SCIENZA E RICERCA
Il coronavirus e gli animali: dagli animali d’affezione alla “rivincita del pangolino”
L’emergenza causata dalla diffusione del coronavirus avanza. E l’Organizzazione mondiale della Sanità ha dichiarato l’11 marzo lo stato di pandemia. Certo, siamo senza dubbio noi umani, su scala globale, ad essere i protagonisti, tuttavia è innegabile che anche gli animali, da quelli da affezione a quelli selvatici, siano stati coinvolti, seppure in diversi modi, in uno scenario che ha evidenziato diversi aspetti inquietanti.
Cani e gatti abbandonati per le strade, oppure bardati con maschere e tute di uso umano per proteggerli dal possibile contagio o, ancora, calati dalle finestre delle abitazioni di chi è in quarantena, sino al primo caso di presunto contagio dall’uomo al cane: gli animali d’affezione sono stati colpiti, perlopiù, dalla paura che situazioni di questo genere determinano. Soprattutto, sono stati coinvolti nei due estremi che tipicamente caratterizzano la nostra relazione con loro: da una parte, l’abbandono, la trascuratezza o, anche, la soppressione indiscriminata, dall’altra l’antropomorfizzazione sino agli eccessi. In questi estremi manca una percezione chiara del ruolo che gli animali d’affezione rivestono nelle nostre vite, ruolo che viene messo fortemente in discussione nelle situazioni di emergenza come questa.
Dall’altra parte, gli animali selvatici, che sono stati coinvolti direttamente come causa scatenante dell’epidemia. Anche qui, manca una percezione chiara del ruolo e delle dinamiche di ‘relazione’ con gli animali selvatici nelle nostre vite industrializzate. Dai serpenti, al pangolino sino ai pipistrelli, diversi sono stati gli scenari ipotizzati attorno al loro coinvolgimento, tutti però focalizzati a mettere il dito complessivamente sull’abitudine ‘senza regole’ e rispetto, di consumare la loro carne nell’alimentazione dei Paesi asiatici.
Come sappiamo, il consumo di carne di animali selvatici è particolarmente diffuso nei Paesi orientali, ed è legato al commercio sia legale sia illegale. In generale, circa il 20% delle specie animali terrestri di vertebrati sulla Terra è oggi oggetto di commercio internazionale - non solo per le carni, ma anche per le parti, come ossa, pelli, corna, o come animali d’affezione - e rappresenta la causa dell’estinzione o della minaccia di estinzione di un numero altamente significativo di specie. Nei mercati locali cinesi, definiti “manicomi zoologici” da David Quammen nel suo celebre Spillover. L’evoluzione delle pandemie (scritto dall’autore ancora nel 2012, ma andato a ruba in questi tempi), la promiscuità con gli animali selvatici – spesso macellati sul posto e stipati vivi in gabbie ammassate le une sulle altre -, la mancanza di controlli sanitari e, di norme, anche solo basilari, sulla tutela del benessere animale, sono stati identificati come la causa scatenante dell’epidemia di COVID-19 in corso.
Si è così iniziato a cercare quale potesse essere l’animale ‘serbatoio’, da cui il virus avrebbe compiuto il ‘salto di specie’ – lo spillover appunto. Prima di identificarlo nel pipistrello, era stato il pangolino ad essere additato come fonte del contagio. Il pangolino è un piccolo mammifero con il corpo ricoperto di squame e rappresenta oggi un simbolo del traffico illegale di animali selvatici: cacciato per la prelibatezza delle carni, considerate un vero e proprio status symbol, e per le presunte proprietà medicamentose delle sue scaglie, questo mite formichiere continua ad essere oggetto di un prelievo indiscriminato e di crudeli pratiche di trasporto e soppressione che ne hanno determinato la quasi estinzione. Come per il corno del rinoceronte, è un miscuglio di tradizioni culturali, superstizione, assenza di norme sul benessere animale e di controlli efficaci, a favorire il proliferare del commercio, soprattutto illegale, e del consumo alimentare del pangolino. E, cosa interessante, proprio dall’emergenza epidemica in corso è scaturita per la prima volta – forse - la volontà di mettere in atto e far rispettare sul serio, almeno in Cina, il divieto al traffico illegale e al consumo di carne di questo piccolo mammifero.
Così, come ha titolato il New York Times in questi giorni, la “rivincita del pangolino” si sta delineando come una misura di emergenza per arginare un problema diverso da quello per cui da tempo venivano invocati controlli e misure restrittive. Dopo la prima SARS o la MERS, c’è stato bisogno dell’ennesimo episodio di epidemia zoonotica a causa di abitudini culturali locali, oltreché alimentari, per indurre a rivedere le norme che regolano il consumo di carne e, in genere, il traffico di animali selvatici. Come sottolinea Quammen, forse è il tempo di pensare alla salute e all’igiene – e, aggiungerei, al benessere animale – come una questione globale.
Le prime leggi in Cina per regolamentare il traffico di animali selvatici sono comparse ancora negli anni Ottanta. A queste sono seguite diverse riproposizioni e aggiornamenti, ma senza successo. Nonostante la vendita di carne e parti del pangolino da tempo sia stata esplicitamente dichiarata fuori legge, nel 2019 tonnellate di scaglie e di carni provenienti da centinaia di migliaia di esemplari sono state più volte rinvenute nei mercati di Hong Kong o in Malesia. Più di un milione di esemplari di pangolino sono stati cacciati negli ultimi anni, sino a dichiararlo ‘funzionalmente estinto’ in Cina, caratterizzando da solo più del 20% del commercio illegale di animali selvatici nel Mondo. Dall’Africa all’Asia, i contrabbandieri rappresentano una rete criminale altamente organizzata che si è spostata sempre più dal commercio dell’avorio al commercio del pangolino per soddisfare una domanda in continua crescita, soprattutto dalla Cina e Vietnam.
Il 24 febbraio del 2020, in piena emergenza coronavirus, è stata approvata dal governocinese una nuova legge contro il traffico e il consumo di animali selvatici. Questa legge,che bandisce il commercio di animali selvatici in generale, abolendo in forma definitiva - almeno programmaticamente - il consumo delle loro carni nei mercati e nei luoghi tradizionali in Cina, dovrebbe proteggere anche le otto specie di pangolino.
Il dettato legislativo, tuttavia, prevede eccezioni per il commercio a scopi medici e di ricerca. Verrà protetto davvero, allora, il pangolino? E, soprattutto, riuscirà il divieto a contrastare il traffico illegale? Potremo dire che il pangolino si sarà salvato dall’estinzione ‘grazie’ al coronavirus?
C’è stata la proposta di vietare anche il consumo di carne di cane e di gatto, proponendo una ristretta lista di carni autorizzate, tra cui bovini, suini, polli, e simili. Anche in questo caso, dopo anni di manifestazioni e proteste, si tratterebbe di un effetto indiretto di un’epidemia che ha messo ben in evidenza molti dei limiti dei nostri stili di vita, in Oriente come in Occidente.
Come sottolineato all’inizio, entrambe le ‘categorie’ di animali coinvolti in questa epidemia, sia quelli da affezione sia quelli selvatici, richiamano allo stesso modo l’attenzione sui modi in cui ci relazioniamo con loro ed impongono con urgenza di pensare a relazioni più rispettose in entrambi i casi.