SCIENZA E RICERCA

Padova raccoglie la sfida delle comunicazioni del futuro

Quali nuovi strumenti per le comunicazioni arrivano dalla fisica fondamentale? Paolo Villoresi, del DEI - Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e responsabile del Progetto Strategico di Ateneo QuantumFuture, ci descrive la frontiera delle comunicazioni usando singoli fotoni, le particelle di luce per il cui controllo Serge Haroche ha vinto quest’anno il premio Nobel.

Cosa sono le comunicazioni quantistiche?

Rappresentano un nuovo paradigma nelle comunicazioni. Nell’essenza, sfruttano la codifica negli stati interni di particelle elementari, come la polarizzazione o la posizione o lo spin. In sintesi, nelle comunicazioni classiche si modula l’invio di un’onda radio tra le antenne o di impulsi luminosi nelle fibre ottiche con una serie di stati del trasmettitore “acceso” oppure “spento”; nelle comunicazione quantistiche è diverso: utilizzando singole particelle elementari come i fotoni – i quanti di luce che rappresentano i grani che formano un fascio luminoso – ad ogni invio si può scegliere lo stato da inviare con più libertà, un punto su una sfera. I principi di questa nuova tecnica di informazione quantistica derivano direttamente dai principi della fisica che descrive il microcosmo – la meccanica quantistica – e che  permette di pensare ad altri sviluppi analoghi, che riguardano il calcolo, rendendo più semplici delle operazioni complesse, o la metrologia, ad esempio rendendo autonomi sistemi di navigazione o più precise le misure nanoscopiche. Alcuni dei più prestigiosi laboratori di ricerca al mondo hanno raccolto la sfida e hanno iniziato a raggruppare le competenze e risorse per delineare questa nuova disciplina e farla progredire verso un nuovo orizzonte, dalla teoria alle ricadute tecnologiche.

In cosa consistono i vostri studi attuali?

Nel nostro gruppo, che si riunisce intorno al progetto strategico di ateneo QuantumFuture, abbiamo sviluppato un sistema di crittografia quantistica e ora puntiamo a comprendere come si comportano i fotoni quando vengono trasmessi lungo lunghi tratti in atmosfera, così da poter andare verso comunicazioni quantistiche via satellite. La polarizzazione del fotone, che noi usiamo per la codifica dei quantum-bit, o qubit, deve essere mantenuta nel percorso che il fotone compie fra il trasmettitore in orbita e il ricevitore a terra. Capire come i qubit possano essere trasmessi con alta fedeltà e possano essere raccolti da una sorgente in orbita è  tra gli obiettivi del progetto, per estendere la portata della comunicazione a singolo fotone.

Per questo fine abbiamo iniziato una campagna di esperimenti per misurare le deformazioni del fascio e provare vari tipi di telescopi per trasmettere e ricevere. Il campo di prova che permette di studiare il limite di queste comunicazioni sulla Terra è tra due isole dell’arcipelago delle Canarie, e in particolare tra le cime dei vulcani Teide a Tenerife, e Taburiente a La Palma, sede di importanti osservatori astronomici. Per farlo, abbiamo riunito le competenze dei gruppi che compongono QuantumFuture, che oltre all’ottica quantistica comprendono ricercatori di astronomia, di telecomunicazioni e di teoria dei controlli.

Quali sono le prime applicazioni a cui mirate?

L’applicazione più diretta è lo scambio di chiavi crittografiche basate sull’invio di un treno di qubit: questo metodo si chiama Quantum Key Distribution (QKD). È un approccio completamente differente da quello su cui si base la segretezza attuale delle chiavi. Per proteggere i dati che mandiamo su Internet, per esempio, la chiave crittografica consiste in un calcolo molto complicato da risolvere se si accede dall'esterno come una spia. La sicurezza sta tutta nel sapere che la spia avrebbe bisogno di molto tempo e un supercomputer per rompere la chiave, è una soluzione pratica, ma nessuno può escludere che con un algoritmo più potente di quanto usato oggi la sicurezza sia compromessa. La QKD, invece, si basa su dei limiti fondamentali imposti dalla fisica quantistica: non è possibile misurare le proprietà di un singolo fotone, per esempio l'asse della sua polarizzazione, senza lasciare tracce. Pertanto, misure effettuate prima della ricezione legittima, alterano gli stati dei qubit e permettono di identificare un eventuale attacco. Abbiamo realizzato al DEI un sistema di QKD che abbiamo dimostrato pubblicamente al Palazzo della ragione lo scorso anno, che ora studiamo come applicare ai sistemi satellitari. La visione a lungo termine, raggiungibile con uno sforzo internazionale i cui indicatori sono già in azione, è costituire un sistema che possa scambiare qubit in ogni punto del pianeta, permettendo di scambiare il paradigma della comunicazione classica con quella quantistica. In questo modo, la comunicazione sicura, il calcolo quantistico distribuito e un preciso standard metrologico verranno condivisi su scala planetaria, basandosi sui principi fondamentali della fisica.

Come ha deciso l’Università di Padova di raccogliere la sfida?

L’Ateneo ha investito 1.4 milioni di euro nell’arco di tre anni per restare in prima fila nel panorama internazionale nel progetto strategico QuantumFuture, che terminerà alla fine del 2013. Per questo scopo, diversi gruppi di ricerca hanno deciso di mettere insieme le loro competenze sia sperimentali, sia teoriche: telecomunicazioni, automatica, astronomia e ottica quantistica. La presenza di capacità tanto diverse è uno dei nostri punti di forza e uno degli aspetti più innovativi del progetto.

Marco Barbieri

Al progetto QuantumFuture, coordinato da Paolo Villoresi, collaborano: 

Davide Bacco, Nicola Baccichet, Cesare Barbieri (responsabile per Astronomia), Stefano Bonora, Matteo Canale, Ivan Capraro, Gianfranco Cariolaro, Stefano Cavazzani, Roberto Corvaja, Vania Da Deppo, Alberto Dall’Arche, Nicola Dalla Pozza, Augusto Ferrante, Francesca Gerlin, Nicola Laurenti (responsabile per Telecomunicazioni), Davide Marangon, Luca Mazzarella, Mattia Minozzi, Giampiero Naletto, Sergio Ortolani, Gianfranco Pierobon, Claudio Pernechele, Anna Sponselli, Francesco Ticozzi (responsabile per Teoria dei controlli), Andrea  Tomaello, Marco Tomasin, Giuseppe Vallone.

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