SOCIETÀ

2.500 anni di potere nell’analisi di Canfora

Il potere e la lotta per la sua conquista come architrave della storia umana, attraverso meccanismi che si assomigliano e in qualche modo si riproducono in tutte le epoche. È il motivo di fondo di Intervista sul potere (Laterza 2013), scritto a quattro mani dallo storico e filologo Luciano Canfora con il giornalista Antonio Carioti. Un libro arguto e agile, istruttivo e divertente, al quale forse il maggior torto che si possa fare è quello di un omaggio superficiale, dovuto alla fama e all’autorevolezza dello studioso.

Con esso infatti Canfora sembra soprattutto mirare a pungolare il lettore, provocandolo a riconsiderare molti di quelli che sembrano fatti e valori acquisiti. Rientra forse in quest'ambito la volontà di comprendere e spiegare, con una cautela che qua e là sembra sconfinare nella simpatia, il comunismo sovietico e in particolare il famigerato periodo staliniano. In Russia e in Cina infatti il socialismo è spiegato innanzitutto come un formidabile fattore di modernizzazione e inizialmente di democratizzazione, che attraverso il meccanismo dei soviet si riannoderebbe all’esperienza della polis greca.

Anche le scelte di Stalin – compreso il patto del 1939 con la Germania hitleriana, con la conseguente invasione della Polonia – vengono spiegate e contestualizzate in una prospettiva storica, in un modo che a un lettore poco avvertito potrebbe dare l’impressione di ridimensionare il cinismo avventuriero del “piccolo padre” georgiano, e soprattutto gli enormi costi umani che ne sono seguiti. Del resto anche del fascismo e perfino del nazionalsocialismo vengono messi in luce motivazioni storiche e tratti molto spesso taciuti: ad esempio le realizzazioni in campo sociale ed economico, alcune delle quali (come l'Iri) furono proficuamente ereditate anche dalla democrazie del dopoguerra.

Molto meno tenero lo studioso barese si mostra ad esempio con il sistema politico statunitense, laddove si critica l'assenza di partiti strutturati e il meccanismo delle lobbies, visto essenzialmente come legalizzazione della corruzione. Ma, per fare un esempio vicino a noi, colpisce anche la durezza di giudizio con il gruppo dirigente che, con la svolta della Bolognina, guidò il passaggio dal Partito comunista italiano al Partito democratico della sinistra: una decisione vista come un’operazione di facciata e allo stesso tempo come l’ammissione arrendevole e forse infondata di un fallimento. In quest'ultimo caso però il paradosso è solo apparente, visto che lo scarso tempo trascorso e la stessa partecipazione di Canfora agli eventi – è stato infatti membro del comitato centrale del Pci, prima di proseguire l’esperienza politica con Rifondazione comunista e poi con i Comunisti italiani di Cossutta – sembrano far prevalere la passione del politico rispetto al distacco dello storico.

Del resto il libro, pur partendo dalla storia antica, non manca certo di bersagli polemici nell’attualità, a partire dall’Unione Europea e dalle varie chiese e confessioni, in particolare quella cattolica. Dell’Ue non ci si limita a criticare si criticare l’insufficiente legittimazione democratica e le derive dirigistiche, ma in qualche modo se ne individua il padre (ig)nobile in Adolf Hitler, primo teorico della “fortezza Europa”. Per quanto riguarda la religione, la visione che traspare è quella polemica classica: un po’ favoletta per ingenui, un po’ instrumentum regni per tenere a freno le masse. L’oppio dei popoli insomma, per usare (a differenza di Canfora) un’espressione un tempo abusata ma sicuramente ancora efficace. E anche quando riconosce con fair play il genio politico e il valore di Giovanni Paolo II, per la sua opera demolitrice del blocco sovietico, Canfora non resiste al gusto della punzecchiatura. Ad esempio quando rimprovera il pontefice, non si sa quanto seriamente, del diffondersi della prostituzione e del “conseguente traffico di donne schiavizzate da Est verso Ovest, chiaro effetto della fine del sistema assistenziale socialista” (p. 142).

Del resto nel libro anche l’autoironia non manca, come quando Canfora descrive una visita, assieme ad altri esponenti dell’Istituto Gramsci, nella Polonia comunista di fine anni ’70. Le mense separate per professori e ricercatori, le pochissime persone presenti alla conferenza, la maggior parte delle quali reclutate per fare numero, servono più di tante riflessioni a dare l'immagine plastica della crisi irrimediabile di un mondo agli sgoccioli, partito da un ideale egualitario e ridotto a sistema castale e autoreferenziale.

Ma più che politologo e sociologo (studiosi “che magari non devono studiare la storia”) Canfora si sente ed è soprattutto un antichista, ed è proprio quando viene affrontato il mondo greco romano che dimostra, oltre alla profondità di pensiero, tutta la sua abilità di divulgatore. Nelle sue parole le vicende di Platone come di Parmenide, di Nicia come di Alcibiade, prendono vita e si intrecciano con l’attualità in modi originali, a volte stupefacenti: comunque mai banali o forzati. Merito anche di Antonio Carioti, con il quale lo scambio si avvicina spesso più a un confronto che a un’intervista.

Daniele Mont D’Arpizio

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