SOCIETÀ

Ferguson. La linea del colore divide ancora

Continuano negli Stati Uniti le proteste contro il verdetto del Grand Jury che ha sollevato da ogni responsabilità l'agente di polizia Darren Wilson per aver ucciso, il 9 agosto scorso, il diciottenne afroamericano Michael Brown a Ferguson, un sobborgo di St. Louis in Missouri. E mentre le tensioni non accennano a placarsi gli Stati Uniti, impegnati da anni a fare i conti con la Grande Recessione, si ritrovano ancora una volta di fronte alle fratture mai sanate fra maggioranza bianca e minoranze, delle quali la condizione degli afroamericani è il caso più emblematico. 

Nelle ore immediatamente successive all’annuncio della decisione del Grand Jury, il presidente Barack Obama aveva invitato tutti alla calma, ricordando al pubblico che gli Stati Uniti sono un Paese fondato sul rispetto per la legge. Con parole piuttosto fredde, che hanno deluso molti tra i suoi sostenitori, Obama aveva sì riconosciuto che la reazione al caso Brown rivelava i problemi profondi che ancora attraversano l’America, in particolare la totale mancanza di fiducia reciproca tra le forze dell’ordine e la comunità nera. Ma aveva poi aggiunto: “Abbiamo fatto enormi passi in avanti quanto a relazioni razziali negli ultimi decenni. L’ho osservato io in prima persona nel corso della mia vita. E negare questo progresso significa negare la capacità dell’America di cambiare”. 

Di sicuro gli Stati Uniti del 2014 non sono più quelli della schiavitù e nemmeno quelli della segregazione razziale imposta per legge o della discriminazione approvata a livello ufficiale. Con Obama, gli americani hanno eletto il primo presidente nero della propria storia (anche se va ricordato che sua madre era bianca e suo padre uno studente dal Kenya nel paese solo temporaneamente). Ci sono afroamericani fra i giudici della Corte Suprema e altri che ricoprono, o hanno ricoperto, ruoli come consigliere della Casa Bianca per la Sicurezza nazionale o segretario di Stato. Ci sono avvocati, banchieri, amministratori delegati, medici e lobbisti neri di primissimo livello, e i militari vedono molti neri fra gli alti gradi di esercito, marina e aeronautica. Il matrimonio tra persone di razze diverse è legale dal 1967. 

Se si guarda ad altri dati, sorge però qualche dubbio sull’aumento reale delle pari opportunità tra bianchi e neri e sul miglioramento effettivo delle condizioni di vita, se non dell’élite di colore, del resto di questa comunità che rappresenta circa il 13% della popolazione americana complessiva. Un’analisi del Pew Research Center del 2013 segnala ad esempio che la differenza di reddito mediano tra bianchi e neri si è ampliata, negli ultimi cinquant’anni, da 19.000 dollari dei primi anni Sessanta a 27.000 dollari nel 2011, tenendo conto dell'inflazione. Intanto, il gap nella ricchezza detenuta dalle famiglie bianche e nere è passato dai 75.000 dollari circa nel 1984 ai quasi 85.000 dollari nel 2011 (quando le prime potevano contare su una ricchezza mediana di 91.405 dollari e le seconde di soli 6.446 dollari). Se è vero poi che la percentuale di neri oltre i 25 anni di età che sono in possesso di una laurea è aumentata di molto negli ultimi cinquant’anni (dal 4% al 21%), non si è accorciata più di tanto la distanza con i bianchi (tra cui i laureati sono cresciuti dal 10% al 34%). In questo stesso arco di tempo si è ingrossata inoltre la percentuale di colore della popolazione carceraria: oggi la probabilità che un nero finisca dietro le sbarre è più di sei volte maggiore rispetto a quella di un bianco, mentre nel 1960, un'epoca in cui la segregazione era ancora sancita per legge in parte del paese, lo era di cinque volte. Nel frattempo, la differenza nel tasso di povertà che affligge le due comunità è rimasta sostanzialmente invariata. In breve, se i neri stanno un po’ meglio di una volta in termini assoluti, i bianchi nello stesso lasso di tempo hanno consolidato ancora di più la propria posizione relativa, aumentando il vantaggio. 

Una situazione che è precipitata negli anni della Grande Recessione. Secondo i dati della Federal Reserve analizzati dall’Urban Institute e presentati dal New York Times, nel 2007 le famiglie bianche erano, in media, quattro volte più ricche delle proprie controparti di colore, ma sono diventate poi sei volte più facoltose da lì al 2010. Avendo meno risparmi accantonati dei bianchi, i neri sono stati costretti a prelevare, durante gli anni della crisi, dai propri fondi pensione, i quali si sono ridotti del 35%, mentre quelli dei bianchi sono cresciuti del 9%. Complessivamente, tra il 2007 e il 2010, i neri hanno visto evaporare il 31% della propria ricchezza contro l’11% dei bianchi. Questo significa che, sotto certi aspetti almeno, le condizioni degli afroamericani sono peggiorate durante la presidenza Obama, indubbiamente un grosso fallimento per lui. È ormai chiaro che, sebbene la promessa di maggior giustizia ed equità fatta da Obama nella campagna elettorale del 2008 abbia contribuito a generare allora entusiasmo tra gli elettori e a condurlo fino alla Casa Bianca, una volta insediato nello studio ovale il primo presidente americano di colore si è visto costretto a non dimostrarsi per nulla parziale verso la comunità nera. Anzi, ha dovuto provare a ogni occasione, a una sospettosa maggioranza bianca, di saper prendere le distanze da essa, in modo da guadagnarsi un po’ di credibilità come attore super partes. 

Fin qui, Obama non ha mai riconosciuto davvero la natura del problema, né la mancanza di una propria strategia volta a colmare il gap tra bianchi e afroamericani al di là delle parole e del simbolismo. Ora però che si prepara ad affrontare i propri ultimi due anni alla Casa Bianca, avendo ormai poco da perdere ed essendo preoccupato più di lasciare un’eredità politica di un qualche valore che di portare avanti una specifica agenda legislativa, sarà interessante capire se Obama sarà finalmente disposto a prendersi dei rischi su questo fronte. Le prime indicazioni arrivate dopo l’annuncio del verdetto di Ferguson non fanno ben sperare. 

Valentina Pasquali

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