SOCIETÀ

Finanza non proprio sostenibile: i Sustainability-Linked Bonds

Dalla Cop27 da poco conclusasi in Egitto sono usciti almeno due messaggi fondamentali: l’importanza della finanza nell’affrontare il cambiamento climatico e il fatto che i Paesi e gli attori sociali non stanno facendo abbastanza per contrastarlo.

Una recente inchiesta di Bloomberg, pubblicata a inizio ottobre, tiene insieme questi due aspetti e mostra come alcuni strumenti finanziari, nella fattispecie Sustainability-Linked Bonds (SLBs), che sarebbero nati per favorire il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità di aziende e organizzazioni, nella migliore delle ipotesi non sono ambiziosi a sufficienza per avere un reale impatto sulla mitigazione climatica o, peggio, vengono usati come veri e propri strumenti di greenwashing da chi li adotta.

Emissioni del terzo tipo

Per capire come funzionano gli SLBs occorre però prima ricordare i criteri con cui vengono calcolate le emissioni di un soggetto sociale, pubblico o privato che sia. Ne abbiamo parlato in un articolo pubblicato su Il Bo Live. In sintesi, secondo il più diffuso metodo di calcolo delle emissioni standardizzato a livello internazionale, il GHG Protocol, esistono tre categorie di emissioni.

Le prime due raggruppano le emissioni direttamente prodotte dall’azienda e quelle associate alle fonti energetiche da essa utilizzate. La terza categoria, le scope 3 emissions, tiene conto invece di tutte le emissioni prodotte a monte e a valle della catena di valore di un’organizzazione, quindi le emissioni prodotte dai fornitori delle materie prime o quelle prodotte dai clienti a cui viene venduto il prodotto.

Per un’azienda che compila il report sulle proprie emissioni, quelle di tipo 3 sono le più difficili da calcolare, perché si basano spesso su dati riportati da altri soggetti e spesso questi dati sono inaccurati o addirittura mancanti. Per questo le abbiamo chiamate “emissioni del terzo tipo”.


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Green bond

Come è stato ribadito dalla Cop27, la finanza internazionale ha un ruolo cruciale nel mobilitare capitali che devono venire investiti in azioni funzionali alla riduzione delle emissioni globali, a partire da quelle delle singole aziende.

L’Europa è stata pioniera della finanza sostenibile, almeno da quando nel 2007 sono stati introdotti i green bond, i bond verdi, dalla Banca Europea di Investimento. Questo genere di investimenti è legato a specifici progetti di sostenibilità, come lo sviluppo di una certa quota di fonti rinnovabili, un certo obiettivo di efficientamento energetico, la riduzione dell’inquinamento e così via. Si tratta di obiettivi facilmente monitorabili e verificabili, come ad esempio l’installazione di un certo numero di MegaWatt di fotovoltaico nello stabilimento aziendale.

L’investitore acquista il bond, dando soldi all’azienda, e quest’ultima si impegna a pagare all’investitore un tasso di interesse maggiore laddove non dovesse centrare l’obiettivo. È quindi interesse dell’azienda raggiungere l’obiettivo di sostenibilità e utilizzere i soldi degli investitori per farlo. L'idea è quindi che la finanza crei uno strumento che permetta alla società di unire gli sforzi per avere un impatto positivo sul clima del pianeta.

Sustainability-Linked Bonds, o SLBs

Da meno di 4 anni un altro strumento finanziario ha iniziato a diffondersi tra le aziende di tutto il mondo, i Sustainability-Linked Bonds, o SLBs. Sono molto simili ai green bonds, con la sola ma cruciale differenza che non sono vincolati a progetti specifici di sostenibilità ma a più generici obiettivi di riduzione delle emissioni prodotte dall’azienda che li emette.

Una delle prime aziende che ha iniziato ha fare affidamento agli SLBs è stata l’italiana Enel, che nel 2019 ha emesso circa 1,5 miliardi di dollari di questi bond. Ad oggi l’azienda ha raccolto circa 20 miliardi di dollari dagli investitori con questi bond, secondo quanto riporta Bloomberg.

A metà 2022 il mercato degli SLBs aveva complessivamente superato un volume di 176 miliardi di dollari, secondo Climate Bonds Initiative. Rappresentano circa il 10% di tutti i bond sostenibili (ne esistono di diversi tipi) e gran parte degli SLBs, quasi il 70%, sono europei.

L’inchiesta di Bloomberg

Secondo quanto riporta Bloomberg tuttavia, c’è un grosso problema con gli SLBs: sono un ottimo strumento per attirare investimenti, ma non sono altrettanto validi per contrastare il riscaldamento globale.

Bloomberg ha analizzato più di 100 SLBs emessi da aziende di tutto il mondo e comprati da investitori europei per un volume di circa 70 miliardi di dollari: la maggior parte è legata a obiettivi climatici che sono “deboli, irrilevanti, o addirittura già raggiunti”, scirve Bloomberg.

