SOCIETÀ
Scienza d’inchiesta #2: come funzionano crediti e compensazioni di emissioni
Si può dire che le compensazioni carboniche (carbon offsets), su cui si concentra l’inchiesta pubblicata su The Guardian, Die Zeit e SourceMaterial, siano un particolare tipo di crediti carbonici (carbon credits). Tuttavia, sebbene i due termini si possano usare spesso come sinonimi, esistono differenze importanti tra crediti e compensazioni.
Normalmente, al mercato dei crediti di carbonio è associato un sistema che serve a portare a una riduzione delle emissioni, come l’ETS europeo, di cui parleremo tra poco. Al mercato delle compensazioni invece dovrebbe essere associato un sistema che porta alla rimozione di una certa quantità di gas climalteranti dall’atmosfera, anche se in realtà rientrano nella categoria delle compensazioni anche progetti che soltanto riducono o evitano la produzione di altre emissioni (ad esempio installazioni di impianti rinnovabili).
La rimozione di gas climalteranti dall’atmosfera può avvenire tramite soluzioni naturali quali attività di riforestazione o di tutela di aree che altrimenti sarebbero soggette a deforestazione. È questo il caso dei progetti forestali REDD+ oggetto dell’inchiesta.
Può avvenire però anche tramite metodi artificiali, come la Direct Air Capture, le cui tecnologie tuttavia non sono ancora sviluppate a sufficienza. Coloro che sperano di poter dar vita a un’intensa attività finanziaria dalle tecnologie di cattura e sequestro della CO2 per ora devono attendere.
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I crediti e l’ETS
La differenza più importante tra crediti e compensazioni tuttavia è un’altra: tipicamente, i crediti vengono scambiati in un mercato a cui enti, aziende e organizzazioni devono aderire per legge, mentre l'adesione al mercato delle compensazioni avviene esclusivamente su base volontaria. Partiamo dal primo.
L’Unione Europea ha messo in piedi, per la prima volta nel 2005, un sistema di scambio delle emissioni, l’ETS (Emission Trading System), che consente ad esempio a una compagnia di comprare crediti di emissioni da un’altra compagnia. Il principio su cui si basa è il cosiddetto cap and trade, che significa tetto e scambio.
L’idea è che l’istituzione fissa un tetto alle emissioni complessive di un certo tipo di gas (CO2 o N2O) e nel tempo abbassa questo tetto per ridurle progressivamente. Allo stesso tempo crea un numero finito di crediti (tecnicamente si chiamano indennità, allowances) che i soggetti del mercato possono scambiarsi. Chi emette di più può comprare crediti da chi ne ha usati di meno e ne ha maggiore disponibilità, cioè da chi ha prodotto meno emissioni, mantenendo fisso il tetto complessivo.
Negli ultimi anni l’Unione Europea ha reso più costose le attività emissive, in modo tale da disincentivarle. Per la prima volta a fine gennaio 2023 il prezzo delle indennità ha raggiunto i 100 Euro a tonnellata di CO2, per il resto dell’anno ci si aspetta una media di poco sopra gli 80 Euro, mentre nel 2020 la media è stata di poco sopra i 20 Euro. L’adesione a questo sistema di scambio crediti è obbligatoria.
Le compensazioni e il mercato volontario
L’adesione al mercato delle compensazioni avviene invece su base volontaria, senza un obbligo di legge (salvo eccezioni). Possono aderirvi compagnie che vogliono ridurre la propria impronta climatica o che mirano al bollino di sostenibilità dei prodotti che vendono. Possono farlo anche singoli individui, una tantum acquistando compensazioni per un volo aereo, o più regolarmente per compensare ad esempio le emissioni della propria auto o del proprio riscaldamento domestico.
Quello delle compensazioni è un mercato più piccolo di quello obbligatorio, ma ci si aspetta crescerà molto nei prossimi anni. Secondo quanto riporta carboncredits.com nel 2018 valeva circa 300 milioni di dollari, nel 2021 era cresciuto a 2 miliardi ed entro il 2030 potrebbe raggiungere i 100 miliardi.
Chiunque può calcolare le emissioni della propria azienda, della propria abitazione, o del proprio stile di vita. Il sito dell’UNFCCC mette a disposizione uno strumento che funziona come un questionario da compilare.
Un’azienda che ha un piano di riduzione delle proprie emissioni deve catalogarle in tre diverse tipologie, secondo il protocollo GHG. Esiste un settore di finanza climatica che invece di crediti o compensazioni tratta bond legati a progetti di riduzione delle emissioni che un’azienda si impegna a realizzare, gli SLBs (Sustainaiblity-Linked Bonds). Un’inchiesta di Bloomberg aveva rivelato i problemi legati a questa tipologia di pacchetti finanziari.
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Quando un’azienda non riesce a fare abbastanza per ridurre le emissioni delle proprie attività, può rivolgersi al mercato delle compensazioni. Spesso lo fa passando per un broker che fa da tramite tra l’azienda e un’organizzazione che ha messo in piedi ad esempio un progetto di gestione sostenibile di un’area di foresta tropicale altrimenti soggetta a deforestazione. Questa tipologia di progetti, di cui fanno parte i REDD+ oggetto dell’inchiesta, è una delle più comuni nel mercato delle compensazioni.
Come vengono calcolati i crediti per le compensazioni
Nel presentare il proprio progetto, l’organizzazione effettua una valutazione di quale sarebbe stato il tasso di deforestazione in quell’area e quanta invece il proprio progetto permette di evitarne. Meno alberi abbattuti si traducono in una maggiore capacità della foresta di assorbire una certa quantità di gas a effetto serra. Applicando una serie di metodi e standard (questo è il punto su cui l’inchiesta di concentra), tale quantità viene calcolata e tradotta in crediti: ogni tonnellata di CO2 rimossa dall’atmosfera diventa 1 credito.
