Shutterstock
Entro il 2050 l’economia europea (e si auspica anche quella mondiale) si è data l’obiettivo di diventare Net Zero. Significa che le emissioni antropiche dovranno essere pressoché azzerate, a eccezione di una piccola frazione che risulterà difficile da abbattere. Servirà allora, per raggiungere appunto la neutralità climatica, compensare quelle emissioni con soluzioni in grado di assorbire quantità equivalenti di anidride carbonica già presente in atmosfera. Tali soluzioni saranno in gran parte naturali (piante che tramite fotosintesi assorbono CO2) e in parte artificiali (le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio ad oggi non sono ancora disponibili su larga scala).
L’Europa a riguardo si è data un chiaro obiettivo: portare a 310 milioni di tonnellate di CO2 equivalente la quantità di emissioni assorbita da progetti di gestione del suolo agricolo e forestale (noto anche come carbon farming) entro il 2030, mentre le tecnologie industriali dovranno entro rimuovere entro quella data 5 MtCO2eq. Per realizzare questi obiettivi, che sono in linea con altre strategie come la Farm to Fork o la PAC (Politica Agricola Comune), l’Europa sta ora tentando di munirsi di uno strumento operativo.
Lo scorso 30 novembre infatti la Commissione Europea ha pubblicato una proposta di regolamento per la definizione di un mercato volontario basato su un sistema di crediti e certificazioni associati a progetti di assorbimento di carbonio. La logica è quella di incentivare la mitigazione del cambiamento climatico premiando gli operatori che gestiscono un’attività (agricola, forestale, edilizia o industriale) che contribuisca all’assorbimento di emissioni.
La tematica è molto complessa ed è diventata particolarmente calda dopo la pubblicazione di un’inchiesta giornalistica e scientifica su The Guardian, Die Ziet e SourceMaterial che ha rivelato come alcune delle metodologie più usate nel calcolo dei crediti associati alle compensazioni di emissioni, in particolare nei progetti di gestione forestale, risultano ampiamente problematiche in quanto sovrastimano la reale rimozione delle emissioni.
LEGGI ANCHE
In Europa esiste già un mercato di scambio di crediti di emissioni, l’ETS (Emission Trading System), la cui adesione da parte di tutte le imprese di una ventina di settori industriali è obbligatoria. Nel mondo esistono circa 25 mercati analoghi all’ETS, sia a livello nazionale sia sub nazionale (come Stati Uniti e California). Della maggioranza di questi non fa parte la rendicontazione di progetti afferenti al settore agricolo e forestale (l’acronimo è Afolu: Agriculture, Forestry and Other Land Use). La possibilità di integrarli nell’ETS per ora è esclusa, per lo meno prima del 2030, ma non dopo.
I progetti di rimozione del carbonio afferenti a questa categoria rientrano invece nel mercato delle compensazioni (carbon offsets) la cui adesione da parte di imprese, organizzazioni o singoli cittadini avviene esclusivamente su base volontaria. A livello mondiale esistono diversi enti certificatori e diversi registri in cui vengono scambiati i crediti: i principali attori a livello globale sono società come Gold Standard, American Carbon Registry e VCS-Verra (Verified Carbon Standard). Proprio quest’ultima è stata oggetto dell’inchiesta pubblicata su The Guardian e altre testate.
LEGGI ANCHE
Il testo della Commissione Europea riconosce l’esistenza di diversi schemi di certificazione che a loro volta si appoggiano a differenti metodologie per quantificare le rimozioni di carbonio dall’atmosfera e per valutare l’impatto ambientale dei progetti oggetto delle certificazioni. Anche per questo, con quella che viene definita la cornice della Carbon Removal Certification, la Commissione introduce l’acronimo QUALITY per fissare degli standard di riferimento in termini di QUantification, Additionality and baselines, Long-term storage and sustainabilITY. In seguito vedremo cosa significano alcuni di questi termini. Le metodologie di certificazione che verranno sviluppate sulla base di questi standard verranno discusse con un gruppo di esperti. Inoltre tutte le informazione riguardanti gli schemi di certificazione, i progetti certificati e i crediti assegnati verranno resi tracciabili su registri pubblici, si legge nella proposta della Commissione.
“Diverse autorità nazionali in Europa, a partire da quella inglese, in passato avevano sviluppato schemi nazionali per consentire la creazione di crediti e di un mercato regolato da applicare al settore agroforestale, che in Nord Europa ad esempio contempla non solo il settore agricolo o quello zootecnico, che produce emissioni, ma anche le torbiere (pitlands) che invece ne assorbono (carbon sink)” spiega Davide Pettenella, professore di economia forestale all’università di Padova e già presidente di FSC Italia, ente certificatore della gestione responsabile delle foreste italiane.
