SCIENZA E RICERCA

Fotoni, ossigeno e cellule adipose: come portare gli antitumorali là dove servono

Le nanotecnologie stanno compiendo passi in avanti non solo nell’ingegneria, ma anche nella medicina. La speranza è di arrivare a manipolare con precisione oggetti delle dimensioni di pochi millesimi di millimetro per applicare medicine, in particolare antitumorali, soltanto dove occorre. Un campo molto attivo è quello delle terapie fotodinamiche: sono allo studio sostanze che reagiscono alla luce liberando particolari molecole di ossigeno, tossiche per le cellule tumorali. La medicina si porta in prossimità del tumore, e a questo punto basta illuminarla per attivare l’ossigeno e uccidere le cellule cancerose.  

Purtroppo, non è così semplice: per poter penetrare in profondità, la luce non deve essere quella visibile, percepita dai nostri occhi, ma infrarossa, quella che il nostro corpo percepisce come calore. Allo stesso tempo, però, la luce infrarossa non ha abbastanza energia per attivare l’ossigeno. Infatti, la luce cede energia in maniera particolare, ossia per pacchetti, il cui valore dipende dal colore – cioè dalla frequenza delle onde luminose. Più alta la frequenza, più vale l’energia del pacchetto che prende il nome di fotone. Lo scambio di energia con la luce, quindi, richiede un numero intero di fotoni: un materiale può assorbire uno oppure due fotoni, ma non uno e mezzo.

I fotoni blu sono più energetici dei fotoni verdi, i fotoni verdi lo sono più di quelli gialli e così via fino a quelli rossi e infrarossi che trasportano circa la metà dell’energia di quelli blu. Le medicine fotosensibili devono prendere dalla luce l’energia che occorre per attivare l’ossigeno e questa energia corrisponde a quella dei fotoni verdi o blu; quelli infrarossi non bastano. La luce a queste frequenze però viene facilmente diffusa dai liquidi delle cellule e non arriverebbe dove necessario. La soluzione adottata comunemente è quella di aspettare che le medicine assorbano due fotoni rossi alla volta, ma è un evento molto raro e poco efficiente.

Una collaborazione tra la State University of New York, la Shenzen University in Cina e la Korea University di Seul ha trovato una soluzione interessante nella risposta “nonlineare” dei tessuti adiposi e del collagene che aderiscono ai tumori. Questi tessuti infatti reagiscono alla luce in modo anomalo: quando sono illuminati, possono assorbire due pacchetti di energia ‘rossa’ e, invece di riemetterli tali e quali (questa è la risposta “lineare”), rilasciano l’energia tutta insieme sotto forma di un solo pacchetto blu (o verde, con un processo un po’ più complicato).

In questo modo, si riesce a mettere insieme il meglio dei due colori: abbiamo così la capacità di penetrazione dell’infrarosso insieme alla capacità di attivazione del blu. I primi test sono stati compiuti su bersagli di cellule in vitro che hanno risposto bene alla sollecitazione dalla luce prodotta in modo “nonlineare”. La cura risulta infatti molto più efficace se, invece di aspettare l’assorbimento di due fotoni, le medicine vengono attivate dalla luce blu e verde, sebbene anche il processo “nonlineare” non sia molto efficiente. Il collagene è più capace a produrre luce blu di quanto le medicine non lo siano ad assorbire due fotoni.

La medicina del futuro evolve grazie all’attenzione e alla curiosità per le altre scienze, anche quelle apparentemente più lontane.

Marco Barbieri

 

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