SOCIETÀ

L’Ucraina chiederà alla Russia 43 miliardi di danni climatici

Mentre droni e missili continuano ad attraversare i cieli, Russia e Stati Uniti stanno mettendo a punto un piano per punti che vorrebbe porre fine al conflitto in Ucraina, sottraendo a quest’ultima i territori orientali occupati dalle truppe russe. Dal 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione, si stima che siano caduti lungo il fronte 250.000 soldati russi e quasi 100.000 soldati ucraini. Contando anche i feriti, le cifre salirebbero rispettivamente a 900.000 e 400.000.

Oltre ai quelli umani, altissimi, i costi della guerra sono stati anche ambientali, in termini di danni agli ecosistemi, alla biodiversità e di emissioni prodotte. Diversi studi hanno provato a quantificarli e ora Kiev ha recentemente dichiarato che da inizio del prossimo anno si rivolgerà al Consiglio d’Europa per chiedere un risarcimento alla Russia per 43 miliardi di dollari (circa 37 miliardi di euro).

Questa cifra è stata calcolata dal rapporto Climate damage caused by Russia’s war in Ukraine, redatto dal ministero ucraino per l’economia, l’ambiente e l’agricoltura, da Initiative on GHG accounting of war e da Ecoaction, con il supporto finanziario dalla European Climate Foundation e dalla Swedish Society for Nature Conservation.

Il rapporto mostra che dal 24 febbraio 2022 a febbraio 2025 le attività belliche hanno prodotto 237 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, tanto quanto producono Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia messe insieme. Questo valore è stato poi moltiplicato per il costo sociale del carbonio, un indicatore sviluppato negli ultimi decenni, che fa corrispondere a ogni tonnellata di anidride carbonica emessa un costo economico pagato dalla società, in termini di danni sanitari, infrastrutturali, perdita di produttività e Pil e così via. Tale costo è stato quantificato in 185 $/tCO2, facendo riferimento alla letteratura scientifica più aggiornata.

“L’Initiative on GHG accounting of war è stata fondata nel marzo 2022 ed è un gruppo di esperti nell’analisi dell’impronta di carbonio” si legge nel rapporto. “L’Iniziativa ha realizzato cinque successive valutazioni della guerra in Ucraina, svolgendo al contempo ricerche su altri conflitti armati in corso. Recentemente, l’Iniziativa si è concentrata sull’impatto dell’aumento della spesa militare sulle emissioni militari. L’Iniziativa coopera con il Ministero dell’Economia, dell’Ambiente e dell’Agricoltura dell’Ucraina, ma svolge le valutazioni in modo indipendente e non riceve istruzioni dal Ministero né da altre organizzazioni”.

Il calcolo delle emissioni

Nel computo dei 237 milioni di tonnellate rientrano diverse voci. I combustibili fossili (diesel e kerosene) che alimentano mezzi militari, quali carri armati e aerei, costituiscono la maggior parte delle emissioni: 81,7 MtCO2.

Nel solo 2024, anno in cui il cambiamento climatico si è fatto sentire in Ucraina con condizioni particolarmente siccitose, gli incendi nelle foreste sono stati più di 20 volte quelli registrati in media dal 2006 al 2021: nei tre anni di guerra hanno rilasciato in atmosfera 46,7 MtCO2. Si arriva quasi a 50 MtCO2 contando anche gli incendi degli edifici. “Poiché non è possibile per i vigili del fuoco intervenire nelle zone di guerra, questi incendi infuriano in modo incontrollato, crescendo in dimensioni e intensità. L’anno 2024 si distingue come un esempio preoccupante del ciclo di distruzione in cui cambiamento climatico e conflitto armato si rafforzano a vicenda”.

Un’altra fonte di emissioni è rappresentata dagli attacchi ai depositi di carburanti e alle raffinerie di petrolio, da cui sono derivate non solo perdite di CO2, ma anche di altri gas fortemente climalteranti, come l’esafloruro di zolfo (SF6) e il metano, fuoriuscito anche dal sabotaggio della conduttura sottomarina North Stream 2. I danni alle infrastrutture energetiche hanno pesato per 17 MtCO2.

Un’altra conseguenza indiretta della guerra è quella del dirottamento del traffico aereo sopra le zone di conflitto. I voli civili hanno dovuto percorrere rotte più lunghe e consumare più carburante. Questo aumento è valso più di 20 MtCO2.

Infine nel conteggio del rapporto rientrano anche le emissioni che verranno dalle attività di ricostruzione, prodotte per l’80% dal cemento e dall’acciaio che verranno impiegati: la stima supera i 64 MtCO2.

Il costo sociale del carbonio

Per arrivare ai 43 miliardi di dollari richiesti da Kiev, è stata moltiplicata ogni tonnellata di emissioni per il costo sociale del carbonio, quantificato in 185 $/tCO2. Questo indicatore è stato sviluppato nel corso degli ultimi decenni dagli economisti, tra cui anche il Nobel per l’economia del 2018 William Nordhaus, tra i primi a occuparsi del nesso tra cambiamento climatico e crescita economica.

Quantificare il costo sociale del carbonio (Social Cost of Carbon – SCC) non è semplice e infatti il suo valore è spesso oscillato: pochi anni fa ad esempio era intorno a 50 dollari per tonnellata di CO2. Nel tempo però è cresciuta non solo l’economia, ma anche la temperatura media del pianeta e con essa gli impatti del cambiamento climatico. Il rapporto ha adottato il valore di 185 $/tCO2 per quantificare il SCC.

È interessante ricordare che l’amministrazione Trump ha scelto di togliere ogni riferimento al costo sociale del carbonio dai documenti federali statunitensi. L’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente statunitense (EPA) aveva proposto di adottare come riferimento del SCC proprio lo stesso valore usato nel rapporto della Initiative on GHG accounting of war, al fine di ottenere una stima dell’impatto socio-economico delle politiche federali che comportano la produzione di emissioni. Durante il suo primo mandato, Trump aveva mantenuto l’adozione del SCC, ma assegnandogli il valore arbitrario di circa 5 $/tCO2. Ora ha scelto di farne completamente a meno. Così ad esempio, non verranno messi a bilancio i costi socio-economici delle nuove estrazioni di gas e petrolio concesse nelle riserve naturali dell’Alaska.

Il presidente degli Stati Uniti aveva anche proposto di smantellare quasi completamente la FEMA, ossia la Federal Emergency Management Agency, che aveva il compito di assistere le comunità colpite da disastri naturali, ma sembra che un gruppo di consiglieri gli abbia suggerito di rivedere la sua decisione. Anche se per Trump il cambiamento climatico è una truffa, come ha detto davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite lo scorso settembre, non lo è per coloro che sono stati travolti da un alluvione in Texas lo scorso luglio: più di 130 persone hanno perso la vita e non è da escludere che tra le vittime ci fossero anche suoi elettori.

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