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Cop28: il momento della verità per l’industria dei combustibili fossili

Quella di Dubai sarà la Cop dell'industria dei combustibili fossili, nel bene o nel male. “Dovranno decidere se saranno partner nella lotta al cambiamento climatico oppure no” ha dichiarato il direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) Fatih Birol alla presentazione del rapporto The Oil and Gas Industry in Net Zero Transition, uscito il 23 novembre.

La Cop28 è l’ultima chiamata per l’industria del petrolio e del gas, il “momento della verità”, riporta la Iea, la quale chiede fermamente al settore di prendere almeno tre iniziative cruciali. La prima è ridurre le emissioni che derivano dalle operazioni di estrazione, lavorazione e trasporto di gas e petrolio. La seconda è investire molto di più nel settore delle energie pulite. La terza è smettere di nascondersi dietro false promesse di sostenibilità come le tecnologie di cattura e sequestro della CO2 su larga scala.

Questi appelli sono tutt’altro che nuovi, ma forse non erano stati mai rivolti con una presa di posizione così netta da parte di un’agenzia che storicamente è stata tutt’altro che ostile nei confronti di quest’industria, poiché nasce per iniziativa dell’Ocse dopo la crisi energetica del 1973 proprio per monitorare il mercato del petrolio e garantirne le forniture.

Emissioni

Per abbassare le emissioni del settore energetico, prima ancora di affrontare la riduzione del consumo di combustibili fossili, l’industria deve iniziare a controllare quelle delle operazioni di produzione, che da sole pesano per il 15% (circa 5 miliardi di tonnellate di CO2, tanto quanto emettono gli Usa ogni anno) delle quasi 37 Gt immesse in atmosfera nel 2022 da tutto il comparto. Tra queste ci sono i cosiddetti leaks o perdite di metano dalle tubature (quasi metà delle 5 Gt) e il combustibile che viene deliberatamente bruciato (si parla di flaring e venting) per ridurre la pressione nelle condutture.

“Impegnatevi a ridurre le vostre emissioni del 60% entro il 2030” ha scandito Birol durante la presentazione del rapporto, e ha aggiunto: “Questo assegnerebbe all’industria un biglietto di ingresso come partner nella lotta al cambiamento climatico”. Si tratterebbe infatti ancora di misure minime e non rimandabili, che andavano adottate già diversi anni fa. Entro il 2040 tali emissioni andrebbero quasi del tutto eliminate. “Questi interventi possono essere fatti immediatamente e a un costo conveniente per le aziende” ha sottolineato Birol.

Investimenti

L’altro cambio di passo che ci si attende è sul fronte finanziario. Dei 1.800 miliardi di dollari che nel 2023 sono stati spesi globalmente in energie a basse emissioni, l’Oil & Gas ha contribuito con circa l’1% del totale. Di migliaia di aziende private, nazionali e partecipate, quattro soltanto rappresentano più della metà di quell’1%. “Ad oggi l’industria del petrolio e del gas è una forza marginale nella transizione verso un sistema fondato su energie pulite” scrive la Iea nel rapporto curato dall’economista dell’energia Tim Gould e dall’analista Cristophe McGlade.

I circa 20 miliardi di dollari (quell’1%) che l’industria investe in energia pulita sono circa il 2,5% degli 800 miliardi di dollari che spende in costi di capitale (CapEx), a fronte di ricavi annuali medi che dal 2018 sono stati di 3.500 miliardi di dollari.

“Tutto questo contraddice le affermazioni sull’energia pulita che vengono dall’Oil & Gas” ha affermato Birol, invitando il settore a fissare un obiettivo compatibile con l’accordo di Parigi per mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia critica di 1,5°C. “Per essere partner genuini nella lotta alla crisi climatica entro il 2030 questa percentuale del 2,5% dovrebbe raggiungere il 50%”. A questi investimenti dovrebbero sommarsi quelli necessari a ridurre le emissioni di tipo 1 e 2.

Cattura e stoccaggio della CO2

In un altro rapporto pubblicato a ottobre, il World Energy Outlook, la Iea mostrava che entro il 2030 la domanda di petrolio e gas dovrebbe raggiungere il picco, per poi iniziare a calare. Con le politiche attuali (STEPS – Stated Policies Scenario) tuttavia , il successivo declino della curva sarebbe appena percettibile, rappresentando di fatto una stabilizzazione della domanda non compatibile con l’accordo di Parigi.

Una traiettoria compatibile con 1,5°C (scenario Net Zero di neutralità climatica) vedrebbe nel 2050 calare la domanda di petrolio e gas del 75% rispetto ai valori attuali. Mettendo in pratica tutte le dichiarazioni di sostenibilità contenute nei documenti governativi (APS – Announced Pledges Scenario) invece la riduzione della domanda a metà secolo sarebbe solo del 45%.

