SOCIETÀ

Il vero prezzo del cibo non è quello che troviamo al supermercato

Secondo alcune prime stime, i danni causati dalla tempesta Boris che si è abbattuta sull’Europa Centrale a metà settembre, allagando ampie zone dell’Austria, della Repubblica Ceca, della Slovacchia, della Romania e della Polonia, si conteranno nell’ordine dei miliardi di euro.

Uno studio di attribuzione pubblicato dall’associazione World Weather Attribution ha calcolato che il cambiamento climatico ha raddoppiato la probabilità di verificarsi di un tale fenomeno meteorologico estremo, rispetto a uno scenario in cui la temperatura del pianeta non avesse subito il riscaldamento degli ultimi due secoli.

Le proiezioni future ci dicono che con l’accumulo di gas serra in atmosfera eventi di questo tipo continueranno a essere più frequenti e più intensi rispetto al passato. L’ultima alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna ha spinto il ministro italiano della Protezione Civile Nello Musumeci a paventare l’ipotesi di un’assicurazione privata obbligatoria sulle case per eventi atmosferici e sismici.

Il governo italiano, pur portando in Europa provvedimenti anti Green Deal in tema di stop alle auto a benzina e diesel entro il 2035, sembra essere consapevole del fatto che lo Stato da solo non potrà farsi carico di tutti i costi, in aumento negli anni, del cambiamento climatico.

“Questi costi verranno pagati” ha detto al New York Times Claire van den Broeck, direttrice di True Price, un’organizzazione no-profit con sede in Olanda fondata nel 2012. “Verranno pagati dai sistemi sanitari, in strategie di adattamento, e si tradurranno in tasse. Non è che questi costi sono immaginari”. Ma chi li pagherà?

Le industrie pesanti in Europa, tramite il sistema ETS inaugurato nel 2005, devono pagare un costo, crescente nel tempo, per le emissioni che producono. Questo rende certamente più alto il costo di produzione di beni fondamentali, come ad esempio l’acciaio, ma i ricavi vengono utilizzati per finanziare la transizione a fonti energetiche più sostenibili.

Anche il settore alimentare è responsabile di una fetta considerevole di emissioni. Dall’allevamento proviene circa un terzo delle emissioni antropiche di metano, un gas con un effetto climalterante decine di volte superiore a quello della CO2, che contribuisce quindi al verificarsi di eventi estremi, i cui danni si contano in miliardi di euro. Di nuovo, chi paga?

True Price individua la radice del problema molto a monte e più precisamente nei prezzi dei beni di consumo, che non incorporano in modo adeguato i costi ambientali della loro produzione. Si dice, in altri termini, che i costi sono esternalizzati. L’organizzazione olandese ha concentrato i suoi sforzi proprio sul settore alimentare.

Nel prezzo della carne di manzo non sono adeguatamente rappresentati non solo i costi delle emissioni di metano prodotte dai ruminanti, ma anche quelli derivanti dal consumo di acqua e le conseguenze dell’utilizzo di suolo destinato a mangime animale. Se il terreno è il risultato di deforestazione poi i costi sarebbero ancora maggiori.

Al supermercato negli Stati Uniti, mezzo chilo di manzo costa circa 5 dollari, ma incorporando i costi ambientali, secondo True Price, il prezzo andrebbe quintuplicato e supererebbe i 27 dollari.

Considerando questi tre aspetti (emissioni, risorse idriche e uso di suolo), e rifacendosi ai prezzi della catena statunitense Walmart, True Price mostra che per le stesse ragioni il prezzo del formaggio andrebbe in media raddoppiato, passando da 3,75 a 7,50 dollari per pound, così come quello del pollo, che passerebbe da 2,20 a 4 dollari (1 libbra = pound è 0,45 kg).

Il vero prezzo del tofu invece cambierebbe di poco, passando da 2,42 a 2,63 dollari. Quello dei ceci salirebbe del 50%, passando da 1,46 a 2,20 dollari.