Se si guarda ai soli progetti forestali, che sono i più comuni nel mercato delle compensazioni volontarie (nel 2021 a livello globale valevano 1,3 miliardi di dollari e coprivano circa la metà di tutti i progetti di compensazione), ne esistono di diversi tipi: “si possono fare piantagioni, recuperi produttivi, difesa da incendi o da altri fenomeni di degrado forestale. Tutte queste attività, come quella di protezione delle torbiere e di miglioramento dei suoli agricoli, verranno essere riconosciute e certificate per la loro capacità di assorbimento di anidride carbonica, anche se sono molto diverse tra loro” spiega Pettenella. “Ciononostante, la Commissione le ha riunite in un’unica area: il settore agricolo e forestale. È stata poi individuata una seconda area di intervento: la fissazione di carbonio in prodotti a lungo ciclo di vita, ad esempio l’impiego di legname nella bioedilizia, un settore molto collegato all’iniziativa europea BauHaus. C’è poi una terza area per le tecnologie di rimozione industriale del carbonio”.
Trovare standard comuni a condizioni diverse non sarà affatto semplice, secondo Pettenella, soprattutto se non si farà affidamento a quelli già esistenti ma se ne vorranno creare di nuovi. “La Commissione Europea avrebbe potuto affidarsi a standard esistenti, valutarli con il suo gruppo di esperti, eventualmente modificarli e poi approvarli. Così ad esempio ha fatto il Canada”, che ha scelto di affidarsi proprio a Verra per sviluppare i suoi standard nazionali.
“La Commissione invece ha scelto un’altra strada: si affiderà a un gruppo di lavoro numeroso, composto da rappresentanti di organizzazioni di categoria, quindi del settore agricolo, del legno, del settore dell’energia che è particolarmente interessato ai sistemi di rimozione industriale. Con questo grande comitato dovranno essere concordati diversi standard. È lecito pensare che i rappresentanti delle lobby tireranno acqua al proprio mulino e trovare la quadratura del cerchio non sarà semplice”.
Ci sono infatti problemi tecnici anche molto complessi da risolvere, alcuni dei quali riassunti nell’acronimo QUALITY. Prendiamo l’esempio della permanenza, la L dell’acronimo QuaLity (Long-term storage), che deve essere garantita dai progetti oggetto di certificazione.
“Alcuni degli standard già sul mercato richiedono di garantire che l’anidride carbonica rimossa rimanga fissata per almeno 30 anni: per una permanenza di 10 anni non vengono assegnati i crediti. Il fatto è che si vuole creare un mercato unico per attività molto diverse tra loro. Ad esempio, se il legno di una foresta viene utilizzato in bioedilizia è compatibile con questi requisiti di permanenza, ma se la pianta della stessa foresta viene usata per produrre carta non si hanno più le condizioni di permanenza. Nel settore agricolo è ancora più complesso, perché si hanno orizzonti di investimento più corti: non è semplice chiedere a un agricoltore che si converte da sistema tradizionale a biologico di impegnarsi a mantenerlo per trent’anni”.
Naturalmente anche la rimozione industriale deve ancora dimostrare che l’anidride carbonica catturata e immagazzinata resti effettivamente sotto terra e non venga invece rilasciata gradualmente. Analogamente non si può pensare di attribuire crediti a progetti che catturano la CO2 e la iniettano in giacimenti di idrocarburi per aumentarne la pressione ed estrarre altri combustibili fossili.
Un ultimo aspetto che Pettenella sottolinea riguarda i cosiddetti early comers: “come si pensa di gestire quelle attività che incontrano già da anni i requisiti per la produzione di crediti? Cosa facciamo con gli agricoltori biologici? In Italia ci sono 80.000 aziende biologiche, per quasi 2 milioni di ettari utilizzati, che sulla carta presentano condizioni ottimali del terreno per incontrare gli standard di generazione crediti. La Commissione considererà gli early comers? Verrà premiata l’attività del passato o solo quella futura?”
Oltre agli agricoltori biologici ci sono tutte le buone pratiche dell’agricoltura integrata, gli interventi sulla filiera zootecnica per ridurne le emissioni, specialmente quelle di metano, e ancora l’uso razionale di concimi e fertilizzanti. “Se tutte queste attività potranno fare richiesta di riconoscimento di crediti, il mercato verrà invaso dai crediti? Se verrà invaso il valore dei crediti sarà basso”, di conseguenza disincentiverà la richiesta o renderà economicamente non sostenibili pratiche molto costose come la rimozione industriale. Se d’altro canto il mercato rimarrà meno aperto, il mancato riconoscimento di pratiche teoricamente idonee all’assegnazione di crediti sarebbe ingiusto. “La fatica della mediazione nel riconoscere gli early comers sarà enorme”.
LEGGI ANCHE
Scienza d’inchiesta #3: un’alleanza tra giornalismo e ricerca contro il greenwashing
Scienza d’inchiesta #4: verso nuovi metodi per crediti e compensazioni