MONDO SALUTE

La salute mentale negli ambienti di lavoro

“Mens sana in corpore sano” scriveva il poeta romano Giovenale nelle sue Satire e ancora oggi, quasi 2000 anni dopo, questa frase è citata spesso per sottolineare l’importanza del benessere psicofisico. Un’ottima occasione per farlo è il 10 ottobre, data in cui come ogni anno si celebra la Giornata mondiale della salute mentale promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). E il tema scelto per quest’anno è Mental health at work (“la salute mentale sul lavoro”), per evidenziare come il benessere psicologico sia un valore da tutelare anche sul lavoro.

In effetti, oltre all’attenzione per la sicurezza fisica nei luoghi di lavoro, bisogna ricordarsi anche che ambienti lavorativi sicuri e sani possono fungere da fattore protettivo per la salute mentale. Al contrario, condizioni di lavoro non salutari, inclusi stigma, discriminazione ed esposizione a molestie o altre condizioni lavorative tossiche, possono comportare rischi significativi. Per esempio, possono influenzare il benessere psicologico, la qualità della vita complessiva e, di conseguenza, la partecipazione o la produttività di chi lavora.

Secondo l’OMS, circa il 60% della popolazione globale è impegnata nel lavoro (in vari modi) e per garantire il benessere anche psicologico di tutte queste persone è fondamentale che nei luoghi di lavoro si prevengano i fattori di rischio per la salute mentale. Chi lavora passa gran parte delle proprie giornate in ambienti che dovrebbero essere sicuri e salutari per il proprio benessere psicofisico, purtroppo sappiamo che non è sempre così. Per approfondire abbiamo sentito Pietro Bussotti, docente di psicologia all’Università Europea di Roma (UER) e membro dello staff di presidenza per la Psicologia del lavoro del CNOP (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi), che inizia sottolineando che «l’ambiente di lavoro si carica – anche quando non c’è – di significati fondanti, identitari, come contenuti simbolici, di status, economici. Insomma il lavoro contribuisce in larga parte a dirci chi siamo.»

Bussotti prosegue dicendo che è importante «uscire dalla dicotomia, artificiale e anacronistica, che distingue la mente dal corpo. Quando parliamo di un luogo di lavoro sano, bisogna comprendere che questo avrà un’influenza su tutta la persona, nella sua integrità, con un bilancio di effetti positivi e negativi di tipo sistemico: sul fisico, sulla mente, sull’equilibrio relazionale e famigliare e sull’ambiente di lavoro stesso.»

Luoghi di lavoro più o meno sani

Ma allora quali sono le caratteristiche di un luogo di lavoro che si possa definire sano? E invece come possiamo definire e riconoscere delle condizioni di lavoro che non sono salutari per il nostro benessere mentale? Bussotti ci viene in aiuto con un esempio: «se lavoro in un contesto molto stressante, magari ad alto coinvolgimento emotivo (come nel settore sociosanitario), dove le scarse risorse che ho a disposizione sono superate di gran lunga dalle soverchianti richieste e tutto questo per un tempo prolungato... è probabile che incorra nel rischio di sviluppare una condizione di esaurimento psicofisico come il famigerato burnout

Però spesso non lavoriamo in totale solitudine e un problema di una singola persona si può ripercuotere su un intero gruppo di lavoro, infatti il docente continua con il suo esempio: «anche i miei colleghi si trovano esposti, come me, alle stesse caratteristiche organizzative energivore e potenzialmente lesive. Ma in più dovranno fare i conti con la fragilità acquisita di un collega che ha esaurito la propria capacità di adattamento e che manifesta questo disagio per via comportamentale (con assenze dal lavoro, inefficienza, irritabilità o aggressività). Quindi lo sforzo di cui dovranno farsi carico sarà ancora più elevato per loro di quanto non lo sia stato in prima battuta per me. Insomma il danno che ho subito è diventato, a sua volta, un altro fattore di rischio per chi vive quel contesto di lavoro: questa si chiama causazione circolare

Fatte queste premesse, proviamo dunque a definire con Bussotti le caratteristiche di un ambiente di lavoro sano: «è un sistema complesso in cui interagiscono fattori organizzativi, sociali e individuali; in cui le persone possono esprimere al meglio le proprie potenzialità, contribuendo al successo dell’organizzazione. È un investimento nel futuro perché promuove il benessere, la crescita e la collaborazione, creando un circolo virtuoso tra dipendenti e azienda.» Viceversa, un ambiente lavorativo insalubre non sostiene «il benessere dei dipendenti e si manifesta tramite una combinazione di fattori stressogeni che possono incidere negativamente sulla salute mentale.»

