Proprio com’era accaduto alla Cop28 di Dubai, la Cop 29 di Baku si è aperta con un colpo di scena. Un anno fa era stata l’ufficializzazione del fondo Loss & Damage a rubare la scena dei primi giorni della conferenza sul clima, mentre quest’anno la mossa inaspettata della presidenza azera è stata approvare immediatamente la nascita di un mercato di scambio dei crediti di carbonio, gestito direttamente da un organo di supervisione dalle Nazioni Unite.
Il testo approvato il primo giorno di lavori riguarda l’articolo 6 dell’accordo di Parigi, il Paris Agreement Crediting Mechanism, la parte più tecnica dell’accordo, su cui le parti discutono da un decennio senza trovare una linea comune. La decisione presa la sera dell’11 novembre riguarda solo il paragrafo 4 dell’articolo 6: stabilisce che il mercato esisterà, mentre i suoi meccanismi di funzionamento devono ancora venire delineati. Ad esempio, è ancora in fase di negoziazione l’articolo 6.2 che regola gli scambi bilaterali di crediti tra nazioni. Inoltre, andrà deciso quali tipologie di crediti includere nel mercato.
L’articolo 6 dell’accordo di Parigi affronta la questione della collaborazione internazionale nel ridurre le emissioni di gas serra, tramite approcci di mercato (articolo 6.2 e 6.4) e approcci non di mercato (articolo 6.8). Questi ultimi non sono definiti in modo preciso, ma per lo più si riferiscono varie tipologie di supporti finanziari allo sviluppo.
Gli approcci di mercato alla riduzione delle emissioni invece fanno riferimento principalmente ai crediti di carbonio associati ad attività di mitigazione di vario tipo. Può trattarsi di progetti agro-forestali che certificano la capacità di assorbire anidride carbonica o di evitare deforestazione, oppure può trattarsi di progetti tecnologici, come l’installazione di impianti rinnovabili che sostituendo impianti fossili dimostrano di ridurre le emissioni prodotte. Può anche trattarsi di impianti di cattura e stoccaggio delle emissioni (CCS).
Una volta generati, questi crediti possono venire scambiati in un mercato che ora avrà come autorità regolatrice direttamente la Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico, che lo regolamenterà tramite un Supervisory Body. A questo mercato possono partecipare sia imprese private sia Stati nazionali, ovvero tutti quegli attori che intendono raggiungere il Net Zero, cioè bilanciare il più possibile la somma tra emissioni prodotte e assorbite.
In linea di principio, gli Stati potranno scambiarsi tra di loro crediti associati a quote di emissioni ridotte o evitate, aiutandosi reciprocamente a raggiungere gli obiettivi di mitigazione degli impegni nazionali o NDCs (Nationally Determined Contributions). “Questo è un importante cambio di passo per concludere le negoziazioni sull’articolo 6” ha dichiarato Yalchin Rafiyev, negoziatore capo della presidenza azera alla Cop 29. “Questo strumento cambierà le carte in gioco per direzionare risorse verso il mondo in via di sviluppo e ci aiuterà a risparmiare fino a 250 miliardi di dollari all’anno nell’implementare i nostri piani climatici”.
L’idea del meccanismo di scambio crediti infatti è quella di efficientare il processo di mitigazione, portandolo là dove è più facile farlo. Un’industria pesante farà fatica ad azzerare del tutto le proprie emissioni, mentre un’area forestale adeguatamente gestita è in grado di assorbire una certa quantità di emissioni. Acquistando crediti, la ricchezza prodotta dall’industria di un Paese sviluppato può venire redistribuita a un Paese povero ma che abbonda di risorse naturali capaci di compensare le emissioni del Paese ricco. Si ritiene che così si potrà finanziare una parte di transizione nei Paesi in via di sviluppo.
Ad oggi un mercato analogo esiste già ed è sfruttato soprattutto da privati (anche se alcuni Stati come Singapore ricorrono già al meccanismo dei crediti di carbonio). Un’azienda europea o statunitense ad esempio può acquistare crediti di carbonio associati magari a un progetto forestale in Amazzonia che dimostra di assorbire CO2 dall’atmosfera o semplicemente di ridurre la deforestazione e quindi le emissioni che ne conseguirebbero. Comprando quei crediti, finora gestiti da poche società che fungono da enti certificatori, le aziende possono dire di aver compensato una certa quantità di emissioni.
Un’inchiesta di The Guardian, Die Zeit e Source Material aveva però esaminato un pacchetto di crediti associati a una tipologia di progetti forestali noti come REDD+ (Reducing emissions from deforestation and forest degradation), svelando che la stra grande maggioranza di quelli gestiti da Verra, una delle principali società certificatrici, non era associata a reali riduzioni di emissioni.
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Il problema che emergeva dall’inchiesta era profondo: non si trattava solo di frodi, ma di metodologie, ampiamente usate per il conteggio delle emissioni assorbite o ridotte, che erano piene di falle.
La sfida più grande del corpo di supervisione della Conferenza delle parti che dovrà gestire il nuovo mercato sarà evitare che gli errori compiuti finora nel mercato delle compensazioni carboniche (carbon offsets) vengano ripetuti sotto l’egida delle Nazioni Unite.
I prossimi passi prevedono, a partire dal prossimo anno, una serie di incontri tra membri del corpo di supervisione dell’Onu, portatori di interesse e gruppi di esperti sulle metodologie da usare per conteggiare le emissioni e creare i crediti, si legge su un documento dell’Unfccc. “Queste consultazioni forniranno opportunità per condividere buone pratiche, migliorare la comprensione delle regole dell’articolo 6.4, scambiare idee e facilitare la discussione tra i membri del corpo supervisore, la segreteria e i portatori di interesse sulle politiche da adottare”.
Il fatto che l’intero procedimento ora avvenga sotto la luce dei riflettori delle Nazioni Unite garantisce un livello di trasparenza prezioso che prima non c’era. Tuttavia, la trasparenza non è un requisito sufficiente a provare l’efficacia delle nuove metodologie che andranno sviluppate. Servirebbe invece tempo per testarle sul campo e dimostrare che alla riduzione di emissioni dichiarata corrisponde un reale beneficio per il clima, per gli ecosistemi interessati e per le popolazioni che vivono a stretto contatto con i patrimoni naturali che diventano oggetto di certificazione.
I crediti di carbonio, per come sono stati utilizzati finora, si sono rivelati una tecnologia finanziaria non ancora matura. È come se avessimo immesso sul mercato una nuova batteria non ancora testata, l’avessimo montata sulle auto elettriche e avessimo iniziato a vendere quelle auto, che però non andavano avanti.
Diversi attori stanno lavorando parallelamente allo sviluppo di metodologie più affidabili: la comunità dei ricercatori, l’Unione Europea e l’Integrity Council for Voluntary Carbon Market stanno cercando possibili soluzioni. Lo stesso corpo di supervisione dell'Onu aveva delineato a ottobre, prima dell'inizio della Cop29, delle valutazioni metodologiche in due distinti documenti. Tuttavia non è ancora chiaro verso quali regole si convergerà.
Ad oggi non godiamo del lusso di sapere se quelle nuove funzioneranno meglio delle precedenti. Il rischio di istituzionalizzare un enorme sistema di greenwashing sotto il bollino delle Nazioni Unite è ancora molto forte.
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