A causa di queste esternalità non conteggiate nei prezzi, alimenti poco sostenibili e poco salutari, come la carne rossa, ottengono da un punto di vista economico un vantaggio competitivo nei confronti di quelli che recano meno impatto all’ambiente e alla salute umana.

Uno studio presentato al Food System Summit delle Nazioni Unite a giugno 2021, cui ha contribuito anche True Price, riporta addirittura che le esternalità (ambientali, sanitarie ed economiche) del sistema alimentare globale varrebbero circa il doppio del cibo consumato nel mondo: 19.800 miliardi di dollari contro 9.000 miliardi di dollari. “Ciò significa che il cibo costa circa un terzo di quanto costerebbe se queste esternalità venissero incluse nel prezzo di mercato”, si legge.

Lo scopo dello studio di True Price però non è quello di far alzare i prezzi della vendita al dettaglio: molti prodotti non sarebbero alla portata della maggior parte delle persone, impedendo l’accesso a nutrienti non facilmente sostituibili. L’intento è piuttosto quello di diffondere consapevolezza in modo da far compiere ai consumatori scelte informate.

In Olanda True Price, tramite il suo spin-off The Impact Institute, ha anche avviato degli esperimenti, esibendo in alcuni negozi il “prezzo vero” accanto a quello di vendita. In Germania invece un supermercato ha venduto per una settimana 9 tipi di prodotti al loro “prezzo vero”, osservando un calo delle vendite di formaggi e carne rispettivamente del 50% e del 70%.

Questa sensibilizzazione ai costi ambientali degli alimenti non è rivolta solo ai consumatori, ma anche ai governi e alla possibilità di ridiscutere politiche di sussidio a settori ad alto impatto come la produzione di carne. Un recente studio pubblicato su Nature Food ha mostrato che, considerando dati del 2013, sono stati destinati a prodotti animali (manzo, maiale, pollo, caseari e uova) 46 dei 57 miliardi di euro che compongono il budget annuale delle Politiche Agricole Comuni (PAC), che pesano per il 38% di tutta la spesa dell’Unione Europea.

Alcuni Stati hanno già deciso di riconoscere il peso economico dei costi ambientali dell’allevamento: in Danimarca, a partire dal 2030, gli allevatori dovranno pagare una tassa sulla produzione di gas serra negli allevamenti di manzo, pecore e maiali. Un’altra soluzione in fase di studio riguarda invece gli appalti pubblici: solitamente viene accettata l’offerta a costo più basso, ma in quel prezzo molto probabilmente non sono conteggiati i costi ambientali. Lo Stato di New York ad esempio sta lavorando in collaborazione con la Cornell University a sistemi alternativi di selezione dell’offerta.

I danni causati da un’alluvione, o dal mancato raccolto di una stagione siccitosa, sono solo l’esito ultimo di una catena di eventi che parte molto più lontano. Quando acquistiamo una bistecca di manzo dobbiamo sapere che le emissioni generate per produrla non sono conteggiate nel suo prezzo. Eppure, forse avranno contribuito, per una piccola parte, a rendere più probabile un evento meteorologico estremo i cui danni si contano nell’ordine dei miliardi di dollari.

Stabilire con esattezza quanto quella bistecca abbia contribuito a quei danni naturalmente non è affatto cosa semplice. Pertanto non è facile quantificare il vero prezzo di quella bistecca. Anche le metodologie adottate da True Price potrebbero avere delle carenze, secondo quanto dichiarato al New York Times da Alexander Müller, fondatore dell’organizzazione berlinese TMG Think Tank for Sustainability, che ha collaborato con True Price. Tuttavia, aggiunge, sarebbero tra le più avanzate finora a disposizione. Chi fa ricerca in ambito economico può dare un enorme contributo a costruire un mercato che esternalizzi meno i costi ambientali.

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