È interessante notare che nello scenario Net Zero, a metà secolo la domanda di combustibili non è del tutto azzerata, in quanto il loro impiego permane in settori dove sono difficilmente sostituibili, come l’industria dell’acciaio e cemento, e in altri in cui vengono utilizzati come materia prima ma non bruciati: per produrre plastiche (a partire dal petrolio) o per ricavare idrogeno (a partire dal metano).

Le emissioni ancora prodotte a metà secolo andranno pertanto assorbite. Per questo la Iea nello scenario Net Zero assegna un ruolo considerevole alle tecnologie di cattura, utilizzo e stoccaggio della CO2 (CCUS, o più semplicemente CCS).

“Dal nostro punto di vista è una tecnologia importante in alcune applicazioni e contesti, ma negli ultimi 20 anni quella del CCUS è stata una storia di delusioni”, ha affermato Birol facendo riferimento ai numerosi progetti finanziati e poi abbandonati per l’insoddisfacente sostenibilità ambientale e finanziaria.

“Dire che consentirebbe all’Oil & Gas di continuare con il trend di produzione attuale abbassando le emissioni è per noi pura fantasia” sottolinea il direttore dell’agenzia. Per far funzionare impianti di CCS per assorbire più di 30 Gt di CO2 servirebbero infatti più di 26.000 TWh di energia elettrica, più di quanta il mondo ne ha utilizzata nel 2022, si legge nel rapporto. Inoltre, occorrerebbe un investimento annuo dedicato di 3.500 miliardi di dollari, ovvero quanto l’intero settore ha ricavato in media negli ultimi anni.

“È impossibile continuare a usare il petrolio e il gas che produciamo adesso con il CCUS, i numeri non funzionano” ha detto chiaramente Birol. “Vogliamo sottolinearlo perché non dobbiamo dare false speranze: il CCS non deve essere una scusa per continuare a fare quello che è stato fatto finora. Ridurre le emissioni dei combustibili fossili significa ridurre l’uso dei combustibili fossili”.

Negoziati

“La crescita delle energie pulite (su tutte solare fotovoltaico ed eolico, ndr) è ormai inarrestabile”, ha aggiunto Fatih Birol, “e la lotta al cambiamento climatico andrà avanti anche senza l’aiuto dei grandi produttori di gas e petrolio. Tuttavia, sarebbe una strada più dissestata”.

L’industria del petrolio e del gas infatti avrebbe molto da dare alla transizione energetica, non solo in termini finanziari di investimenti, che finora sono clamorosamente mancati, ma anche in termini di competenze tecniche.

Oltre allo sviluppo delle tecnologie di CCS e di DAC (Direct Air Capture), un contributo considerevole può venire secondo la Iea nel campo dell’idrogeno, dei biocarburanti, dell’energia geotermica, finanche dell’eolico offshore, delle infrastrutture di ricarica per i veicoli elettrici e del riciclo della plastica.

“Compagnie come Adnoc possono e devono fare di più” ha affermato Tim Gould durante la presentazione del rapporto. “Anche Saudi Aramco (la compagnia nazionale saudita, ndr) che ha una forte leadership nel settore può segnare il passo”.


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“L’Oil & Gas ha tasche profonde e competenze per affrontare la transizione energetica”. ha aggiunto Fatih Birol. “Il presidente della Cop28 Al Jaber sta parlando a molti leader del settore per far prendere loro impegni. Questo rapporto è un invito all’industria a lavorare con il resto del mondo per combattere il cambiamento climatico”.

“Molti produttori dicono che saranno loro quelli che continueranno a produrre il petrolio e il gas che servirà durante la transizione” si legge nel rapporto. “Ma non possono aver ragione tutti” perché nel 2050 la produzione globale di petrolio e gas dovrebbe essere una piccola frazione di quella attuale.

Il compito della presidenza della 28esima conferenza sul clima dovrebbe allora essere quello di mettere d’accordo le parti, intese non solo come Paesi dell’Onu ma anche come grandi aziende, per decidere chi continuerà a fornire il gas e il petrolio di cui il mondo avrà ancora bisogno nei prossimi 30 anni e chi dovrà diversificare i propri investimenti e il proprio modello di business nel mercato dell’energia.

Secondo dei documenti riservati ottenuti dalla BBC però, i negoziati avrebbero già preso tutt’altra piega. Gli Emirati Arabi Uniti starebbero utilizzando la loro posizione preferenziale per fare affari con altri Paesi. Con la Cina, per esempio, Adnoc sarebbe interessata “a valutare opportunità internazionali per il gas naturale liquefatto” in Mozambico, Canada e Australia, riporta la BBC. La compagnia petrolifera nazionale di Abu Dhabi sarebbe anche pronta a sostenere lo sviluppo delle risorse fossili in Colombia. Gli Emirati avrebbero avuto colloqui analoghi con 27 Paesi.

Con queste premesse anche l’appello della Iea sembra destinato a restare inascoltato e la Cop28 rischia di essere sì un momento di verità, ma che si somma a tanti altri già registrati in passato.

 

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