SOCIETÀ

La trasformazione del lavoro: le morti bianche

Il tema delle morti bianche è da sempre al centro della discussione quando si parla di lavoro. Forse il termine stesso non è il più corretto perché troppe volte di “bianco”, cioè di incolpevole, non c’è nessuno. Le morti sul lavoro infatti, salvo i casi imprevedibili, spesso sono evitabili. Arrivare poi alla locuzione “lavorare uccide” forse è esagerato, ma la sicurezza sul lavoro è e dev’essere un tema di primaria importanza. Non si può morire di lavoro ma non si dovrebbe nemmeno rischiare di infortunarsi, o essere sfruttati e lavorare 12 ore al giorno con paghe misere. Sono casi limite, volutamente generici, ma di esempi concreti da fare ce ne sarebbero decisamente troppi. Ciò che vogliamo analizzare invece è come l’Italia si inserisca nel panorama europeo, cioè capire se da noi si muore di più o di meno mentre si lavora. Partiamo quindi proprio dagli infortuni che si rivelano fatali. Secondo i dati Eurostat il Paese con gli incidenti, o meglio il tasso di incidenza infortunistica, cioè il numero di infortuni in rapporto alla popolazione occupata, più alto è Cipro, seguito dalla Bulgaria e poi dall’Italia.

Il primo dato che però è interessante analizzare è quello della tendenza. Vediamo infatti che negli ultimi dieci anni in quasi tutti gli Stati membri l’incidenza gli infortuni è calata. Sono un’eccezione solamente Lettonia, Lituania, Ungheria e proprio la Romania. A questa statistica, ma non solo come abbiamo spesso visto, bisogna sempre premettere che il 2020 è stato l’anno pandemico dove tutto è mutato, anche solo per lo stop lavorativo o l’uso massiccio del lavoro agile.

Ci sono poi quegli incidenti che risultano fatali. In questo caso la media dell’Unione Europea è di 2,1 ogni 100mila lavoratori e, come abbiamo già visto, solo Cipro e Malta hanno registrato un peggioramento rispetto al 2011. 

I Paesi con un’incidenza minore invece, sono l’Olanda, la Svezia e la Germania, rispettivamente con 0.3, 0.49 e 0.73 incidenti fatali ogni 100mila occupati. 

 

Se gli infortuni fatali sono una statistica tanto tragica quanto sicura, salvo rari casi, quella degli infortuni non fatali bisogna considerarla inevitabilmente sottostimata. Nonostante questo vediamo come le denunce per infortuni non fatali dal 2017 al 2021 siano state in tutta Italia più di 3 milioni. Le tre regioni in cui negli ultimi 4 anni sono accaduti più infortuni sul lavoro sono Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.

 

Sempre considerando gli ultimi 4 anni ed affidandoci ai dati rilasciati dall’INAIL, vediamo come le denunce di infortuni sul lavoro con esito però mortale siano state quasi 6.700 (6.699 per la precisione). Un dato del genere significa che mediamente in Italia sono morte più di 4,5 persone ogni giorno dal 2017 al 2021.

 

La fascia d’età che ha avuto più incidenti mortali sul lavoro nel 2021 poi è stata quella tra i 55 ed i 59 anni, seguita dai 50-55. Se i dati che abbiamo visto fino ad ora sono consolidati e certi, possiamo anche già fare delle ipotesi per il 2022, anno in cui la pandemia dovrebbe aver avuto un impatto meno incisivo, rispetto ai due anni precedenti, sulle modalità lavorative degli italiani. I dati sono sempre rilasciati dall’INAIL con una premessa però: “gli open data pubblicati sono provvisori e il loro confronto richiede cautele - scrive l’Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro -, in particolare rispetto all’andamento degli infortuni con esito mortale, soggetti all’effetto distorsivo di “punte occasionali” e dei tempi di trattazione delle pratiche”.

Detto ciò però vediamo come nel 2022 si sia registrato un netto aumento delle denunce per infortunio rispetto al 2021. Le cause sono per ora solo ipotizzabili e riguardano sia il fatto che ci sia stato un aumento degli infortuni “normali”, sia che nel totale degli infortuni sono contabilizzati anche quelli da Covid-19. L’aspetto positivo però, è che sembrano essere calati gli infortuni con esito mortale. 

In attesa d’avere i dati consolidati, che dovrebbero uscire con la relazione di metà anno dell’INAIL, vediamo come, al 31 dicembre 2022, siano aumentati rispetto al precedente anno sia i casi avvenuti in occasione di lavoro sia quelli in itinere. I primi, cioè quelli avvenuti proprio nel luogo di lavoro, hanno avuto un incremento del 28%, passando da 474.847 del 2021 ai 607.806 del 2022. Mentre i secondi, cioè quelli avvenuti nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il posto di lavoro, hanno fatto registrare un aumento dell’11,9%, passando da 80.389 a 89.967.

L’incremento poi è stato riscontrato sia in tutti i territori che in entrambi i sessi. L’aumento degli infortuni più consistente è stato nel Sud Italia, con un +37,3% rispetto all’anno precedente, seguito da Isole (+33,2%), Nord-Ovest (+30,4%), Centro (+29,4%) e Nord-Est (+13,3%). Mentre tra le regioni i maggiori aumenti si sono visti in Campania (+68,9%),  Liguria (+49,0%) e Lazio (+45,4%).

Come dicevamo anche entrami i sessi hanno riscontrato un incremento anche se per la componente femminile è stato maggiore (+42,9%, passando da 200.557 a 286.522 denunce). L’incremento poi ha interessato sia i lavoratori italiani (+27,0%), sia quelli extracomunitari (+20,8%) e comunitari (+15,8%), mentre per quanto riguarda le fasce d’età anche per il 2022 sembra confermarci ciò che abbiamo visto per il 2021: quasi la metà dei casi è avvenuta nella classe 40-59 anni.

Ci sono poi gli infortuni mortali. Queste nel 2022 sono state 1.090, 131 in meno rispetto a quelle registrate nel 2021 (-10,7%). “Questo calo - scrive l’INAIL - è la sintesi di un decremento delle denunce osservato nel quadrimestre gennaio-aprile (-33,8%) e di un incremento nel periodo maggio-dicembre (+7,1%), nel confronto tra i due anni. Si registrano 180 casi in meno rispetto al periodo gennaio-dicembre 2020 (1.270 decessi) e uno in più rispetto al periodo gennaio-dicembre 2019 (1.089 decessi)”.

Anche se la tendenza è negativa, almeno per quanto riguarda gli infortuni con esito mortale, quello degli incidenti sul lavoro è un tema che deve essere affrontato con serietà. Serietà significa sia dal punto di vista dei controlli dello Stato, sia dal punto di vista etico delle imprese. Avere l’incidenza tra le più alte d’Europa, per un Paese che come PIL nominale è la terza economia dell’Unione, è un campanello d’allarme che necessita un’attenzione particolare.

 


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