Il costo del cambiamento climatico resta alto, anche dopo l’articolo ritirato da Nature
La rivista Nature a inizio dicembre ha ritirato dalla pubblicazione uno studio sui costi del cambiamento climatico dopo aver riscontrato alcune incongruenze nelle metodologie e nei dati, tali da rendere troppo grande l’intervallo di incertezza dei risultati finali.
Il lavoro era stato condotto da un gruppo di ricercatori del Potsdam Institute for Climate Impact Research, guidati da Maximillian Kotz, ed era stato tra gli studi climatici più citati sui media nel 2024, quando è uscito. In poco più di un anno aveva ricevuto più di 430 citazioni da altri paper scientifici, secondo Google Scholar.
Le conclusioni a cui giungeva erano sorprendenti: in uno scenario ad alte emissioni, a fine secolo il PIL globale sarebbe potuto essere del 60% più basso rispetto a quello di un ipotetico mondo privo di riscaldamento globale. Un simile valore era circa tre volte più grande rispetto a quello cui giungevano altri studi presenti in letteratura.
Veniva anche riportato che i costi del cambiamento climatico che la società globale avrebbe dovuto sostenere a metà secolo, anche solo con un riscaldamento globale di 2°C, sarebbero stati nell’ordine di 38.000 miliardi di dollari l’anno, un valore di sei volte più grande rispetto all’investimento che da subito dovremmo fare, ogni anno, per sostenere la transizione ecologica. Ne avevamo parlato anche su Il Bo Live.
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L’analisi condotta dagli autori proponeva un approccio innovativo: invece di considerare gli effetti del cambiamento climatico a livello nazionale, stimava le conseguenze di diverse variabili meteorologiche (temperature e precipitazioni) su base regionale, quindi con un maggiore livello di dettaglio. Anche il modello statistico che correla l’andamento del clima al PIL conteneva delle differenze rispetto a quello di altri lavori analoghi.
Following the publication of two critiques & in conversation with the journal Nature, the authors of the study “The economic commitment of climate change” at PIK have retracted the paper. They will resubmit a new version of the paper for peer review. www.pik-potsdam.de/en/news/late...
[image or embed]— PIK_climate (@pik-potsdam.bsky.social) 3 dicembre 2025 alle ore 11:40
Due commenti di revisione
Per via dei risultati inaspettati e della vasta circolazione mediatica, la comunità scientifica ha acceso più di un riflettore sullo studio e lo ha messo sotto al microscopio. Questo scrutinio di solito viene fatto prima della pubblicazione, ossia in fase di peer review, ma a volte capita che qualcosa sfugga ai revisori.
Ad agosto di quest’anno sono stati pubblicati su Nature due commenti allo studio, intitolati Matters arising (questioni emerse).
Prima di arrivare alle critiche, il primo commento riconosceva la potenziale portata del lavoro: “Se il triplice aumento dei danni riportato da KLW (le iniziali degli autori) rispetto agli studi precedenti fosse il risultato di queste innovazioni, ciò avrebbe implicazioni scientifiche e politiche straordinarie”, poiché “le stime provenienti da questa letteratura vengono utilizzate per informare le politiche della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, delle banche centrali e del governo federale degli Stati Uniti”. Il lavoro di Kotz e colleghi era stato inserito per esempio nelle analisi del Network for Greening the Financial System, una rete di istituti finanziari che si occupa di finanza sostenibile.
Il commento però metteva in luce alcune problematiche relative in particolare al dataset dell’Uzbekistan. Correggendolo, i risultati finali tornavano in linea con quelli presenti in letteratura, ossia un impatto a fine secolo quantificato in un calo del 23% del PIL globale. Secondo gli autori del commento, altri dataset di altri Stati avrebbero potuto presentare problematiche simili: “non abbiamo sistematicamente valutato la qualità di tutti gli altri dati del lavoro di KLW” precisano infatti gli autori del commento.
Un secondo commento, sempre pubblicato ad agosto, si concentrava invece sull’incertezza statistica dei risultati dello studio di Kotz e colleghi, che sarebbe stata ampiamente sottostimata.
La nuova versione del lavoro
Queste rianalisi hanno portato la rivista Nature a ritirare lo studio. “Il PIK accoglie con favore l’analisi critica pubblicata come Matters Arising su Nature, considerandola una parte importante del dibattito scientifico ed è impegnato a continuare a mantenere i più alti standard di integrità e trasparenza nella ricerca” si legge su un comunicato del Potsdam Insitute for Climate Impact Research.
Kotz e colleghi hanno accolto le critiche e hanno rimesso mano al lavoro, cercando di correggere i dataset problematici. “La versione rivista dagli autori corregge i dati economici di base, introduce controlli aggiuntivi per limitare l’influenza di anomalie nei dati e tiene conto delle correlazioni tra le varie regioni”. Una versione aggiornata del paper verrà sottoposta nuovamente a peer review, ma intanto gli autori hanno già dato alcune anticipazione dei nuovi risultati.
L’impatto del cambiamento climatico a metà secolo ora è quantificata in un calo del 17% del PIL globale anziché del 19%. In termini assoluti si tratta di 32.000 miliardi di dollari l’anno anziché 38.000, una cifra che è cinque volte (e non sei) più grande di quello che dovrebbe essere l’investimento annuale in mitigazione. La distribuzione di questi danni economici però ora risulterebbe più iniqua di prima, con le regioni più povere che in termini percentuali soffrono di più.
Alcuni numeri sono quindi rivisti al ribasso, ma il messaggio finale resta sostanzialmente invariato: “I risultati principali restano validi: i danni economici causati dal cambiamento climatico entro la metà del secolo sono ingenti e superano i costi della mitigazione; sono determinati principalmente dalle variazioni di temperatura e colpiscono soprattutto le regioni con redditi bassi e basse emissioni storiche”.
“I risultati e i dati rivisti sono disponibili online affinché altri possano esaminarli” recita il comunicato, “anche se gli autori sottolineano che non sono ancora stati risottoposti a peer review. Gli autori e il PIK accolgono e apprezzano il feedback della più ampia comunità scientifica e si assumono la responsabilità delle mancanze che hanno portato a questa critica”.
In conclusione, questa vicenda racconta almeno due cose. La prima è che la comunità scientifica tende ad auto-correggere i propri errori e questo è indice di buona salute. La seconda è che in tema di clima spesso ci concentriamo sui dibattiti sbagliati: la scienza non discute più dell’esistenza o meno del riscaldamento globale (cosa che certi politici son tornati a fare), ma discute per esempio di quanto grave sarà il suo impatto sull’economia, riconoscendo e rigettando le ipotesi troppo catastrofiste, che però non screditano quelle più realiste.