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Uno dei sintomi degli anni che passano è quello di non ricordarsi come si era durante l’adolescenza, di idealizzarla o liricizzarla, magari creando inconsciamente una versione giovane di noi stessi che ci piace di più. Non capita a tutti, ma a qualcuno sì, altrimenti non si spiega come mai per alcuni sia una buona idea vietare i cellulari a scuola, si veda alla voce “fascino del proibito”.
Negli ultimi anni, l'uso degli smartphone da parte degli adolescenti è diventato un tema centrale nel dibattito pubblico. La narrazione dominante sostiene che l'abuso di questi dispositivi sia direttamente responsabile del peggioramento della salute mentale, della scarsa qualità del sonno, della riduzione dell'attività fisica e del calo del rendimento scolastico e questo ha portato alcune scuole di vari paesi come Francia, Australia e Brasile a vietarne l’uso durante tutto l’orario scolastico.
Vietare i cellulari a scuola serve?
Uno studio condotto dai ricercatori dell'Università di Birmingham e pubblicato su The Lancet Regional Health Europe ha cercato di valutare l'efficacia delle politiche scolastiche che vietano l'uso degli smartphone e il loro impatto effettivo su vari aspetti della vita degli studenti, tra cui il benessere mentale, l'attività fisica, il sonno e il rendimento. Lo studio ha coinvolto un campione di 1.227 studenti tra gli 11 e i 18 anni provenienti da 30 scuole secondarie in Inghilterra. Tra queste, 20 scuole avevano politiche restrittive che vietavano l'uso dei telefoni durante l'intero orario scolastico, mentre le restanti 10 non prevedevano alcun divieto.
I dati sono stati raccolti attraverso questionari compilati dagli studenti senza supervisione. Le domande vertevano sull'uso quotidiano dello smartphone, sul tempo trascorso sui social media, sul benessere mentale auto percepito (valutato tramite scale standardizzate per ansia e depressione), sui livelli di attività fisica, sulla qualità del sonno e sui risultati scolastici in inglese e matematica (unica variabile definita, quantificata tramite i voti). Le informazioni sulle politiche scolastiche sono state invece raccolte attraverso la consultazione dei regolamenti e grazie a interviste con il personale scolastico.
I limiti dello studio
Lo studio presenta alcuni limiti metodologici. I questionari auto compilati possono essere imprecisi
perché gli studenti dovevano dire quanto tempo passavano al telefono, quanto dormivano, come si sentivano psicologicamente, quindi per esempio qualcuno può avere sottostimato il tempo passato online perché pensava che i genitori o gli insegnanti avrebbero letto i risultati. Oppure altri hanno esagerato i propri sintomi di stress o ansia perché hanno compilato il questionario in una giornata storta. Del resto, è bene precisarlo, anche gli studi che teorizzano che i cellulari siano dannosi si basano su questionari auto compilati.
I ricercatori hanno cercato di raccogliere dati reali sull’uso degli smartphone usando dispositivi di tracciamento, ma molti studenti non hanno collaborato, quindi questa parte della ricerca non ha dato risultati utili. Di conseguenza, i ricercatori hanno dovuto basarsi sulle dichiarazioni degli studenti, che – come abbiamo visto – possono non essere affidabili.
“ I cellulari fanno davvero male agli adolescenti? Le ricerche che lo sostengono non sono rigorose
I risultati dello studio
Nonostante i limiti, questo studio è importante perché ha posto la questione della presenza, o meno, di benefici derivanti dal divieto, cosa che nelle scuole non veniva fatta: si vietava perché era semplice, senza prevedere l’analisi dei risultati. Quello che emerge da questo lavoro è che vietare lo smartphone a scuola non migliora la vita degli studenti, almeno nel breve termine. L'analisi dei dati ha rivelato che gli studenti delle scuole con politiche restrittive sull'uso degli smartphone riportavano una riduzione media di 40 minuti nell'uso del telefono e di 30 minuti nell'uso dei social media durante l'orario scolastico rispetto agli studenti delle scuole senza tali politiche, ma questo non corrispondeva a una riduzione dell’uso complessivo (quindi gli studenti recuperavano in altre fasce orarie). Tra i due gruppi non è emersa alcuna differenza significativa in termini di benessere mentale, attività fisica, qualità del sonno, risultati scolastici e tendenza a disturbare in classe.
Ora che abbiamo dei dati per valutare l’effetto del divieto, facciamo un passo indietro, perché alla base di queste politiche c’è la convinzione che lo smartphone e i social “facciano male” agli adolescenti. Ma è veramente così?
Usare troppo il cellulare causa depressione e ansia?
Certo, servirebbero studi più lunghi con dati più precisi e un monitoraggio più dettagliato dell’uso degli smartphone per capire davvero come questi dispositivi influenzano i giovani, e soprattutto il campione dovrebbe essere sì numeroso come in questo caso, ma anche selezionato per categorie, per esempio nella popolazione a rischio più vulnerabile socialmente, e andrebbe definito meglio anche il tipo di malessere da indagare, perché tristezza, depressione, ansia e insonnia costituiscono problemi molto diversi tra di loro. Sarebbe sbagliato prendere uno studio come questo e usarlo come prova definitiva: la scienza funziona confrontando studi diversi, senza cercare risposte facili.
