SOCIETÀ
Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima non crede nella transizione verde
Impianti per la produzione di energia da diverse fonti. Foto: Arno Senoner/Unsplash
L’Unione Europea, pur con i suoi difetti, può essere considerata oggi l’entità politica che ha compiuto più passi avanti nella realizzazione di politiche per il contrasto alla sfaccettata crisi ambientale nella quale siamo immersi. Dall’inizio della prima legislatura Von der Leyen, nel 2019, la Commissione ha infatti impresso una decisa accelerazione al percorso dell’Europa verso la sostenibilità.
Uno dei principali strumenti – forse il più importante – messo in campo durante la scorsa legislatura europea è il Green Deal, un ampio pacchetto di misure che pone ai Paesi europei obiettivi climatici e ambientali molto ambiziosi, come la riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 (rispettando così l’Accordo di Parigi). Più in generale, la meta del Green Deal è “diventare il primo continente a impatto climatico zero” e realizzare la necessaria transizione dell’economia e della società verso la sostenibilità.
Inoltre, attraverso il Green Deal, l’Unione Europea aspira – come si legge nel sito del Consiglio Europeo – a “garantire una transizione giusta e socialmente equa”, “mantenere e rafforzare l'innovazione e la competitività dell'industria dell’UE assicurando nel contempo parità di condizioni rispetto agli operatori economici dei paesi terzi”, e “sostenere la posizione leader dell’Unione nella lotta globale contro i cambiamenti climatici”.
L’adozione di questo pacchetto di misure ha segnato un passaggio fondamentale in termini di effettivo impegno ambientale sia a livello comunitario che nazionale. Rispettare gli obiettivi del Green Deal, infatti, è per gli Stati membri un obbligo giuridico. Dal dicembre 2019, gli Stati si sono vincolati all’attuazione di misure adeguate per raggiungere, entro i tempi stabiliti, gli obiettivi decisi in sede comunitaria. Il primo passo verso questo traguardo è la stesura e l’attuazione di piani nazionali che definiscano una tabella di marcia.
In Italia, dove manca una legge quadro sul clima, un documento centrale per delineare il contributo del Paese al raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica europei e internazionali (ci riferiamo alle Nationally Determined Contributions, da inviare periodicamente sotto gli Accordi di Parigi) è il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC). Il documento – quello attuale è la seconda versione, che aggiorna la prima stesura del 2019 – era stato presentato per la prima volta nel luglio 2023 alla Commissione Europea, la quale, nel dicembre dello stesso anno, aveva bocciato il testo, giudicandolo carente in termini di attuabilità e coerenza con gli obiettivi comunitari al 2030.
Dopo una sostanziosa revisione (che ha aumentato di circa 70 pagine la lunghezza del documento), a luglio 2024 l’Italia – una dei pochi Stati membri a rispettare le tempistiche indicate – ha presentato alla Commissione la versione aggiornata del PNIEC. Questa nuova stesura è caratterizzata, come ha specificato lo stesso MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica), da “un approccio realistico e tecnologicamente neutro”, mirante cioè a lasciare che le tecnologie predominanti vengano selezionate dal mercato.
Ma questo approccio implica anche – fuori dal politically correct del linguaggio ministeriale – che da un lato l’Italia non punterà tutto sulle tecnologie per la produzione di energia rinnovabile, ma farà ancora affidamento sul gas naturale (che, è bene ricordarlo, è un combustibile fossile) e darà nuova linfa alla produzione di energia nucleare; e che, dall’altro, tra le strategie di riduzione delle emissioni è stato dato ampio spazio a tecnologie controverse come il Carbon Capture and Storage (CCS) piuttosto che a soluzioni la cui validità è più universalmente condivisa, come il ricorso massiccio all’elettrificazione del sistema energetico.
Quest’ultima via, in particolare, è indicata verbalmente come una leva essenziale per la decarbonizzazione, ma nel testo non viene identificato un chiaro obiettivo quantitativo per l’elettrificazione dei consumi energetici. Inoltre, il fatto che si prevedano ulteriori investimenti su tecnologie legate ai combustibili fossili (come le pompe di calore a gas e le auto a combustione interna) determina un potenziale effetto lock-in che devia gli investimenti verso soluzioni climaticamente e ambientalmente dannose.
Carenze strutturali
Sono diverse le analisi che hanno sottolineato carenze e incoerenze della versione 2024 del PNIEC. Secondo il think tank italiano ECCO Climate, uno dei principali punti di insufficienza riguarda la dimensione di governance. Esattamente come nel caso del PNACC, il PNIEC prevedrebbe (fin dalla versione del 2019) l’istituzione di un Osservatorio a cui dovrebbe essere demandato il coordinamento del progetto di implementazione del Piano e il monitoraggio della sua attuazione. Tuttavia, proprio come per il PNACC, di questo Osservatorio non vi è, ad oggi, alcuna traccia.
