SOCIETÀ

Alla vigilia della Cop26 i piani d’azione presentati non sono sufficienti

Alla vigilia della Cop26, la conferenza delle parti che riunisce a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre i rappresentanti dei 197 Paesi dell’Onu per agire contro il cambiamento climatico, l’Unep (il programma ambientale dell’Onu) ha pubblicato il 26 ottobre l’Emissions Gap Report 2021, un rapporto che fa il punto su quanto i singoli Paesi stiano facendo per limitare il riscaldamento globale tra 1,5°C e 2°C, come previsto dagli accordi di Parigi del 2015.

Già dal titolo, The heat is on (il riscaldamento è acceso), si capisce che le cose non stanno andando come dovrebbero. I piani d’azione presentati sino ad oggi non sono sufficienti per rispettare gli impegni presi: stando così le cose, il mondo è indirizzato su una strada che porta a un aumento della temperatura di 2,7°C entro fine secolo, si legge nel rapporto.

Gli accordi di Parigi prevedono che ogni Paese prepari, comunichi e rispetti i contributi nazionali che fornisce nell’ambito della lotta al cambiamento climatico. Tali contributi sono noti come NDCs (Nationally Determined Contributions): ogni parte contraente (ovvero ciascun Paese) è tenuta a fornire il proprio piano d’azione nazionale per ridurre le emissioni di gas serra e mitigare gli effetti del cambiamento climatico, e aggiornarlo ogni 5 anni.

Dopo la Cop21 di Parigi del 2015, 191 Paesi avevano presentato i propri NDCs. Il 31 luglio 2021 era stata fissata la data ultima entro cui presentare i piani d’azione aggiornati. Solo il 58% dei Paesi ha rispettato quella scadenza.

Al 30 settembre di quest’anno 120 Paesi, che rappresentano circa la metà delle emissioni di CO2 che ogni anno vengono prodotte (52,4 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente quelle del 2019), hanno comunicato o aggiornato i propri piani d’azione, si legge nel rapporto Unep.

Meno della metà (49%) delle NDCs presentate (provenienti dai Paesi responsabili di un terzo delle emissioni totali) mirano a ridurre effettivamente le emissioni al 2030. Tra questi figurano Argentina, Canada, Unione Europea, Sud Africa, Regno Unito e Stati Uniti.

Il 18%, quasi un quinto delle NDCs presentate (provenienti da Paesi responsabili per il 13% delle emissioni totali), non migliorano i piani precedenti. Brasile e Messico addirittura prevedono di aumentare le proprie emissioni al 2030.

Per il 33% delle restanti NDCs (corrispondenti al 7% delle emissioni totali) non ci sono dati sufficienti per valutare se siano effettivamente migliori di quelle precedenti (un problema dovuto non tanto alle ultime, ma alle NDCs precedenti).

Paesi come Cina, India, Arabia Saudita e Turchia non hanno consegnato piani d’azione aggiornati. Australia e Indonesia l’hanno fatto ma non puntano a fare meglio di quanto proposto 6 anni fa. La Russia sebbene migliori il vecchio piano è ancora distante dall’abbracciare a pieno la transizione ecologica ed energetica.

Queste NDCs complessivamente riuscirebbero a ridurre solo del 7,5% le emissioni previste nel 2030, mentre occorrerebbe ridurle del 30% per mantenere a fine secolo il riscaldamento globale a 2°C e ridurle del 55% per tenerlo entro 1,5°C. Ad oggi invece siamo proiettati verso un aumento di almeno 2,7°C.

E probabilmente si tratta ancora di una stima conservativa, perché i Paesi del G20, fa notare il rapporto Unep, non dispongono di strumenti politico-legislativi vincolanti per assicurarsi che gli impegni sottoscritti vengano davvero messi in atto.

Il rapporto dell’Unep ricorda anche che nonostante le emissioni si siano ridotte durante l’anno dei lockdown dovuti alla pandemia (il 2020) di circa il 5,4%, la concentrazione di CO2 in atmosfera è continuata a crescere (di 2,3 ppm, restando sempre intorno a 420 ppm) e per il 2021 è previsto un rimbalzo nell’aumento delle emissioni del 4,8% rispetto all’anno precedente.

Per colmare questo grave ritardo nella gestione delle emissioni, il rapporto Unep sottolinea che ci si dovrebbe concentrare su alcuni fattori che possono dare risultati anche nel breve termine. Tra tutte le tipologie di emissioni, quelle di metano (decine di volte più climalterante dell’anidride carbonica) sono quelle riducibili più facilmente e rapidamente, come quelle causate dalle perdite delle tubature degli impianti di trasporto e immagazzinamento del gas. Tuttavia, le attuali NDCs le ridurrebbero solo di un terzo di quanto sarebbe necessario per stare entro i 2°C di aumento delle temperature. Enorme margine di miglioramento c’è anche nella possibilità di ridurre le emissioni derivanti dai rifiuti e dall’agricoltura.

In conclusione il rapporto ricorda che i mercati possono essere una leva formidabile per raggiungere le ambizioni climatiche. Nell’articolo 6 degli accordi di Parigi c’è scritto che le parti possono ricorrere a una cooperazione volontaria per mettere in pratica i rispettivi piani d’azione. Le NDCs attuali però sono molto eterogenee tra loro e ciò rende difficile la creazione di un mercato internazionale integrato e robusto che faciliti il raggiungimento degli obiettivi. I Paesi che hanno espresso disponibilità a questa cooperazione volontaria sono però raddoppiati rispetto a 6 anni fa. Uno degli aspetti che i leader mondiali dovranno discutere a Glasgow alla Cop26 è proprio l’adozione di meccanismi di mercato che facilitino questa cooperazione per il rispetto degli obiettivi climatici.

 

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