SOCIETÀ

Cercare lavoro, un affare da social network

Mentre l’Europa cerca di trovare il modo di rendere funzionali i suoi portali per cercare lavoro, la gente si arrangia e si rifugia nei social network: se la politica ha tempi lunghi – pensano – meglio affidarsi al passaparola dei nostri tempi, utile per ben il 40% tra i giovani nella fascia 15-29 anni (dati Isfol).

Una sorta di Facebook per trovare lavoro, per intenderci, e a volte con una straordinaria somiglianza. Work4 offre servizi alle aziende appoggiandosi al colosso di Zuckerberg, promettendo – come si legge sul sito – di “convertire i fan in candidati”. Dalla sua ha la possibilità di rispondere alle richieste del quasi miliardo di utenti registrati e si basa sull’assunto, condiviso da alcuni esperti, che il grosso della forza lavoro (impiegati, commessi, infermieri…) non si rivolge certo ai network professionali come LinkedIn. Il quale peraltro, con i suoi 240 milioni di utenti, ha a sua volta finora coinvolto solo figure di elevata professionalità, ma ambisce a raggiungere la totalità dei potenziali lavoratori del pianeta.

Per certi aspetti è la nuova frontiera del web: la sfida tra i grandi network (Facebook, il “vecchio” MySpace, Badoo o Meetup) e i social network specializzati, discendenti dei forum di qualche anno fa e destinati a un successo tutto da valutare. E il lavoro può diventare in questo un banco di prova. Fioriscono i social professionali, dove caricare curriculum, richieste e offerte di lavoro: si passa da quelli “locali” come il cinese Kaixin001, popolare tra tutti quei lavoratori che in ufficio non hanno accesso al social cinese per eccellenza Renren, a quelli di respiro internazionale come Xing, diffuso soprattutto in ambito tedesco ma anche in molti altri paesi europei e dalla doppia possibilità di accesso, gratuito per le funzioni base e a pagamento per i servizi aggiuntivi. Che non sono pochi: oltre alla possibilità di partecipare a eventi e gruppi, grazie alla collaborazione con una consociata offre – in alcuni Paesi – “recensioni aggiornate sui datori di lavoro” ben utili agli aspiranti dipendenti.

Analogo approccio ha anche il gigante del ramo, LinkedIn appunto, che propone ai suoi utenti vari profili premium (per tariffe dai 15 ai 35 euro al mese) che includono la possibilità di vedere chi è interessato alle proprie competenze, conoscere i dettagli dello stipendio per ogni posizione offerta, partecipare a seminari sul web (i cosiddetti webinar) e altre attività di sostegno o tutorato, spostare la propria richiesta di lavoro “in cima alla lista dei reclutatori”  (che, letta così, sembra quasi una sorta di caporalato social) o anche figurare tra i risultati della ricerca con un contrassegno particolare.

Opzioni, queste ultime, che un portale pubblico non potrà ovviamente mai garantire. La ricerca di un posto di lavoro quindi sembra avere più chance attraverso le strade dell’iniziativa privata che non delle strategie statali o europee di sostegno all’occupazione. Come ai tempi prima del web, d’altronde.

A fronte di questi servizi o ai sistemi di geolocalizzazione a cui si appoggiano altri network professionali per trovare le offerte più vicine all’utente, non stupisce leggere ad esempio che in Francia il portale di Pôle emploi – pilastro del servizio pubblico con quasi 5,9 milioni di visitatori unici nel solo agosto 2013 (ultimo dato disponibile)  ma anche con limiti da sanare – sia ormai sempre più sorpassato nelle preferenze di lavoratori e aziende. Le quali trovano spesso più conveniente una campagna di reclutamento mirata, anche se a pagamento, sui social anziché le candidature dispersive raccolte attraverso i centri per l’impiego o un’inserzione sul giornale.

Controindicazioni? Forse da un lato l’affidabilità dei singoli portali e la reale efficacia dei servizi a pagamento, dall’altro l’ulteriore difficoltà per le istituzioni nel raccogliere dati che rischiano di restare sommersi (i dati sono preziosi, le aziende non li cedono facilmente) e di non arrivare sul tavolo dei decisori politici. Ma a chi cerca disperatamente lavoro tutto questo certo non interessa. E resta una domanda: sulle migliaia di inserzioni pubblicate ogni giorno in rete, quanti sono i posti di lavoro reali?

Cristina Gottardi

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