure andrebbero prese. Prevarrebbero invece gli interessi egoistici delle nazioni più sviluppate, non disposte a cedere il passo nella corsa alla crescita competitiva.
Soltanto i Paesi Sub-Sahariani sarebbero sulla buona strada per tenere fede agli impegni presi a Parigi, assestandosi su un aumento di 1,2°C.
L'Italia invece si assesta a 3,2°C. Il grafico qui sotto mostra il cambiamento delle emissioni nell'arco di tempo che va dal 2010 al 2030 in funzione delle previsioni fatte fino al 2100. Sull'asse verticale si trova la prevista percentuale di riduzione delle emissioni mano a mano che ci si avvicina al 2030; sull'asse orizzontale si trova la misura dell'aumento di temperatura in gradi.
Da: Paris-equity-check.org. Basato su Robiou du Pont et al. 2018 Nature Communications
Il fatto che siano i Paesi meno sviluppati ad essere quelli più in linea con le direttive sulla mitigazione del riscaldamento globale la dice lunga su quanto i sistemi economici dei Paesi più industrializzati siano incompatibili con le necessarie limitazioni allo sfruttamento delle risorse energetiche e ambientali.
Il rapporto Ipcc dello scorso ottobre sottolineava quali misure urgenti debbano essere attuate nei prossimi decenni: la domanda energetica dovrà complessivamente diminuire, occorrerà decarbonizzare l’elettricità favorendo dunque le fonti alternative e andranno ridotte le emissioni del settore agricolo.
Il percorso che porta al mantenimento del riscaldamento globale al di sotto della soglia critica del grado e mezzo richiede transizioni di sistema molto profonde, senza precedenti in termini di scala e di tempi. Andranno coinvolti molti settori quali la gestione del suolo, dell'energia, l'industria, l'edilizia, i trasporti e la pianificazione urbana. È necessario che le emissioni antropiche nette globali di CO2 diminuiscano di circa il 45% rispetto i livelli del 2010 entro il 2030, raggiungendo lo zero intorno al 2050, con una riduzione proporzionale degli altri gas serra.
Tutto ciò ha ricadute fondamentali sulla scelta delle tecnologie da sviluppare e impiegare nei prossimi anni, nel campo della produzione di elettricità, dei trasporti e dei processi produttivi.
Questa generazione si ritrova tra le mani le sorti delle generazioni future. Si tratta di una battaglia che può combattere solo questa generazione e il ritardo nel raccogliere la sfida porterebbe a una sconfitta, non rimediabile, già in partenza.