UNIVERSITÀ E SCUOLA

Hortus mirabilis, storie di piante, persone e scienziati

Dal 1545, l'Orto botanico dell'università di Padova, luogo di scienza, storia  e cultura, racconta storie di viaggi da mondi lontani che sono storie di piante, di scienziati e di persone che hanno calpestato i suoi viali.

Giovedì 5 ottobre è stato presentato, nella sala conferenze dell'Orto botanico, il volume Hortus Mirabilis – alla scoperta del più antico orto botanico del mondo, edito da Libri Illustrati Rizzoli (Milano, 2017), dedicato all'orto patrimonio dell'umanità dell'Unesco dal 1997. Dopo i saluti del rettore Rosario Rizzuto, del prefetto dell'Orto Barbara Baldan e del professor Giuseppe Zaccaria, sono intervenuti Telmo Pievani, filosofo evoluzionista e divulgatore, e Guido Barbujani, genetista e scrittore.

I medicamenti un tempo venivano distinti tra semplici e composti; i primi erano quelli provenienti dai regni naturali vegetale, animale e minerale, mentre i secondi risultavano dalla composizione dei primi. Poiché le piante dominavano questa categoria, l'Orto fu chiamato dei Semplici.

I semplici provenivano sia da territorio veneto e sia domini della Repubblica Serenissima nel Mediterraneo orientale. Mentre tra il Quattrocento e il Seicento Padova diveniva un prestigioso punto di riferimento scientifico, soprattutto per la medicina, da Venezia passavano merci e storie di ogni tipo: il fermento culturale veneziano forniva materie prime per l'organizzazione del sapere della Padova dei dottori. Nel corso degli anni e dei secoli i mercanti fecero transitare per i porti veneziani moltissime piante esotiche sconosciute, molte delle quali sono finite custodite, curate e studiate dai prefetti che si sono susseguiti negli anni alla direzione dell'Orto, che oggi conta circa 7.300 esemplari divisi in più di 3.000 specie erbacee, arbustive e arboree. Specie rare e minacciate come la sassifraga dei Berici; piante maestose come il ginko e la magnolia, la tamerice e l'albizia. La palma che Goethe descrisse nel suo saggio sulla metamorfosi delle piante risale al 1585. In autunno uno dei protagonisti dell'arboreto è sicuramente lo splendido acero palmato con il rosso vivo delle sue foglie; tutto l'anno invece spicca l'esemplare del 1680 di platano orientale scavato al suo interno dalla caduta di un fulmine.

La realizzazione del progetto architettonico, semplice e razionale, disegnato dal nobile veneziano Daniele Barbaro e dal professore di medicina dell'università di Padova Pietro Da Noale, fu affidato a Andrea Moroni, già allora impegnato nel cantiere della basilica di Santa Giustina. Nel corso dei secoli l'Orto si arricchì di statue, fontane e altri elementi decorativi quali busti di insigni studiosi; vennero aggiunte le serre e l'aula a emiciclo, il cosiddetto “teatro botanico”. Il prefetto Giuseppe Bonato dovette assistere alla perdita di gran parte dei 300 anni di storia delle specie custodite per via di una terribile tempesta di vento abbattutasi sull'Orto il 26 agosto 1834. Per fortuna, sotto la direzione del suo successore, Roberto De Visiani, l'Orto tornò ai suoi fasti arrivando a contare la bellezza di oltre 14.000 esemplari.

Quella che un tempo era la dimora del direttore oggi è uno spazio espositivo che ospita la Biblioteca storica, l'Archivio dell'orto e la Banca del Germoplasma. L'Orto può poi vantare uno straordinario Erbario (un vero e proprio archivio della natura con i suoi 600.000 esemplari, tra i quali sono presenti anche specie estinte) cui si affianca una collezione di alghe (l'Algario) dotata di 100.000 esemplari che raccontano indirettamente i cambiamenti climatici del nostro pianeta. Questo patrimonio museale botanico rappresenta terreno fertile per nuovi filoni di ricerca e per il coinvolgimento non solo di studiosi e scienziati ma anche di artisti e artigiani. Deliziosa anche la collezione micologica di Pier Andrea Saccardo, soprannominato il “Linneo dei funghi”, allievo di De Visiani e prefetto dell'orto dal 1879 al 1915.

Dove un tempo vi era il centro sportivo Antonianum (pallacanestro, calcio, rugby, nuoto), oggi sorge la nuova serra concepita dall'architetto Strapazzon. Lo storico “Campetto Tre Pini” ha allevato generazioni di cestisti “petrarchini”, assistendo alle edizioni annuali del torneo “Mazzetto” e al terzo posto in serie A del Petrarca Padova di Doug Moe e Aza Nikolic nella stagione 1965-1966. Nel maggio 2002 l'area di 14.860 metri quadri è passata dal collegio Antonianum dei padri gesuiti all'università di Padova; il campetto e il palazzetto hanno lasciato spazio alla serra del Giardino delle biodiversità, che ospita piante di quattro biomi (pluviale, subumido, arido e mediterraneo) e un percorso conoscitivo che intreccia la storia delle piante alla storia dell'uomo e che va dalla domesticazione delle prime specie al loro impiego nello lo sviluppo di nuove tecnologie come le bioplastiche e i biocombustibili. 

Francesco Suman

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