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Altrettanto insufficiente risulta l’elaborazione di una strategia attuativa tanto in ambito finanziario, quanto in campo legislativo. Manca, soprattutto, un adeguato piano per il coinvolgimento degli attori privati che, alla luce dell’attuale conformazione del mercato dell’energia, dovranno collaborare con il sistema statale perché la transizione verde divenga realtà. Allo stesso modo, i principî e gli obiettivi dichiarati nel testo del PNIEC non sono accompagnati da adeguate misure di programmazione economica e finanziaria per rendere possibile il loro raggiungimento.
Anche in relazione al percorso di decarbonizzazione tracciato dall’Unione Europea (a livello comunitario, entro il 2030 il 45% della produzione energetica dovrebbe provenire da fonti rinnovabili) e, più recentemente, dal G7 (all’ultima riunione del G7 Ambiente, presieduta dall’Italia, si è concordato di “raggiungere una completa o quasi completa decarbonizzazione del settore energetico entro il 2035”), la previsione dell’Italia risulta insufficiente. Il PNIEC prevede che entro il 2030 il 69% del fabbisogno energetico nazionale proverrà da fonti rinnovabili: ciò significa che, entro quella data, la potenza energetica da fonti rinnovabili dell’Italia dovrà ammontare a 131 Gigawatt (Gw), circa il doppio rispetto ai dati odierni. Tuttavia, diversi osservatori hanno giudicato questa previsione non sufficiente per rispettare gli obiettivi sopra citati. Questa previsione è confermata dai calcoli realizzati da ECCO Climate, che nella sua Pagella sul PNIEC afferma: “Affinché gli obiettivi rinnovabili siano credibili, occorre complementarità e coordinamento tra le misure regolatorie ed economiche definite dal PNIEC per il settore”.
L’ultima versione del PNIEC, inoltre, risulta ancora carente rispetto a un elemento richiesto con forza dalla Commissione nella revisione del documento avvenuta a dicembre 2023: l’attenzione alla giustizia sociale, che dovrà essere salvaguardata con maggiore attenzione alla luce delle sfide socio-economiche poste dalla transizione energetica. Ad oggi, infatti, l’Italia non ha ancora adottato una definizione normativa di povertà energetica, nonostante sia attivo, almeno formalmente, da ben due anni (istituito nel marzo 2022) l’Osservatorio nazionale della Povertà Energetica (ONPE). Questo implica, come si riconosce nello stesso PNIEC, l’impossibilità di definire in modo netto gli obiettivi per affrontare questa sfida sociale, come richiesto invece dalla Commissione Europea.
Messa a terra e monitoraggio: non pervenuti
Manca una chiara tabella di marcia per completare il percorso di abbandono dei fossili, obiettivo dichiarato tanto dell’UE quanto del G7. Oltre all’assenza di chiari obiettivi temporali e quantitativi, lascia perplessi il ruolo di rilievo riservato al gas naturale anche nell’affiancare il percorso di decarbonizzazione ed elettrificazione del sistema energetico nazionale. Altrettanto in contrasto con gli obiettivi comunitari e internazionali sono le scelte legate al rafforzamento di infrastrutture legate al gas (rigassificazione, stoccaggio e trasporto).
Il testo definitivo del PNIEC rappresenta un appuntamento mancato anche per l’allineamento con l’Unione Europea in termini di obiettivi di riduzione delle emissioni: l’Italia emetterà circa 100 MTCO2eq(milioni di tonnellate di gas climalteranti equiparati alla CO2) in più rispetto a quanto necessario per essere al passo con il Green Deal. Questo – riporta la rivista Renewable Matter – corrisponde, in base ai prezzi odierni dell’anidride carbonica, a un costo di circa 15 miliardi di euro che graveranno sulle già sofferenti casse statali, e che avrebbero invece potuto essere investiti per finanziare e sostenere la transizione verde.
Al di là delle (molte) incertezze legate ad aspetti specifici, la lacuna che più salta all’occhio riguarda lo studio di fattibilità, le previsioni di spesa e le implicazioni socio-economiche delle varie soluzioni indicate. Come sintetizza ECCO stilando un elenco di carenze di questo piano, la più evidente è che “Non ha forza legale né un impianto attuativo coerente. Le risorse dedicate e le valutazioni di impatto delle politiche non sono chiarite”.