Se il progetto passa l’attività di revisione, che viene svolta da un ente terzo, riceve i crediti da un ente certificatore. Alcuni tra i più importanti al mondo sono Climate Action Reserve, Gold Standard, American Carbon Registry e, appunto, Verra, società al centro dell’inchiesta, in quanto titolare delle metodologie più diffuse per il calcolo dei crediti: i VCS (Verified Carbon Standard).
Una volta che il progetto ha il via libera, i crediti ad esso associati vengono inseriti nel database dell’ente certificatore, dove l’azienda interessata a ridurre il proprio impatto ambientale può andare ad acquistarli.
Ad esempio un’organizzazione può stimare che il proprio progetto fa risparmiare 100 ettari di deforestazione, che possono essere convertiti complessivamente, secondo le regole e le formule stabilite da Verra, in 40.000 tonnellate di CO2 equivalente non emesse, riporta il Guardian. Tali emissioni risparmiate vengono convertite in crediti acquistabili da un’azienda che le potrà includere nei proprio conteggio di riduzione delle emissioni.
Pachama e il progetto in Amazzonia
Le metodologie fornite da Verra vengono utilizzate da diversi operatori in tutto il mondo. Pachama è una compagnia di San Francisco fondata nel 2019 che ha raccolto 80 milioni di dollari da investitori, tra cui la tennista Serena Williams e la conduttrice Ellen DeGeneres. L’azienda produce crediti di carbonio da vendere ad aziende che sono intenzionate a ridurre il proprio impatto ambientale.
Intervistato da SourceMaterial, Elias Ayrey ha dichiarato che Pachama era una delle più coscienziose organizzazioni che opera nell’ambito delle compensazioni di carbonio, ma dopo un anno da direttore di ricerca a Pachama, Ayrey ha deciso di lasciare il suo ruolo quando ha maturato la convinzione che l’azienda non stava aiutando a risolvere il problema del cambiamento climatico, ma anzi lo stava peggiorando.
La domanda di crediti era in forte crescita e questo portava alcuni a prendere scorciatoie, dichiara Ayrey: “senza che se ne accorgessero il profitto è diventato più importante di salvare il pianeta”. L’inchiesta ha infatti rivelato che Pachama vendeva crediti associati ad aree per nulla a rischio deforestazione o addirittura, almeno in un caso, dove una parziale deforestazione era avvenuta.
Un esempio riportato da SourceMaterial riguarda il progetto gestito dalla compagnia Bosques Amazónicos (BAM) nella regione Madre de Dios dell’Amazzonia peruviana che finanziava degli agricoltori per coltivare in modo sostenibile la noce del Brasile.
Nel 2021 però Foodwatch ha rivelato che BAM stava sovrastimando di 8 volte la quantità di deforestazione che il progetto stava prevenendo. Addirittura, le immagini satellitari mostrano che in quell’area la deforestazione è aumentata da quando il progetto è stato avviato.
Nei report annuali che BAM inviava a Pachama, Ayrey aveva notato che la compagnia aggiustava i confini dell’area da considerare escludendo le zone in cui gli agricoltori avevano abbattuto alberi. Ayery ha dichiarato che i suoi capi procrastinavano le discussioni a riguardo e continuavano rilasciare e vendere i crediti per le compensazioni associate a quel progetto. Tra coloro che li hanno acquistati c’è anche il marchio di moda Giorgio Armani.
In quell'occasione Verra avvertì BAM che la loro idea di escludere le aree abbattute dagli agricoltori di noci era inaccettabile, riporta SourceMaterial. BAM decise di non applicare ulteriori modifiche al progetto presentato e l'assegnazione di crediti da parte di Verra non subì alcuna modifica.
Una logica che non regge
Secondo quanto riporta il Guardian, Verra approva circa i tre quarti di tutte le compensazioni volontarie. SourceMaterial invece riporta che durante la COP27 di Sharm el-Sheikh lo scorso novembre Verra ha rivendicato di aver raggiunto 1 miliardo di crediti rilasciati, quindi di aver compensato 1 miliardo di tonnellate di CO2, un valore equivalente a tre volte le emissioni annuali del Regno Unito (la quantità di emissioni di CO2eq che ogni anno il mondo produce è più di 50 miliardi di tonnellate). I progetti di protezione delle foreste pluviali invece peserebbero tra il 30% e il 40% dei crediti che Verra approva.
La logica che porta un’azienda, magari del ricco occidente, ad affidarsi a una remota foresta dall’altra parte del mondo per far fronte ai propri impegni climatici è spiegata così da carboncredits.com: “l’idea dietro ai crediti e alle compensazioni è che, essendo la CO2 lo stesso gas ovunque nel mondo, non importa dove le emissioni vengono ridotte. Sia per i consumatori, sia per le aziende, da un punto di vista finanziario ha più senso ridurle dove costa di meno e dove è più facile farlo, anche se ciò non implica un coinvolgimento diretto delle proprie operazioni”.
In altri termini, le aziende continuano a massimizzare il proprio profitto senza rivedere l’impatto delle proprie modalità di produzione, mentre delocalizzano le proprie responsabilità climatiche, magari sostenendo che il prodotto venduto è climaticamente neutrale o che addirittura contribuisce a salvare una foresta.
Se poi però quei crediti si rivelano essere associati a una fittizia riduzione delle emissioni, come rivela l’inchiesta, tutta l’ipocrisia di questa logica viene a galla. A queste rivelazioni ha contribuito un'inchiesta in cui la ricerca scientifica ha svolto un ruolo di primo piano. Nel prossimo articolo vedremo più in dettaglio di cosa si tratta.
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