SCIENZA E RICERCA

Autismo, il lavoro non è un'utopia

Da poco Microsoft ha annunciato di voler assumere anche persone con autismo. “Hanno punti di forza di cui la nostra azienda ha bisogno – scrive la vicepresidente Mary Ellen Smith – Ogni individuo è differente, alcuni hanno incredibili capacità di ricordare le informazioni, sono particolarmente attenti ai dettagli, hanno straordinarie abilità matematiche. Si tratta di talenti che vogliamo portare a Microsoft”. La collaborazione sarà con Specialisterne azienda che offre servizi di sviluppo di software, sistemi per l’immagazzinaggio e la conversione dati, sistemi informatizzati per il controllo di qualità e che ormai da 15 anni lavora con persone con autismo. È dunque realmente possibile un impegno professionale a tutti gli effetti nonostante la patologia? 

Il progetto che Microsoft sta portando avanti non è isolato. Sap, attiva sempre nel settore informatico, appoggiandosi ancora a Specialisterne, dal 2013 ha inserito nel proprio organico 40 soggetti autistici. E su questa strada si muovono anche Freddie Mac e Ultra Testing, fondata nel 2012 da due ingegneri del Mit e specializzata in campo informatico.  

Le aziende sembrano apprezzare le particolari doti delle persone con autismo. Un recente lavoro di Sloane Burgess e Robert E. Cimera pare tra l’altro dimostrare, su un contingente di più di 34.000 giovani adulti considerati nel periodo 2002-2011, che proprio queste “isole di abilità” danno maggiori probabilità di trovare un impiego a questi soggetti (seguiti da servizi di riabilitazione professionale) rispetto a chi soffre di altre disabilità. Ma la situazione non è così semplice. Si deve considerare infatti che se da un lato esistono soggetti autistici ad “alto funzionamento”, che parlano precocemente, sono molto intelligenti e atletici, dall’altro ve ne sono alcuni a “basso funzionamento”, cioè che non parlano, che sono colpiti dalla patologia in modo grave e possono avere problemi motori. Un’indagine del Censis condotta nel 2011 su 302 individui affetti da una forma di autismo, rilevava del resto che il 10% delle persone dai 21 anni in su (che erano, questi ultimi, 60 su 302) lavorava mentre il 50% frequentava un centro diurno e quasi il 22% stava tutto il giorno a casa o in istituto.    

Se questa è la situazione, pur limitatamente all’Italia, esistono tuttavia programmi che aiutano anche persone con autismo a raggiungere un collocamento professionale. Negli Stati Uniti ci sono centri di abilitazione professionale che valutano le potenzialità delle persone con disabilità e le assistono nel trovare un posto di lavoro, con specifici percorsi di inserimento per chi soffre di autismo. In Inghilterra la National Autistic Society (Nas), a cui guardano anche le esperienze italiane, ha promosso a Londra e in altre città il programma Prospects Employment Service. Lo scopo del programma non è tanto trovare un’occupazione alle persone con autismo in strutture protette, quanto piuttosto creare “ambienti protetti” all’interno del contesto lavorativo, cioè adattare il posto di lavoro per un migliore inserimento del disabile. Per questo si lavora sia sul fronte della domanda che dell’offerta: da un lato si fornisce assistenza ai datori di lavoro per la selezione, formazione e assunzione di persone con autismo, dall’altro il disabile viene “accompagnato” nel percorso di inserimento lavorativo, attraverso corsi, programmi di pre-impiego, supporto nei colloqui e sul posto di lavoro. 

Nel nostro Paese a prevalere è ancora la formula dell’inserimento lavorativo protetto all’interno di laboratori o comunità. Ma la sensibilità nei confronti di un possibile collocamento professionale a tutti gli effetti di persone con autismo non manca. Lo dimostrano progetti come Start Autismo (2012-2014), programma della regione Abruzzo finanziato dal fondo sociale europeo che, avvalendosi della collaborazione tra le altre della National Autistic Society britannica e di Specialisterne, ha elaborato linee guida per l’inserimento professionale di persone con autismo rivolte agli operatori del settore, ma anche alle aziende e alle famiglie. E ancora, in questa direzione si è mosso il progetto Sustainable Work for Autism Networking Support (Swans) promosso dall’azienda Usl 1 dell’Umbria: sebbene concluso nel 2013 il programma è proseguito con ulteriori periodi di stage (in farmacie, videoteche, agriturismi, aziende vinicole) e ha portato all’assunzione, da parte di un’azienda nel settore della ristorazione non inclusa nel programma, di uno dei 27 giovani che avevano partecipato all’iniziativa. Il modello proposto prevedeva, in particolare, la figura di un educatore specializzato nell’intermediazione tra soggetto autistico e contesto professionale, che favorisse la comprensione dell’ambiente lavorativo al ragazzo e permettesse al datore di lavoro e agli altri dipendenti di conoscere le difficoltà comportamentali del nuovo collega. Presenza stabile nel primo periodo di inserimento, l’educatore avrebbe potuto intervenire poi nei momenti più delicati, per gestire ad esempio un aumento di responsabilità o il riconoscimento di maggiori competenze che per la persona con autismo possono rappresentare anche momenti di crisi. “Indipendentemente dall’assunzione – commenta Angiolo Pierini, neuropsichiatra e coordinatore scientifico del progetto Swans – l’esperienza lavorativa è comunque un importante training socializzante per chi soffre di autismo”.  

Accanto a queste iniziative, ne esistono anche di altro tipo. Come nel caso della start up Arnia, fondata un anno fa da quattro professionisti dei settori tecnico-ingegneristico e psicologico-educativo, che offre servizi di gestione contenuti e documenti, inserimento dati, catalogazione e archiviazione. “Spesso in ambito professionale, soprattutto nel settore informatico – sottolinea Leonilde Oliviero, una dei soci – si punta sulle particolari abilità di questi ragazzi. Noi non cerchiamo la genialità ma vogliamo aiutare il ragazzo a trovare la sua strada per vivere bene l’età adulta, che sia in ambito professionale o in una struttura di tipo assistenziale”. L’azienda si muove tra formazione e lavoro. In questo primo anno di vita dell’impresa i 12 ragazzi che partecipano al programma hanno seguito percorsi formativi personalizzati, declinati sulle capacità di ognuno, in presenza di tutor e di uno psicologo e con valutazioni psicoattitudinali al termine di ogni corso. “L’obiettivo – spiega Oliviero – è che i ragazzi apprendano tecniche di autoregolazione del comportamento per far sì che riescano a inserirsi nell’ambiente lavorativo e a trovare uno sbocco professionale anche all’esterno, a prescindere dalla nostra realtà e dalla nostra azienda”. Dove, tuttavia, già lavora un ragazzo con autismo. L’azienda si sta infatti attivando anche con associazioni, enti pubblici e imprese per avviare programmi di tirocinio da un lato e creare rete sul territorio dall’altro, nella convinzione che questi ragazzi possano realmente rappresentare un valore aggiunto nel contesto lavorativo. Anche se molto dipende non tanto dal disabile ma da chi gli sta intorno, in termini di impegno morale, politico ed economico. 

Monica Panetto

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