Un caso tipico tra quelli analizzati è quello di Chanel, azienda di profumi, che due anni fa ha vincolato 600 milioni di dollari di SLBs alla riduzione, entro il 2030, del 10% delle proprie emissioni indirette di tipo 3. Al momento dell’emissione dei bond, tuttavia, dai report stessi dell’azienda quella categoria risultava già ridotta del 21% (rispetto al riferimento base, baseline). Un portavoce di Chanel ha detto che l’azienda non sapeva che l’obiettivo fosse già stato raggiunto.

Un altro caso riguarda Tesco, azienda britannica della grande distribuzione alimentare. Nel 2020 le sue emissioni sono state 76 milioni di tonnellate di CO2. Parte del piano climatico dell’azienda è volto a ridurre, entro il 2025, del 60% (rispetto al 2015) le proprie emissioni dirette: alla riduzione di queste emissioni sono vincolati gli obiettivi degli SLBs che ha emesso Tesco.

Il fatto è che le emissioni direttamente prodotte dall’azienda sono l’1,6% delle sue totali emissioni: la maggior parte sono quelle di tipo 3, prodotte da fornitori e clienti, a cui però gli obiettivi dei bond non sono legati. Inoltre, nel 2021, quando ha emesso i bond, l’azienda aveva già completato per il 90% l’obiettivo di riduzione delle proprie emissioni dirette. In altri termini, gli investimenti raccolti grazie al bollino della sostenibilità contribuiscono in minima parte a raggiungere un obiettivo climatico poco rilevante.

Anche Enel, secondo quanto riporta Bloomberg, non ha legato i circa 20 miliardi di dollari di SLBs alle proprie emissioni indirette, che nel 2021 erano più della metà di quelle totali del colosso dell’energia elettrica.

Altre aziende energetiche italiane, come quelle del gas A2A e Snam, hanno emesso SLBs legati solo alle emissioni dirette, di tipo 1 e 2, lasciando fuori quelle di tipo 3 che solitamente sono la maggior parte, nonostante sulle loro quantificazioni vi sia spesso incertezza.

Di 13.000 compagnie analizzate da Bloomberg, solo un quinto ha riportato le proprie emissioni di tipo 3 nell’anno fiscale 2020. Tra queste, un’azienda dell’Oil&Gas ha riportato che le proprie emissioni di tipo 3 erano, nel 2018, 11 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. La stessa categoria nel 2019 era scesa a 150.000 tonnellate, una riduzione di 70 volte da un anno all’altro. Nel computo del 2019 era stata tolta la voce relativa all’uso dei prodotti venduti (use of sold products).

Le difficoltà che un’azienda incontra nel calcolare le proprie emissioni indirette sono oggettive, ma non possono essere una scusa per prendersi gioco delle ambizioni climatiche. Tramite gli SLBs le aziende prendono in prestito soldi che restituiscono a un tasso di interesse basso, costruiscono di sé un’immagine di sostenibilità, ma non fanno di fatto nulla per migliorare il proprio impatto sull’ambiente. Secondo Bloomberg si tratta sostanzialmente di un’operazione di greenwashing istituzionalizzato.

“In un periodo in cui il bacino degli investitori si riduce e le banche centrali ritirano il proprio supporto ai mercati, le compagnie si trovano a dover offrire tassi di interesse più alti per attrarre prestatori” scrive Bloomberg. “Aggiungere condizioni di sostenibilità a quei debiti può persuadere gli investitori a tornare a far parte del bacino dei compratori, aiutando al contempo ad abbassare il pagamento degli interessi”.

Secondo una ricerca pubblicata a inizio di quest’anno, anche laddove gli impegni di sostenibilità cui gli SLBs sono vincolati non venissero rispettati, le aziende pagherebbero mediamente un aumento di tasso di interesse inferiore allo 0,3%: il rischio di pagamento extra è in ogni caso talmente basso che gli SLBs sono per le aziende “un pasto gratis”.

Ad oggi, ricorda Bloomberg, la maggior parte degli investimenti legati alla sostenibilità (ESG, acronomio che sta per environmental, social, governance) avvengono nel mercato delle azioni. Tuttavia, le aziende fanno molto più affidamento al debito che al mercato azionario. Il mercato dei bond aziendali complessivamente raggiunge i 22.000 miliardi di dollari ed è lì che, secondo Bloomberg, strumenti come gli SLBs potrebbero dilagare, senza portare alcun beneficio alla causa ambientale di cui si fanno ambasciatori.

Secondo Bloomberg più della metà degli SLBs europei che ha analizzato (emessi fino ad aprile 2022) ricadono, dal punto di vista climatico, nella categoria del business as usual: non producono nessuna reale riduzione delle emissioni, non fanno nessuna differenza per il clima, mantengono le cose così come stanno.

Molti dei portavoce delle aziende sentite da Bloomberg si sono detti disponibili a includere, in futuro, calcoli più precisi delle proprie emissioni indirette (di tipo 3) e a modificare gli obiettivi di sostenibilità legati agli SLBs di conseguenza. La domanda, si chiedono gli autori dell’inchiesta Priscila Azevedo Rocha, Akshat Rathi e Todd Gillespie, è quanto il clima possa ancora aspettare.

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