UNIVERSITÀ E SCUOLA

1924, il fascismo conquista l'aula

Tutto inizia nel dicembre 1924, quando a Padova nasce la “Scuola di Scienze politiche e sociali”, che solo nel 1933 prenderà il nome di facoltà di Scienze politiche. È la storia narrata dalla ricercatrice Giulia Simone in Fascismo in cattedra. La Facoltà di Scienze politiche di Padova dalle origini alla Liberazione (1924-1945), appena pubblicato da Padova University Press. L’opera ricostruisce, attraverso l’esame di documenti inediti, il percorso di una delle prime istituzioni pubbliche del genere in Italia, nata lo stesso anno delle omologhe a Roma e a Pavia. L’impulso decisivo è arrivato l’anno prima con la “Riforma Gentile”, secondo Mussolini “la più fascista delle riforme”, grazie alla quale gli atenei possono istituire nuove facoltà o scuole. Nell’atto di nascita dell’istituzione padovana si inseriscono fin dall’inizio personalità illustri come Corrado Gini, Francesco Carnelutti e soprattutto Alfredo Rocco, dal 1910 professore a Padova, a lungo ministro della giustizia e più tardi padre della futura codificazione penale fascista; critico è invece Giulio Alessio, deputato liberale in seguito progressivamente ostracizzato dall’establishment fascista.

L’intento originario è quello di creare un corso di studi che formi i dirigenti e i quadri della pubblica amministrazione, affiancando alle classiche competenze giuridiche lo studio delle altre scienze sociali come economia, statistica, storia  e ovviamente scienza politica. All’inizio la maggioranza degli studenti sceglie il nuovo corso di studi come seconda laurea (i giuristi ad esempio possono iscriversi direttamente al quarto anno); a questi successivamente si aggiungono quelli che si iscrivono a singoli insegnamenti oppure ai corsi di perfezionamento per chi lavora già nelle amministrazioni. In quanto destinata a formare il nerbo dell’apparato statale, Scienze politiche si pone fin da subito come “la più fascista della facoltà”: un carattere che si consolida con il rafforzarsi del regime. L’ideologia fascista si diffonde negli insegnamenti – con  i corsi su ordinamento sindacale e corporativo, diritto coloniale, storia e dottrina del fascismo e studi sulla razza –, nella selezione dei docenti e anche tra gli studenti, che sempre più in massa aderiscono alla Gioventù Universitaria Fascista (Guf). 

Deus ex machina della situazione è fin dall’inizio Donato Donati, costituzionalista e docente di dottrina dello stato, che con la sua parabola personale rappresenta bene anche la vicenda della facoltà e delle persone che intorno ad essa gravitavano. Passato dal nazionalismo al fascismo fin dalla prima ora, Donati si spende tantissimo per avviare la scuola, trovando personalmente i finanziamenti presso privati (in particolare istituti di credito), e successivamente  dirigendo l’istituzione per quasi 15 anni. Fino al 1938, quando a causa delle leggi razziali viene dichiarato decaduto, perché ebreo, dall’incarico di preside della Facoltà. Un atto a cui Donati vuole rispondere con una sua tragica coerenza. All’amico e collega Giuseppe Gola, che gli suggerisce di dimettersi prima che la circolare diventi operativa, lo studioso infatti risponde:

“Date queste disposizioni già prese dal Governo, la presentazione di un atto anticipato di dimissioni assume il valore di un atto di protesta che io, come italiano e fascista, non intendo compiere”.

Donati condivide la sorte con illustri colleghi illustri della facoltà che ha fondato, come il filosofo del diritto Adolfo Ravà e l’economista Marco Fanno, anche loro in principio fedeli al regime, ma anche con gli studenti ebrei, via via emarginati e infine espulsi. A guidare la campagna d’odio è Il Bò, il giornale degli studenti che nel periodo fascista divenne organo del Guf padovano diretto dal segretario Gustavo Piva, a sua volta iscritto proprio a Scienze politiche.

Solo con l’avanzare della guerra il monolite sembra poco a poco rompersi con i primi focolai di opposizione al regime. Il giovane Norberto Bobbio, arrivato a Padova alla fine del 1940, viene accusato di condurre attività antifasciste presso l’Istituto di filosofia del diritto, e per questo il 6 dicembre viene arrestato a Padova. Quando viene scarcerato fugge a Torino, dove si unisce al Comitato di Liberazione nazionale. Ad essere particolarmente soggetti ai turbini della storia sono gli studenti, in quanto in età per prendere le armi. Alcuni optano per la Repubblica sociale, altri raggiungono i partigiani: sulle 12 medaglie d’oro al valor militare attribuite a studenti padovani per la loro partecipazione alla Resistenza, tre vanno alla memoria di studenti di scienze politiche.

Con la fine della guerra tutte le facoltà di scienze politiche vengono addirittura chiuse, i professori e gli studenti trasferiti d’imperio a giurisprudenza. Ma non è la parola fine: l’idea che sta alla base del corso di studi viene ancora considerata valida dal punto di vista formativo e anche occupazionale, quindi il 22 luglio 1948 la facoltà padovana inizia a risorgere dalle ceneri. La questione, sembra suggerire Giulia Simone, è che la natura stessa delle materie che ne compongono il ciclo di studi rendono le scienze politiche particolarmente sensibili ad assorbire e a rappresentare le temperie culturali del momento. Non è un caso, scrive Gianni Riccamboni nell’introduzione, che durante gli anni di piombo proprio la facoltà di Scienze politiche si presenti nell’ateneo patavino come “la sede privilegiata per l’elaborazione ideologica delle strategie violente di cui la città fu vittima e protagonista insieme”.

Ciò però non toglie l’attualità dello studio di Giulia Simone, nella misura in cui è utile non solo a scoprire le origini di un percorso di studi, ma anche ad aggiungere un tassello alla riflessione sul rapporto tra mondo universitario, società e libertà. 

Daniele Mont D’Arpizio

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