SCIENZA E RICERCA

Cavallette per cena? Ben cotte e certificate

Why not eat insects? Perché non mangiare insetti? Lo scriveva già nel 1885 Vincent M. Holt e oggi la questione è quanto mai attuale. Certo, non è facile superare le barriere culturali e l’innegabile sensazione di disgusto all’idea di addentare una locusta o un bruco. Ma la questione è anche un’altra e ha a che fare con preoccupazioni di sicurezza alimentare e con i potenziali rischi per la salute umana, messi in evidenza in un recente articolo pubblicato su Animal Frontiers.

Che gli insetti costituiscano una valida alternativa alimentare viene sottolineato da un crescente corpo di indagini negli ultimi anni. Possiedono un elevato contenuto di proteine altamente digeribili, di fibre, di vitamine e minerali. Ma non solo. I costi di allevamento e l’impatto ambientale che producono sono inferiori rispetto a bovini o suini, poiché richiedono meno mangime, terra e acqua ed emettono meno gas serra. A ciò si aggiunga, e l’impegno della Fao in questa direzione è esplicito, che il loro consumo potrebbe far fronte a problemi di approvvigionamento alimentare nei Paesi più poveri, ma anche all’aumento della popolazione a livello globale.

I vantaggi dunque non mancano, eppure nell’Unione europea gli insetti non sono ancora ammessi liberamente sul mercato come alimenti destinati al consumo umano. È il Regolamento CE 258/97, il Novel Food Regulation, a stabilire che tutti i cibi che non sono stati consumati in maniera significativa a livello comunitario prima del 1997 (i cosiddetti “novel food” e tra questi dunque anche gli insetti), debbano essere sottoposti a una valutazione scientifica di eventuali rischi per il consumatore e ottenere un’autorizzazione da parte della Commissione europea. Una normativa tuttavia che sembra lasciare spazio a interpretazioni più o meno restrittive, se si considera ad esempio che in Belgio la Federal Agency for the safety of the food chain indica dieci insetti che possono essere distribuiti come alimenti. Tra questi alcuni tipi di grilli e locuste, tarme della farina, bachi da seta. Oltre al Belgio anche l’Olanda permette la commercializzazione di insetti e nel Regno Unito e in Francia non mancano locali in cui vengono serviti o aziende che li allevano e li vendono. “Aggrappandosi a un cavillo legislativo – spiega Simone Belluco, primo autore dello studio che da tempo si dedica all’argomento – Belgio e Olanda consentono la commercializzazione di alcuni tipi di insetti, tuttavia solo se interi e se non si tratta di prodotti ricavati dagli insetti. In questo modo si intende tutelare i produttori aprendo loro un nuovo mercato, sebbene l’autorizzazione valga solo per il territorio nazionale e non siano consentite le esportazioni”. 

Intanto la Commissione europea lavora a un nuovo regolamento, in attesa di un parere dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (European Food Safety Authority – Efsa) sui potenziali rischi microbiologici e chimici che possono derivare dal consumo di insetti. Il problema sta tutto qui secondo Belluco. In questi anni l’attenzione è stata posta sugli aspetti nutrizionali e sulla percezione del consumatore, ma non sono stati investigati a fondo aspetti come la capacità dell’insetto di ospitare e mantenere batteri in condizioni di allevamento protetto o di veicolare patogeni al consumatore. Maurizio Paoletti, docente del dipartimento di Biologia dell’università di Padova e coautore dello studio, non vede particolari pericoli. “Trovo che non esistano differenze sostanziali con altri tipi di cibo come i crostacei, i gamberi, i gamberetti o alcuni molluschi come le chiocciole. Piuttosto ciò cui si deve prestare attenzione è il ciclo produttivo, cioè come vengonoallevati gli insetti, in quali condizioni di stabulazione. Sarà necessario definire esami di routine per evitare la presenza di microrganismi contaminanti, come del resto avviene per qualsiasi altro tipo di cibo”. Ad oggi infatti la gestione di eventuali allevamenti non è regolamentata. Come qualsiasi altro cibo anche gli insetti potrebbero contenere metalli pesanti o residui di pesticidi, a seconda delle condizioni in cui l’alimento è stato prodotto. Circostanze che richiedono controlli preventivi e a campione al termine della produzione per evitare di porre il consumatore di fronte a rischi incontrollati. Secondo Paoletti si tratta tuttavia di rischi che non sono propri degli insetti o degli invertebrati, ma riguardano tutto ciò che consumiamo. 

Belluco concorda, ma non si esime da alcune osservazioni. “Attualmente non esistono evidenze di rischi biologici o chimici, ma non è noto se questo sia dovuto al fatto che effettivamente i rischi non esistano o se semplicemente non siano ancora stati condotti studi sufficienti a farli emergere. È intorno a questo concetto che ruota il dibattito in seno alla comunità scientifica”. In questo contesto c’è chi adotta un approccio più conservatore e ritiene necessario ottenere dati scientifici che consentano di affrontare eventuali rischi di contaminazione microbiologica o chimica. Altri invece sottolineano che non sono mai stati evidenziati in letteratura rischi particolari e quelli segnalati sono comunque comuni alle carni, ragion per cui gli insetti potrebbero tranquillamente essere inseriti nell’alimentazione europea seguendo le regole già applicate agli altri tipi di cibo. Secondo Belluco ciò di cui invece si può parlare sono le allergie, in quanto sono stati identificati negli insetti degli allergeni comuni ai crostacei e agli acari della polvere che possono provocare reazioni importanti nei soggetti allergici. 

Gli autori dello studio concludono con una riflessione. È tempo di “riabilitare” gli insetti, osservano, di rimuoverli dall’indiscriminata classificazione di parassiti e di cambiare l’atteggiamento del mondo occidentale nei loro confronti, perché solo in questo modo saranno in grado di attrarre l’attenzione di cui hanno bisogno nel panorama scientifico. E i motivi per continuare con la ricerca in questo campo e procedere con un ripensamento legislativo non mancano. Con buona pace dei più schizzinosi.

Monica Panetto

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