E qui chiediamo qualche esempio, anche se non esaustivo, per spiegarci meglio cosa intende: «carichi di lavoro eccessivi, scadenze impossibili e autonomia decisionale limitata possono generare un senso di sovraccarico e frustrazione. Competitività sfrenata, mancanza di riconoscimento e relazioni interpersonali conflittuali possono minare l’autostima e favorire l’isolamento sociale.» Se poi aggiungiamo a tutto ciò un ambiente fisico inadeguato, con spazi ristretti, rumoroso o scarsamente illuminato è facile che insorgano condizioni di stress e malessere.

Vari tipi di disagio

Se lavoriamo in un ambiente “tossico” il disagio può manifestarsi attraverso una serie di sintomi, sia fisici che emotivi e comportamentali, con ripercussioni sulla qualità della vita della persona e sulla sua performance lavorativa, oltre che sulla sicurezza. Secondo Bussotti è dunque fondamentale «riconoscere questi segnali e adottare strategie per mitigare gli effetti negativi di un ambiente lavorativo tossico. Molte realtà professionali stanno implementando sistemi di intervento psicologico professionale, non solo per intervenire a valle, nel supporto ai lavoratori, quanto piuttosto a monte, nella valutazione organizzativa, delle risorse umane e quindi nella riduzione del rischio e promozione del benessere.»

Ma non tutte le persone reagiscono allo stesso modo, il docente dell’UER spiega che «la vulnerabilità individuale, la storia personale e altri fattori (come la resilienza e le strategie di coping) possono influenzare la gravità e la tipologia di disagio psicologico sperimentato. Riconoscere i segnali di allarme è fondamentale per intervenire in tempo. Chi lavora in un ambiente tossico rischia di pagare un prezzo alto in termini di salute fisica, mentale e socio-relazionale.» Esempi? «Stress, ansia e depressione sono solo alcune delle possibili conseguenze. Sentirsi sempre stanchi, irritabili e demotivati è un campanello d’allarme da non sottovalutare. Inoltre, sintomi come cefalea o disturbi del sonno possono peggiorare la situazione. L’isolamento sociale e la perdita di autostima sono altri effetti collaterali che rendono difficile affrontare la vita quotidiana. Questo ha anche un effetto sulla sicurezza: in un ambiente di lavoro tossico aumenta sensibilmente il rischio di infortuni, anche gravi o mortali.»

Le ricadute economiche

Oltre all’impatto sulla salute mentale di lavoratrici e lavoratori, che ovviamente è di primaria importanza, non va sottovalutato anche il risvolto economico. Infatti, nella letteratura scientifica si trovano vari studi che analizzano i vantaggi economici di salvaguardare il benessere psicologico di chi lavora, in termini di produttività, risparmio, qualità del lavoro e quindi di competitività. A questo proposito, Bussotti cita un’esperienza che in Italia «ha coinvolto migliaia di persone, tra psicologi e pazienti: il discusso “bonus psicologo”. Che, in assenza di un intervento strutturato, continua per il momento a dare un aiuto, per quanto insufficiente, alla grande richiesta che viene dalla popolazione.»

L’efficacia di questa misura è stata esaminata con il progetto PsyCARE, una rilevazione promossa dal CNOP in cui è emerso che delle oltre 2000 persone intervistate il 72% non era in terapia al momento della richiesta; e tra i nuovi pazienti, 4 su 5 non erano mai andati da un terapeuta per motivi economici. Lo psicologo aggiunge che dopo l’intervento «i pazienti hanno mostrato un miglioramento psicologico, associato a un aumento delle risorse personali e della qualità di vita relazionale e a una riduzione del malessere fisico e dei trattamenti associati. Questo ha portato a un calo significativo dei giorni lavorativi persi, con un risparmio medio di circa 1200 € al mese per paziente, il doppio rispetto all’investimento per ogni paziente (600 €).» Numeri che, se parametrati alle persone con analoghi problemi nell’intera popolazione italiana, porterebbero secondo il CNOP a un impatto economico pari a oltre l’1% del nostro prodotto interno lordo, cioè milioni di euro l’anno.

