CULTURA

Come recuperare la generazione perduta

La prima metà del 2012 si è chiusa con un tasso di disoccupazione del 10,5%: numero che fa parlare di  “record” nei titoli dei nostri giornali. Ma per la fascia di età che sta tra i 15 e 24 anni, siamo al record dei record, con il tasso di disoccupazione – ossia l'incidenza dei senza-lavoro sul totale degli attivi – al 33,9%. Un giovane su tre. Perché la disoccupazione è giovanile? Perché le forze più fresche del paese, quelle teoricamente più adatte a rispondere alle sfide dell'epoca attuale, giacciono in larga parte inutilizzate? Da queste domande prende il via la riflessione sulle prospettive occupazionali dei giovani in Fuori dal tunnel. Le difficili transizioni dalla scuola al lavoro in Italia e nel mondo (Giappichelli, Torino 2011), l’ultimo libro di Francesco Pastore, docente di economia presso la Seconda università di Napoli.

Secondo le teorie liberiste le peggiori condizioni lavorative non sarebbero che una conseguenza delle alte aspettative e della propensione a cambiare lavoro, tipiche della condizione giovanile, o dovute al principio del LIFO (last in, first out), secondo cui durante fasi di ristrutturazione o di crisi economica (come quella che stiamo vivendo) le aziende sono portare a licenziare gli ultimi assunti e/o la manodopera meno esperta. Dunque, why to bother? Perché preoccuparsi? Sarà il mercato stesso, prima o poi, grazie anche alla stessa flessibilità a mettere tutto a posto.

La convinzione secondo cui basterebbe la deregulation a risolvere tale condizione è però tutto da dimostrare. La disoccupazione giovanile è ai massimi in paesi come Spagna e Italia, nonostante le massicce riforme degli ultimi anni, tutte nella direzione della drastica diminuzione del reddito e delle garanzie per i giovani. Chi riesce a trovare un lavoro, poi, va spesso incontro a precariato, bassi livelli salariali e mansioni lontane dai suoi studi. Il problema è comune a tutti paesi industrializzati ma particolarmente grave in Italia, dove il rapporto tra la disoccupazione giovanile e quella media è di 3 a 1, molto più alto della media europea, che è circa 2 (il 22,1% contro il 10,4%, al primo semestre 2012).

E non è un problema recente. È stato osservato che a partire dagli anni ’70 le condizioni lavorative dei giovani sono sensibilmente peggiorate dappertutto: nei paesi anglosassoni, dove il mercato del lavoro è più flessibile, sono diminuiti i salari; nell’Europa continentale, dove il sistema è più rigido, è invece calata soprattutto l’occupazione. Eppure paesi come Germania e Giappone hanno mantenuto un buon livello di occupazione giovanile anche durante i periodi di recessione: merito, secondo l’autore, di un buon raccordo tra il mondo della scuola e dell’università e il mercato del lavoro. La transizione scuola-lavoro può essere dunque agevolata da molteplici fattori: nel caso tedesco si è ad esempio rivelato essenziale lo strumento dell’apprendistato diffuso, seguito da circa l’80% degli studenti delle superiori, mentre in quello giapponese ha giocato un ruolo importante il collegamento in network tra scuole e imprese.

Che fare dunque per tornare a dare lavoro ai giovani, in particolare nel nostro paese? Inutile inseguire, dice l'autore, l'impossibile ritorno al modello del posto fisso, tipico del sistema  fordista, che oggi si rivela incapace di rispondere alle nuove esigenze della produttività e della crescita. Si tratta piuttosto di cercare soluzioni diverse, a partire dall’introduzione di un sistema efficace di flexicurity, sostituendo alla stabilità del lavoro garanzie sulla continuità del reddito e la presenza di servizi sociali, a “copertura” dei periodi di disoccupazione. A questa ricetta va poi affiancata, sempre ad avviso dell’autore, una maggiore flessibilità del sistema di istruzione, possibilmente affiancato e coordinato con un percorso parallelo di formazione professionale. La prima linea direttrice, tipica dei sistemi economici anglosassoni, riduce il costo delle lavoro delle imprese, mentre la seconda, tipica delle economie nordeuropee, potrà invece migliorare la produttività del lavoro nel medio e nel lungo periodo, tramite percorsi più flessibili, brevi ed efficaci, dislocati durante tutta la vita della persona (life-long learning):

“Al di là del tema della flessibilità e della flexicurity, lo strumento più efficace, di lotta alla disoccupazione giovanile resta quello di rendere più facili le transizioni scuola-lavoro dei giovani. Una riforma generale e profonda del sistema d’istruzione e di formazione professionale è improrogabile. Una mano d’opera giovanile più e meglio istruita è naturalmente più flessibile e sa difendersi meglio dai rischi della flessibilità, anche quella più sfrenata”. (Fuori dal tunnel, p. 100)

 

Daniele Mont D’Arpizio

Scheda del libro sul sito dell’editore


 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012