SOCIETÀ

Genitori, imparate a usare WhatsApp!

Steve Jobs era poco permissivo con i propri figli. Chris Anderson, amministratore delegato di 3D Robotics, impone limiti di tempo e controlli rigorosi. Evan Williams, uno dei fondatori di Twitter, preferisce dare libri ai propri ragazzi. Strano a dirsi, ma il terreno è quello delle nuove tecnologie, dal computer al tablet allo smartphone. Strano, perché da chi lavora nel settore ci si aspetterebbe forse un atteggiamento meno restrittivo. E invece, scrive Nick Bilton su The New York Times, sembra esistere in questi genitori una maggiore consapevolezza delle insidie che ne possono derivare. Dall’esposizione a contenuti dannosi fino al rischio di diventare dipendenti. “Ho visto in prima persona i danni che può provocare la tecnologia – sostiene Anderson – e non voglio che questo accada ai miei figli”.

Secondo un’indagine condotta dall’Osservatorio della Società italiana di Pediatria (Sip), Le abitudini e stili di vita degli adolescenti italiani(edizione 2014), se nel 2005 meno del 10% dei ragazzi si collegava a internet, oggi l’81% di loro (su un campione di 2107 studenti di terza media) si collega quotidianamente e la percentuale di chi si collega da uno smartphone è passata dal 65% del 2012 al 93% nel 2014. Il 75% ha un profilo Facebook e l’81% utilizza WhatsApp. Nonostante sia vietato ai minori, 13 ragazzi su 100 hanno provato il gioco d’azzardo on line. E a ciò va aggiunto che l’approccio con le nuove tecnologie oggi inizia ben prima dei 13 anni.

Se questi sono i dati, come comportarsi dunque? “Ciò che è importante – sottolinea Paolo Albiero, presidente del corso di laurea in scienze psicologiche dello sviluppo e dell'educazione dell’università di Padova – è la misura: se controllato l’uso delle nuove tecnologie può favorire lo sviluppo di abilità cognitive importanti”. Anche se, va detto, ne può rallentare altre.

In un recente lavoro Lucia Collerone e Giuseppe Città sottolineano come i bambini che crescono in un ambiente ricco di stimoli multimediali abbiano un cervello con connessioni diverse da quelle di chi è cresciuto senza tali sollecitazioni. Gli studiosi spiegano che l’utilizzo del digitale (i video games ad esempio) aumenterebbe le abilità visivo-spaziali, le quali tuttavia potrebbero condizionare l’uso di quelle linguistiche. L’ipertestualità, che tanta parte ricopre nei contenuti on line, induce a una fruizione non lineare dei testi e interattiva, contrariamente a quanto accade con un testo a stampa. Il googling sviluppa la capacità di scegliere in modo veloce orientandosi tra una grande quantità di informazioni. E ancora, aggiunge Albiero, i nuovi media favoriscono il potenziamento di abilità sociali e di relazione, ma possono creare difficoltà nello sviluppo della memoria.

“È bene – continua il docente – che le nuove generazioni di nativi digitali familiarizzino fin da subito con le nuove tecnologie che sono parte integrante della loro vita sociale, scolastica prima e lavorativa poi”.  Esistono ad esempio tablet pensati per bambini di quattro, cinque anni con software educativi e sistemi di controllo rigorosi. Non esistono dunque controindicazioni a un’esposizione precoce, il punto è il modo in cui questa esposizione avviene e i genitori hanno un ruolo fondamentale. “I genitori – spiega – hanno il compito di aiutare e accompagnare i figli nell’utilizzo delle nuove tecnologie”. Parola chiave “co-tutoraggio”. “Il divario generazionale non deve rimanere un alibi per limitarsi a essere osservatori passivi dei comportamenti dei ragazzi. È necessario modificare la propria ‘genitorialità digitale’ e imparare a usare le tecnologie che i figli apprendono con gran velocità”. La conoscenza dei mezzi permette di parlare ai ragazzi con cognizione di causa aprendo un dialogo costruttivo, di monitorarne il comportamento e di esercitare una funzione di protezione dai pericoli nascosti dietro lo schermo. Apre un canale di comunicazione che lascia spazio alla confidenza. Albieri dunque sottolinea l’importanza che i genitori usino computer, tablet, smartphone insieme ai figli, spiegando loro i concetti di base. Parlare di argomenti come la privacy, il copyright, il cyberbullismo, il sexting contribuisce a responsabilizzare i figli e a creare una cultura familiare comune e condivisa.      

“Un genitore può esercitare il controllo sui figli in molti modi. Può usare programmi di blocco, vedere a posteriori i siti visitati, controllare la posta elettronica, ma si tratta di accorgimenti che danno una garanzia solo apparente”. A prevalere deve essere l’educazione e la condivisione, un tipo di approccio che dovrebbe avere inizio fin dalla tenera età (quando i bambini hanno meno “anticorpi”), dosando il tipo di controllo, lo stile di comunicazione e di atteggiamento via via che il ragazzo cresce. In questo modo si trasferiscono valori fondamentali ben prima dell’adolescenza, momento in cui i figli sono poco inclini ad ascoltare i genitori.

“I limiti e le regole vanno certamente posti, ma non devono riguardare solo i ragazzi quanto piuttosto tutta la famiglia”. Se un padre o una madre trascorrono molto tempo davanti al computer o allo smartphone, non si può pretendere un atteggiamento differente dai figli. Per molti genitori tablet e pc sono baby sitter a costo zero, sostituti del ruolo genitoriale, che permettono di tenere controllati i bambini, ma anche questa via è sbagliata. I modelli di comportamento sono necessari per guidare i ragazzi e la linea deve essere la stessa nel mondo reale e virtuale. E anche il confronto con altre famiglie diventa costruttivo, perché permette di ricavare esempi utili dall’esperienza degli altri.  

Conoscenza, condivisione e dialogo sembrano dunque essere le parole chiave nella relazione tra genitori, figli e nuove tecnologie. Una linea che dovrebbe orientare non solo nell’ambiente digitale, ma anche nella vita quotidiana.

Monica Panetto

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