UNIVERSITÀ E SCUOLA

Almalaurea 2013: un paese senza laureati

Lavoro e capitale umano sono le parole chiave che ricorrono nel rapporto Almalaurea 2013 sulla condizione occupazionale dei laureati, che ha coinvolto 400.000 laureati di tutti i 64 atenei aderenti al consorzio. Per la prima volta l’indagine è stata estesa ai laureati di secondo livello a cinque anni dal conseguimento del titolo. Il quadro che ne esce di fatto conferma dati già noti: da un lato gli effetti della crisi sull’occupazione dei neolaureati, dall’altro il cronico ritardo della scolarizzazione del nostro Paese.

La crisi morde, anche se i laureati se ne accorgono un po’ meno. Il tasso di disoccupazione cresce per tutti, ma chi ha una laurea rischia un po’ meno degli altri. Negli ultimi anni si registra mediamente un crollo del contratto a tempo indeterminato, mentre aumenta il numero dei lavoratori senza contratto (lavoro nero). Anche le retribuzioni risultano in calo, e sono attualmente poco sopra i 1.000 euro, con un calo della capacità d’acquisto pari al 16-18%. Chi aveva già un lavoro prima della laurea lo mantiene, quindi nessun salto di qualità grazie al titolo di dottore. Ma in generale i laureati hanno un tasso di occupazione del 12% superiore a quello dei diplomati, e paghe migliori. E con il passare del tempo la condizione occupazionale tende a migliorare: più contratti a tempo indeterminato (sette occupati su dieci), a riprova che il nostro mercato del lavoro ha tempi lunghi di inserimento.  A cinque anni di distanza il tasso di disoccupazione medio si riduce a valori fisiologici nonostante la crisi (6%) e le retribuzioni aumentano. In testa alla classifica si trovano i medici, con il 96,5% degli occupati, seguiti dai laureati in economia e statistica, ingegneria e architettura. Fanalino di coda le discipline geo-biologiche, con solo il 63,1% di occupati, in compagnia di lettere, chimica-farmaceutica e altre lauree scientifiche. A cinque anni dalla lauree si riduce anche la differenza tra nord e sud del Paese: dal 14% di divario occupazionale a un anno dal titolo si scende al 9%.

E il rapporto mette in guardia – una volta di più – sulla dotazione effettiva di capitale umano dell’Italia, dove la situazione rimane difficile per le professioni ad alta specializzazione. Il ritardo nella scolarizzazione della popolazione è ancora pesante, con un 35,8% di italiani che ha solo il diploma di scuola dell’obbligo, e solo il 30% dei diplomati che si iscrive all’università. Questo ritardo si fa sentire anche nel livello medio di istruzione della classe manageriale e dirigente italiana: ben il  37% dei manager aveva compiuto solo la scuola dell’obbligo. Ne consegue che mediamente le imprese italiane non amano i laureati: l’assunzione dei neodottori aumenta di pari passo con le dimensioni e il grado di internazionalizzazione delle aziende. Ma va sfatato il mito per cui i posti di lavoro restano vacanti perché i giovani laureati sono troppo choosy. La maggior parte della forza lavoro del Paese non possiede una laurea, e occorre anzi provvedere all’adeguata formazione di quanti scelgono di fermarsi al diploma o addirittura alla scuola dell’obbligo: miglioramento della formazione professionale e incentivi all’educazione permanente e alle forme di apprendistato. E anche a livello universitario, si ritrova l’importanza di un periodo di stage/tirocinio in azienda: chi ne ha fatto uno ha il 12% di probabilità in più di trovare lavoro.

Da ultimo Almalaurea 2013 tiene a fare chiarezza su alcuni punti, spesso oggetto di pregiudizi comunemente ritenuti verità di fatto. Non trova conferma nei dati, ad esempio, il presunto eccesso di laureati a indirizzo umanistico. La quota di immatricolati nel settore delle scienze umane e dell’educazione era nel 2010 pari al 19%, contro una media Ocse del 21% e addirittura il 23% della Germania. Si nota invece una effettiva carenza – rispetto alla richiesta – di laureati a indirizzo tecnico-scientifico e in particolare di ingegneri a indirizzo informatico, il che dovrebbe spingere gli operatori del settore a orientare meglio le scelte di formazione dei giovani “verso indirizzi di studio più funzionali alla crescita del Paese”.

Almalaurea 2013: le cifre

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