Quali gli interventi possibili?

Gli ambienti lavorativi sono molto diversi fra loro, ma ci sono delle azioni “di base” che si possono intraprendere per migliorare la salute mentale di chi lavora. Innanzitutto, «ogni intervento dovrebbe essere conseguenza di una preventiva analisi: prima si valuta, poi si interviene, poi si rivaluta per correggere il tiro, tendendo al miglioramento continuo. Inoltre, bisogna considerare come prioritari: approcci preventivi (piuttosto che riparativi), collettivi (piuttosto che individuali), organizzativi (piuttosto che soggettivi).»

Per Bussotti è quindi cruciale promuovere una cultura organizzativa del benessere all’interno delle aziende, e questo può essere fatto attraverso «la formazione e la sensibilizzazione, organizzando workshop e sessioni informative sulla salute mentale. Questi momenti formativi, oltre che aumentare la consapevolezza, creano un ambiente ricettivo e pronto a trasformare in prassi comportamentali le proposte di miglioramento. Un altro passo importante è offrire risorse di sostegno adeguate, tra cui accedere a servizi professionali di consulenza psicologica

Inoltre, un intervento che può contribuire a ridurre lo stress quotidiano è «progettare spazi adeguati ed ergonomici, non solo da un punto di vista fisico, ma anche cognitivo. Altrettanto essenziale – continua l’intervistato – è favorire un ambiente di lavoro positivo: incoraggiare una comunicazione aperta e trasparente tra i lavoratori e tra le linee gerarchiche può migliorare notevolmente il clima aziendale. Offrire feedback puntali, riconoscere e apprezzare i successi e gli sforzi dei dipendenti è un altro modo efficace per promuovere adesione e motivazione. Altro elemento che non dovrebbe mai essere trascurato è l’equità: salariale, di opportunità, di carico di lavoro

E ancora, l’elenco prosegue con altri obiettivi: «promuovere l’equilibrio tra vita lavorativa e personale (per esempio con orari di lavoro flessibili) può aiutare nel difficile bilanciamento tra le responsabilità sul lavoro e quelle famigliari. Inoltre, non vanno trascurate le relazioni interpersonali e si dovrebbe lavorare per creare un senso di comunità in azienda, per esempio con attività di team building

Infine, così come si dovrebbe iniziare sempre con un’analisi, allo stesso modo il monitoraggio è importante nelle fasi successive. Meglio se con sistemi di comunicazione che permettano un flusso di informazioni “dal basso”, che possano guidare chi ha responsabilità manageriali. Infatti, conclude Bussotti, questo consente di «identificare tempestivamente eventuali problemi e intervenire prima che si cronicizzino negli anni, si generalizzino e si espandano. Adottare strategie come queste può contribuire a creare un ambiente di lavoro più sano, migliorando il benessere mentale dei dipendenti e, di conseguenza, la loro produttività e soddisfazione lavorativa.»

Ieri, oggi, domani

Negli ultimi anni sembra che nel discorso pubblico si parli molto di più di salute mentale, e che anche lo stigma sociale legato al disagio psichico stia diminuendo. In effetti molta strada è stata fatta, e anche secondo Pietro Bussotti stiamo vivendo «una fase bellissima: la salute mentale e l’intervento psicologico sono letteralmente diventati di moda!»

Però, c’è sempre un però: «ben diverso è quello che si registra a livello di decisioni pubbliche, a fianco di continue (e di volta in volta: accalorate, sdegnate, sensibili, convinte) manifestazioni di sostegno alla salute mentale, mancano da parte dei nostri rappresentanti azioni concrete. La salute mentale è quindi un bello slogan, ma che poi si concretizza solamente in qualche misura tampone e si dissolve nell’assenza di decisioni strutturali.» Di sicuro non basta una sola “giornata” dedicata al benessere psicologico, ma forse dovremmo fare tutti e tutte uno sforzo collettivo perché di salute mentale – sul lavoro e in ogni ambito – si parli ancora di più e non solo ogni 10 ottobre.

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