Il problema è che troppo spesso le risposte facili sono quelle che asseriscono il contrario: la narrazione dominante sostiene che l'abuso di questi dispositivi sia direttamente responsabile dei problemi citati, ed è facile capire perché: l’allarmismo e il panico morale generano click, e il business dietro i percorsi di “disintossicazione” dai dispositivi è in crescita, e c’è chi se ne approfitta. Eppure Tiziana Metitieri, neuropsicologa clinica infantile all’ospedale Meyer di Firenze, ci spiega che non esistono prove solide a sostegno dell'idea che il cellulare in sé causi problemi psicologici o educativi. Gli studi più rigorosi non evidenziano un legame diretto tra l'uso dello smartphone e il malessere mentale, mentre quelli che lo fanno hanno dei problemi di metodo alla base: spesso nella scelta del campione si tende a generalizzare senza considerare il contesto individuale.
Gli studi su tutta la popolazione adolescente hanno poco senso
“Gli adolescenti più vulnerabili – spiega Metitieri – come quelli che hanno subito bullismo o che provengono da contesti socioeconomici difficili, potrebbero avere un uso problematico del telefono (e non una dipendenza da cui disintossicarsi), ma questo non significa che sia lo smartphone a generare il loro malessere. Il livello di educazione digitale ricevuto, la disponibilità di attività alternative e il modello di comportamento dei genitori influenzano il modo in cui i ragazzi utilizzano la tecnologia. Per questo, non si può generalizzare il problema e applicare soluzioni uniche a contesti diversi”. Un genitore che legge un articolo allarmistico su questo argomento potrebbe pensare che ci sia una correlazione causale tra i due fenomeni, e invece l’utilizzo problematico dei dispositivi potrebbe essere un sintomo di una condizione di disagio e non la sua causa. Un adolescente che già sperimenta ansia o depressione, per esempio, potrebbe rifugiarsi nel telefono per cercare distrazione o supporto sociale, e in questo caso il cellulare non è la causa del problema, ma una conseguenza di un disagio preesistente. “Gli studi che non tengono conto di questa bidirezionalità – spiega Metitieri – finiscono per rafforzare falsi miti e alimentare allarmismi ingiustificati.
Un altro problema è quello del contesto ambientale ed economico, oltre che sociale (anche se spesso le due cose hanno vari punti di contatto): Metitieri evidenzia che un ragazzo che vive in un piccolo paese senza spazi di aggregazione o attività extracurriculari ha meno alternative rispetto a chi vive in una grande città con opportunità diverse. Questo contesto influisce sul tempo trascorso online e sulla percezione che si ha dell’uso del telefono.
A volte si passa sotto silenzio il fatto che gli studi che sostengono la dannosità dello smartphone spesso presentano limiti metodologici significativi. Molti di questi studi si basano su questionari autocompilati dagli adolescenti. Questo approccio presenta numerosi problemi: i dati autoriferiti sono spesso imprecisi, influenzati dallo stato d'animo del momento o dalla desiderabilità sociale (cioè si tende a dare risposte che si ritengono più apprezzate). Come se non bastasse, molte ricerche si concentrano esclusivamente sul tempo di utilizzo, ignorando il contenuto fruito e il contesto in cui avviene l’uso del telefono: “Uno studente – precisa Metitieri – potrebbe passare molto tempo sullo smartphone per accedere a contenuti educativi o per socializzare in modo sano, eppure verrebbe comunque classificato come a rischio secondo alcuni studi”. Il punto, insomma, non è quanto si usi il telefono, ma come.
Come affrontare l’uso problematico del cellulare?
Abbiamo parlato di uso problematico, ma cosa si intende? “L'uso problematico – spiega Metitieri – si riferisce a un comportamento che ha conseguenze negative sulla vita dell'individuo: per esempio, scrollare lo schermo a letto fino a tarda notte può compromettere il sonno, ma il problema non è il telefono in sé, bensì la perdita di ore di riposo. Questo comportamento può essere cambiato attraverso abitudini migliori, senza necessariamente ricorrere a divieti assoluti”.
Metitieri suggerisce che invece di imporre divieti inefficaci, sarebbe più utile educare i ragazzi a un uso consapevole della tecnologia: insegnare loro a riconoscere contenuti dannosi, a gestire il proprio tempo online e a sviluppare autonomia digitale è una strategia più efficace rispetto alle misure repressive. Anche le scuole dovrebbero adottare un approccio più equilibrato, utilizzando il telefono come strumento didattico e insegnando agli studenti come sfruttarlo in modo positivo, invece di demonizzarlo.
Il dibattito sull’uso degli smartphone tra i giovani dovrebbe quindi spostarsi da una prospettiva di divieto a una di comprensione e regolazione consapevole. La tecnologia fa parte della vita quotidiana e cercare di eliminarla non è una soluzione realistica, né auspicabile visto che spesso si rivela utile. Il vero obiettivo dovrebbe essere quello di fornire ai giovani gli strumenti necessari per navigare il mondo digitale in modo critico e responsabile.
Alla luce di questi risultati, le scuole e i responsabili politici potrebbero considerare strategie alternative ai divieti, perché programmi educativi che promuovano un uso responsabile e consapevole della tecnologia potrebbero essere più efficaci nel migliorare il benessere degli studenti.