SCIENZA E RICERCA

Come nasce l'Universo

In che modo l’universo si è espanso da un unico puntino microscopico, come dice la teoria del Big Bang? Perché inoltre non è omogeneo? L’esperienza dice che in natura esistono i vuoti e i pieni, sostanze liquide e solide, galassie e pianeti, alberi e grattacieli. Bene: come ha fatto tutta questa incredibile varietà a derivare tutta dall’esplosione di un’unica massa supercompatta e omogenea? Una risposta possibile viene dalla teoria dell’inflazione cosmica, come ha spiegato il cosmologo e fisico teorico  Antonio Walter Riotto (Université de Genève) in una conferenza tenuta il 23 ottobre 2014 per la Scuola Galileiana di Studi Superiori.

Il segreto, secondo l’ipotesi schizzata su un bloc-notes da Alan Guth all’inizio degli anni ‘80, sta nella microstruttura quantistica della materia, ovvero nelle perenni e imprevedibili fluttuazioni delle particelle che compongono tutto ciò che esiste. A causa di queste, assieme alla forza di gravità, dopo l’esplosione primordiale la materia poco a poco ha iniziato ad addensarsi in grumi, da cui sono venuti stelle, pianeti e galassie. Lo dimostrerebbero, tra le altre cose, quelle che sono conosciute come le più antiche “foto” dell’universo, “scattate” decodificando la radiazione cosmica di fondo (Cosmic Microwave Background, o CMB), in cui si vede come la materia sia distribuita in maniera disomogenea.

 

Immagine dalla missione Planck, ESA/ LFI & HFI Consortia

Il problema, ha spiegato Riotto, è che attraverso il CMB riusciamo a ricostruire la storia dell’Universo solo fino a circa 300.000 anni dopo il Big Bang (ricordiamo che l’Universo ha circa 13,7 miliardi di anni). “In quel momento si formano i primi atomi d'idrogeno, quindi i fotoni smettono di essere ‘catturati’ dalla materia, che diventa neutra, e iniziano a vagare liberi – spiega Riotto –; in questo modo la radiazione si separa dalla materia e l'universo diventa trasparente e permeabile ad essa”.

Come fare però a ricostruire quello che è avvenuto prima? La teoria inflazionaria ipotizza un’espansione spaventosamente tumultuosa nei primissimi istanti di vita l’Universo in cui viviamo, che in poco tempo lo avrebbe portato dall’infinitamente piccolo a scale cosmologiche di miliardi di anni-luce. La prova  arriverebbe dalla misura di minuscole onde gravitazionali primordiali che, secondo una predizione della teoria inflazionaria, dovrebbero continuare a permeare l’universo, orientando la stessa radiazione cosmica di fondo (in gergo tecnico polarizzandola: dando cioè una ‘direzione preferenziale’ di oscillazione al campo elettromagnetico). Si capisce quindi il grande entusiasmo suscitato in marzo dalla diffusione dei risultati dell’esperimento Bicep2, che si avvale di un grande radiotelescopio posizionato presso la base permanente Amundsen-Scott al Polo Sud. La notizia, di cui si è occupato anche  il Bo, era che questo fenomeno era finalmente stato rivelato, aggiungendo una prova importantissima e forse definitiva alla teoria dell’inflazione. Inoltre il livello di polarizzazione osservato portava a concludere che il processo fosse avvenuto all’energia di 1016 GeV, quando l’universo aveva 10-34 secondi. Un dettaglio che aveva contribuito ad accendere ancora di più gli animi degli studiosi: la scala di energia osservata era infatti proprio quella indicata dalle cosiddette Teorie di Grande Unificazione, dove si realizza l’unione di tre delle quattro forze fondamentali (elettromagnetismo, forza nucleare debole e forza nucleare forte) in unica forza.

In realtà gli entusiasmi sono stati raffreddati dalla pubblicazione, il 22 settembre scorso, di uno studio da parte del gruppo di ricerca della missione Planck dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa). Secondo l’articolo, firmato anche da tre studiosi dell’Università di Padova (Sabino Matarrese, Nicola Bartolo e Michele Liguori), la traccia captata da Bicep2 sarebbe stata ‘sporcata’ – è il proprio caso di dirlo – dalla presenza della polvere cosmica: l’insieme di particelle che nella nostra galassia  popolano, assieme ad alcuni gas, gli spazi tra i corpi celesti . “Il principale risultato del lavoro di Planck in questione è che il contributo della polvere non è affatto trascurabile, in contrasto con quanto assunto dal team di Bicep2” spiega Sabino Matarrese, che lavora da 30 anni alla teoria dell’inflazione e coordina il gruppo di cosmologi del Dipartimento di Fisica e astronomia dell’università di Padova che collabora alla missione Planck. “Questo fatto in sé non mette in dubbio la rivelazione della polarizzazione – continua il docente – ma pone inevitabilmente forti dubbi sull'interpretazione di questa come dovuta a onde gravitazionali primordiali. In  pratica, se il segnale dovuto a queste onde fosse davvero presente, il suo livello sarebbe comunque necessariamente più basso di quanto assunto da Bicep2”.

E adesso? Le prospettive vengono soprattutto dalla collaborazione tra Bicep2 e Planck, che entro fine anno dovrebbe dare luogo alla pubblicazione di uno studio basato sull'analisi congiunta dei due progetti di ricerca, che sfrutterà le possibili sinergie tra le due tecniche di osservazione. Per il momento non resta che attendere: l’appuntamento con una ricostruzione più esatta delle origini dell’esistente è rimandato. Speriamo solo di qualche mese.

 

Daniele Mont D’Arpizio

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