UNIVERSITÀ E SCUOLA
Francia, valutare anche la didattica
ENSGSI, Ecole nationale superieure en genie des systemes industriels. Foto: Fred Marvaux/Rea/contrasto
È giusto che i docenti universitari siano valutati dagli studenti? Se ne parla in Francia in questi giorni, dopo che in gennaio il parlamentare socialista Jean-Yves Le Déaut ha presentato un rapporto conoscitivo, propedeutico alla discussione della nuova Loi sur l’ensegneiment supérieur et la recherche, il cui progetto sarà presentato il prossimo 20 marzo dal ministro Geneviève Fioraso. “Dappertutto nella società si viene valutati”, sottolinea il deputato francese, “e accettare che un corpo sociale sfugga a questo principio non è sano”.
Le dichiarazioni hanno ovviamente messo in allerta sia i sindacati dei professori che quelli degli studenti, che Oltralpe hanno un peso politico molto maggiore che in Italia: in gioco ci sono valori come la qualità, ma anche la libertà d’insegnamento. Del resto la valutazione è presente fin dal 1984 nella legislazione universitaria francese, in quasi trent’anni però questo principio è stato a dir poco trascurato, se non proprio osteggiato in primo luogo dal corpo docente. Oggi le procedure di valutazione sono diffuse soprattutto nella fascia alta del sistema universitario, in particolare nelle Grandes écoles (come le famose Normale o Ena) e in diversi istituti universitari tecnologici (Iut). Per quanto riguarda invece le altre università il quadro è striminzito e anche molto frammentario: alla Grenoble Ecole de management (Gem) ad esempio le valutazioni hanno luogo alla fine di ogni corso, alla Supélec (Ecole supérieure d’électricité) ogni otto settimane, mentre alla Sciences Po di Bordeaux ogni anno. Anche sui sistemi e i modelli di valutazione la confusione è pressoché completa.
Perché la valutazione è importante, e perché tanti docenti ancora vi si oppongono? Se sono in molti a paventare che con i “voti” sarebbero privilegiati gli insegnanti più superficiali o i “professori-guru”, pronti a fare di tutto per ingraziarsi gli studenti, dall’altra parte si sottolinea come una valutazione ben fatta non sia minaccia o una punizione, bensì uno strumento a disposizione anzitutto dei docenti per migliorare la qualità e l’efficacia dei corsi. “Se un piccolo numero di studenti critica un corso non vi prestiamo attenzione; se sono cinquanta, allora ci poniamo delle domande” ha dichiarato ad esempio a Le Monde Emmanuel Cuny, Professore di neurochirurgia e responsabile della valutazione presso l’università di Bordeaux II, uno degli istituti in prima linea in questo ambito. I questionari vengono raccolti, sintetizzati e inviati al docente, che in caso di problemi deve proporre delle soluzioni, o anche esaminare quelle che gli vengono fornite dal Centre de recherches applicquées en méthodes educatives (Crame), l’organismo interno che si occupa della valutazione. In nessun caso vengono messe in discussione la carriera e lo stipendio del docente.
Oltre al miglioramento del servizio, una valutazione sistematica dei corsi – e non degli insegnanti, si tende da più parti a sottolineare – presenta anche l’aspetto positivo di valorizzare i professori davvero bravi, e quindi il ruolo della didattica. Oggi infatti, viene fatto notare, un bravo docente è sfavorito rispetto a un eccellente ricercatore, che nel corso della sua carriera accademica sarà sempre avvantaggiato rispetto a una persona con spiccate doti pedagogiche. Alla prova dei fatti inoltre gli studenti finora si sono dimostrati meno severi di quello che si aspettava, di fatto “promuovendo” la maggior parte degli insegnamenti. Quello che sembra mancare semmai è proprio un interesse consistente da parte degli studenti, che in molti casi non sembrano apprezzare a pieno l’utilità delle procedure.
Se in Francia la questione sembra tenere banco negli ambienti universitari, la valutazione è invece una realtà consolidata in molti altri paesi, come il Belgio e soprattutto la Gran Bretagna, solo per restare in Europa. Nel sistema anglosassone per esempio i “voti” agli insegnanti sono ormai una realtà consolidata da più di vent’anni, sebbene fino ad ora non siano stati resi obbligatori da nessuna normativa. Eppure anche qui non mancano le difficoltà: manca ad esempio un modello di questionario standard, quindi i dati delle diverse università non sono comparabili tra loro. Questo perché appunto i questionari vengono compresi innanzitutto come un ausilio per la didattica. In compenso da otto anni esiste una rilevazione annuale a cui partecipano tutti gli studenti dell’ultimo anno di laurea (287.000 solo l’anno scorso). La National Student Survey, che ogni anno pubblica i suoi dati attraverso un sito internet accessibile e facile da scorrere, valuta una serie molto ampia di parametri – oltre alla qualità dell’insegnamento anche le biblioteche, il sostegno allo studio da parte degli insegnanti e persino l’efficienza nella gestione degli orari – ed è ormai diventato uno strumento imprescindibile per tantissimi ragazzi che ogni anno scelgono l’università.
Daniele Mont D’Arpizio