SOCIETÀ

Scienza d’inchiesta #1: un problema di metodo per la finanza climatica

Tra le azioni di mitigazione del cambiamento climatico esistono dei progetti legati al settore forestale che hanno lo scopo di ridurre le emissioni tramite riforestazione, evitata deforestazione o prevenzione della degradazione forestale. Il loro acronimo è REDD+, sta appunto per Reducing emissions from deforestation and forest degradation e oltre a contrastare il riscaldamento globale contribuiscono anche a preservare la biodiversità.

Sono strumenti creati nell’ambito della Conferenza delle Parti per il clima delle Nazioni Unite, sono stati adottati per la prima volta dalla COP19 di Varsavia nel 2013, con il Warsaw Framework for REDD+, o WFR, e sono tra le possibili soluzioni che vengono menzionate dall’accordo di Parigi, all’articolo 5.

Per favorire la realizzazione di questo genere di progetti, la finanza climatica gioca un ruolo fondamentale. Nella fattispecie dei progetti REDD+, esiste un mercato di crediti di carbonio associati alle emissioni che i progetti forestali sono in grado di assorbire o semplicemente evitare.

Per ridurre il proprio impatto ambientale, grandi aziende ma anche solo privati cittadini, possono volontariamente acquistare questi crediti, o più correttamente compensazioni di emissioni (carbon offsets), fino anche ad arrivare a sostenere che i prodotti che vendono o i viaggi aerei con cui si spostano sono climaticamente neutrali (carbon neutral). Ogni credito vale 1 tonnellata di CO2 equivalente (1 tCO2eq) che non viene immesso in atmosfera.

Attualmente è anche in corso un dibattito in merito alla possibile inclusione dei progetti REDD+ nei conteggi delle NDCs (Nationally Determined Contribuitions), quei documenti previsti dall’accordo di Parigi che ogni nazione deve aggiornare per dimostrare il proprio impegno nella riduzione delle emissioni. Ad oggi, tuttavia, non esiste un consenso univoco a proposito dell’effettiva capacità di questi progetti di ridurre le emissioni.

Un’inchiesta condotta da The Guardian, dal settimanale tedesco Die Zeit e dall’organizzazione giornalistica no-profit SourceMaterial, ha analizzato un ampio pacchetto di crediti di carbonio associati a progetti forestali REDD+ in Sud America, Africa, Sud Est Asiatico e Oceania, e ha rivelato che la riduzione delle emissioni rivendicata dal sistema di assegnazione dei crediti è altamente sovrastimata.

In altre parole, le aziende che acquistano questi crediti rivendicano una compensazione o una riduzione di emissioni che in realtà o non è avvenuta o è molto minore di quanto sostenuto. Netflix, Gucci, Disney, Shell, EasyJet così come il marchio della band Pearl Jam, la casa di moda Giorgio Armani, Volkswagen, Total Energies, Lidl, Delta Airlines sono tra coloro che hanno acquistato i crediti oggetto dell’inchiesta.

Il punto nodale di tutta la vicenda è il metodo con cui vengono valutati i progetti e assegnati i crediti, un’attività gestita da pochi enti certificatori nel mondo. Uno dei criteri più diffusi è il Verified Carbon Standard (VCS) di Verra, società fondata in Svizzera nel 2007 e ora basata a Washington DC, che è al centro dell’inchiesta. Il mercato delle compensazioni volontarie di carbonio nel 2021 valeva 2 miliardi di dollari, ma ne valeva 300 milioni nel 2018 ed è stimato possa crescere fino a 100 miliardi entro il 2030. Nel 2021 i crediti associati ai soli progetti REDD+ ammontavano a 1,3 miliardi di dollari.

La materia è estremamente complicata: come ha dichiarato a SourceMaterial Elias Ayrey, uno scienziato che si è dimesso da Pachama, una delle aziende che utilizzando gli standard di Verra assegna e vende crediti relativi a progetti sviluppati ad esempio in Amazzonia, “i problemi che funestano il fiorente mercato delle compensazioni carboniche non sono, per la maggior parte, frodi o atti di corruzione, ma riflettono piuttosto il fallimento nel gestire le complessità della materia, il che porta a erodere la fiducia”. Secondo Ayrey, che parla con cognizione di causa, “molte delle persone che lavorano lì sono davvero brave persone, ma non hanno idea di quanto dettagliati e incasinati siano questi protocolli”.

Il problema non riguarda soltanto aziende private, ma arriva a interessare anche la legislazione di singoli Stati nazionali. Shell infatti sta usando proprio i crediti di Verra per fare appello alla decisione del tribunale olandese che ha imposto al colosso petrolifero di ridurre le proprie emissioni del 45% entro il 2030. In Colombia e a Singapore invece i crediti di Verra sono inclusi nella legislazione nazionale tra le azioni previste per ridurre le emissioni.

Un aspetto interessante e innovativo che ci preme sottolineare di questa inchiesta (ed è la ragione per cui ce ne occupiamo) è che in realtà di inchieste ce ne sono state due: una giornalistica, durata 9 mesi, e una scientifica, da cui la prima prende le mosse. Quest’ultima è stata riassunta in tre articoli scientifici, prodotti da collaborazioni internazionali, ma con un ruolo di primo piano da parte di ricercatori dell’università di Cambridge. Due articoli sono già stati pubblicati su riviste con peer review, uno su PNAS nell’agosto 2020, l’altro su Conservation Biology a giugno 2022, mentre il terzo è disponibile in preprint, in attesa di pubblicazione.

Le ricerche si occupano proprio di stimare, con metodi alternativi a quelli standardizzati dai VCS di Verra, quante emissioni i progetti REDD+ siano effettivamente in grado di evitare. “Si può dire con sicurezza che ci sono forti discrepanze tra quello che abbiamo trovato noi e ciò che è contenuto nei loro database” ha dichiarato al Guardian David A. Coomes, autore senior dell'università di Cambridge del lavoro su Conservation Biology. "Credo che quello che vogliamo ottenere sul lungo termine sia un consenso sui metodi da applicare a tutti i siti".

Prima di arrivare a spiegare in cosa è consistito il lavoro giornalistico e scientifico, vedremo nel prossimo articolo cosa sono i crediti e le compensazioni di emissioni, come funzionano e chi li gestisce.

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