SOCIETÀ

Economia della conoscenza? L’Italia è ferma

Una fotografia delle professioni in tempo di crisi. Chi lavora? Chi no? Chi è soddisfatto di ciò che fa? Chi sente maggiormente il bisogno di aggiornarsi? Dal 2008 al 2012, in Italia, hanno perso il lavoro 555.000 persone tra artigiani e operai specializzati e 449.000 tra dirigenti e imprenditori. Al contrario sono aumentate di 358.000 unità le professioni non qualificate e di 372.000 quelle impegnate nelle attività commerciali e dei servizi. I numeri forniti recentemente dall’Istat, nell’indagine sulle professioni promossa e finanziata dall’Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori), aiutano a orientarsi “analizzando – si legge – le caratteristiche e i requisiti richiesti per esercitare una professione permettendo di stimare indirettamente anche la qualità del capitale umano occupato”. Tra 2008 e 2012, sembra che “l’innovazione tecnologica abbia impresso una debole traccia nel sistema produttivo italiano e non abbia prodotto uno scatto rilevante in termini di innovazione dei contenuti delle professioni e dei processi di lavoro. Le professioni per le quali la maggioranza degli intervistati (almeno il 60%) ha riscontrato un cambiamento nelle modalità di svolgimento del lavoro sono poco più di una su quattro”. In altre parole, per quanto riguarda l’innovazione l’Italia è ferma.

È cresciuta l’insicurezza lavorativa tra i professionisti dello spettacolo e tra gli addetti ai call center, categoria, quest’ultima, che risente anche di una profonda insoddisfazione. L’occupazione femminile ha registrato un calo del 12,5% soprattutto tra le professioni tecniche, con la perdita di 231.000 occupate (circa il doppio rispetto agli uomini) ma è aumentata, di quasi quattro volte e circa il doppio rispetto a quella maschile, tra le professioni dei servizi (+14,1%) e in quelle a bassa qualificazione (+24,9%). 

Il panorama è evidentemente cambiato. Dirigenti e imprenditori percepiscono maggiormente le trasformazioni, così come le professioni impegnate nel lavoro d’ufficio dove si notano evidenti “segnali di evoluzione soprattutto nella pubblica amministrazione”. Oggi, per affrontare e superare la crisi, si richiedono maggiore elasticità, creatività e resilienza, i cosiddetti “fattori di protezione” indispensabili anche per ottenere maggiore gratificazione. Antidoto per sopravvivere, anzi per rimettersi in pista ricollocandosi nel mercato. Nelle professioni in cui tali caratteristiche sono più diffuse nel 2012 risultano impiegate complessivamente 1.571.000 persone, pari al 6,8% del totale degli occupati. “Tra le tre caratteristiche -– si legge nel rapporto - quella che sembra essere meno presente nelle professioni del mercato del lavoro italiano è la creatività. Valutata in una scala da 0 a 100, la creatività è pari a 57,4 per le professioni intellettuali, 38,9 per le professioni delle vendite e dei servizi e 36,1 per le professioni manuali. La resilienza risulta abbastanza diffusa soprattutto tra le professioni intellettuali (76,3). Per quanto concerne l’elasticità, oltre alle professioni accademiche, spiccano, con valori superiori a 80, i matematici e i fisici e alcune professioni non docenti della scuola”. Infine, a poter vantare valori alti, questa volta per tutte e tre le caratteristiche, sarebbero i ricercatori nell’ambito delle science mediche e i docenti universitari in scienze biologiche (rispettivamente 86,5 e 84,4). 

Il mercato chiede maggiore innovazione, ma anche aggiornamento continuo. Per oltre il 76% delle professioni si rileva la necessità di aggiornare conoscenze e competenze acquisite o apprenderne di nuove per adeguarsi ai cambiamenti in corso. In particolare, “sono le professioni di elevata specializzazione, quelle tecniche e quelle dell’alta dirigenza a esprimere una più decisa esigenza di aggiornamento, mentre questo bisogno è notevolmente più contenuto tra le professioni non qualificate”.

Intanto, gli ultimi dati Istat relativi al mese di agosto 2014 segnalano nuovi record di disoccupazione giovanile. In un quadro che vede 22.380.000 occupati, in aumento dello 0,1% rispetto al mese precedente (+32.000) e sostanzialmente invariati su base annua, i disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono 710.000. Cala il tasso generale di disoccupazione, dunque, ma non diminuisce quella giovanile. Anzi, le cose sembrano andare, se possibile, sempre peggio. “Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 44,2%, in crescita di 1,0 punti percentuali rispetto al mese precedente”. 

F.Boc.

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