SCIENZA E RICERCA

Cibo, gli italiani lo vogliono tracciato e “DOC”

“I Paesi europei hanno superato da tempo il problema della scarsità alimentare grazie a un generale innalzamento del livello economico e al contemporaneo aumento della disponibilità di cibo a prezzi accessibili”. Nell’introdurre l’argomento Giuseppe Pellegrini, curatore con Barbara Saracino dell’Annuario scienza, tecnologia e società 2015, arriva subito al punto. “Per molte fasce della popolazione l’alimentazione è diventata una componente del benessere che pone in stretta relazione il cibo e la salute favorendo un interesse rilevante per i prodotti di qualità, nutrienti e gustosi, non dannosi per l’ambiente e privi di effetti negativi per la salute”. Ma le preoccupazioni dei cittadini in realtà vanno proprio in questa direzione. 

Otto italiani su dieci, si legge nei dati esposti nell’Annuario, si dicono abbastanza e molto preoccupati per la sicurezza del cibo che mangiano e i timori sono legati soprattutto all’uso di sostanze chimiche. Il 17% degli italiani, dato in crescita rispetto alla precedente rilevazione, ritiene molto probabile che il cibo consumato abitualmente possa provocare danni alla salute. Tra i maggiori fattori di rischio percepiti si collocano, nell’ordine, i possibili residui di pesticidi nella frutta, nella verdura o nei cereali, contaminanti come il mercurio nel pesce o la diossina nel maiale, sostanze residue tra cui antibiotici o ormoni nella carne. Paradossalmente l’aumento di peso e la mancanza di una dieta sana ed equilibrata sembrano suscitare meno preoccupazioni nei cittadini. Si presta particolare attenzione alla qualità (61%), al prezzo (53%) e alla provenienza geografica (49%) del prodotto, dando invece meno importanza al marchio (22%). E nel 74% dei casi si controlla anche l’etichetta (contro una media europea del 67%), per verificare in particolare la denominazione di origine protetta e l’indicazione geografica protetta. 

A preoccupare gli italiani dunque, sottolinea Pellegrini, sembrano essere i prodotti che “provengono da attività di ricerca e non sono sufficientemente controllabili”. E in effetti pare mancare un po’ di fiducia in questo senso: solo 35 italiani su 100, ultimi in Europa, ritengono infatti che nei prossimi 15 anni le innovazioni scientifiche e tecnologiche avranno un impatto positivo sulla disponibilità e sulla qualità del cibo. 

Dato il contesto, l’Unione europea ha avviato da tempo progetti di ricerca per un’alimentazione sicura per l’ambiente e la salute. Il Joint Programming Initiative. A healthy diet for a healthy life, in particolare, identifica tre filoni di ricerca su cui investire nei prossimi 20 anni per stimolare i consumatori a scegliere cibo sano e a praticare attività fisica; per spingere l’industria a produrre in modo sostenibile e con un occhio di riguardo alla qualità del cibo; e per prevenire e ridurre l’incidenza delle malattie croniche legate al tipo di alimentazione. 

È ormai nota del resto la relazione tra alimentazione e benessere fisico e il documento di indirizzo Strategic Research Agenda 2012 -2020 and beyond lo pone ampiamente in evidenza. Inattività fisica, indice elevato di massa corporea, pressione alta, colesterolo e glucosio elevati nel sangue, un basso consumo di frutta e verdura  sono tutti fattori di rischio correlati all’alimentazione e insieme incidono per il 61% dei decessi per malattie cardiovascolari, la principale causa di morte a livello globale. Si stima che entro il 2020 le patologie croniche legate a una dieta poco sana saranno la causa di quasi il 75% dei decessi. E invece più dell’80% dei casi di malattie delle coronarie e più del 90% dei casi di diabete di tipo due potrebbero essere evitati cambiando lo stile di vita. La stessa considerazione sembrerebbe valere per il cancro: in un terzo dei casi, secondo il rapporto, la malattia potrebbe essere prevenuta mangiando in modo sano, mantenendo un peso nella norma e svolgendo regolare attività fisica.     

Il panorama della ricerca nel settore del cibo, della nutrizione e della salute è tuttavia ancora ampiamente frammentario, si legge nel documento. Già nel 2008 si sottolineava che l’85% dei progetti pubblici erano programmati, finanziati e monitorati a livello nazionale con scarsa collaborazione e poco coordinamento sul piano trans-nazionale. Tra le varie iniziative nell’ambito del Joint Programming Initi ative, per promuovere il dibattito sul piano internazionale è stato promosso il progetto Inprofood che ha favorito il confronto e la discussione in 13 Paesi europei tra membri di associazioni no-profit, autorità pubbliche, imprese e istituzioni di ricerca con l’obiettivo di individuare criticità in tema di alimentazione e salute e proporre soluzioni auspicabilmente praticabili entro il 2030. 

Tra i vari aspetti presi in esame, a essere messa in evidenza è innanzitutto la necessità di rendere la ricerca indipendente dai grossi gruppi agroindustriali internazionali, da cui spesso è influenzata, attraverso politiche di tipo antimonopolistico. Sostenibilità e informazione sono altre due priorità individuate. Sarà necessario cioè bilanciare la dimensione ambientale, sociale ed economica della filiera agroalimentare, anche attraverso norme che incentivino la produzione locale e le piccole imprese. E sarà altrettanto opportuno fornire informazioni corrette e complete che permettano ai consumatori di orientarsi e di tracciare tutti i processi di ricerca e produzione del prodotto. Sull’informazione in tema di alimentazione sicura si insiste in modo particolare. I messaggi che vengono veicolati al consumatore infatti sono descritti spesso come riduttivi e incoerenti. 

“Nel caso italiano – sottolinea Pellegrini nell’Annuario – si nota la mancanza di un’agenzia di coordinamento tra gli organi istituzionali che si occupano di salute alimentare. Si ritiene dunque necessario ridurre la frammentazione dei ruoli e delle competenze per favorire una migliore gestione della complessità riguardante la filiera agroalimentare, dalla ricerca al consumo”. E continua: “Ciò sarebbe possibile con la creazione di un’autorità di controllo sul cibo che attualmente è presente in tutti i Paesi europei”.   

Per favorire poi stili di vita e alimentazione sani ed equilibrati l’educazione alimentare viene ritenuta un valore fondamentale da veicolare non solo con specifici programmi a partire dalle scuole, ma anche attraverso un’adeguata ristorazione. Sono da considerare anche le ragioni economiche che dividono tra chi può permettersi cibo di qualità e chi, invece, deve rivolgersi suo malgrado a cibi a basso prezzo fortemente standardizzati. In questo caso la riscoperta dei gusti tipici locali e del cibo di qualità viene individuata come strada da percorrere, con il sostegno di incentivi alle cosiddette “filiere corte” e attraverso una gestione oculata delle eccedenze produttive. 

Biodiversità e attenzione ai processi di produzione del cibo, infine, sono altri due aspetti valutati nell’ambito del progetto Inprofood. Per evitare da un lato l’intensificarsi delle monocolture e il conseguente impoverimento del terreno e per limitare dall’altro l’aumento dell’inquinamento. 

Monica Panetto

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