SOCIETÀ

L'80esimo anniversario del D-Day e quella eredità contesa della vittoria sul nazismo

Ancora oggi lo sbarco in Normandia continua a suscitare emozione. Non solo perché negli anni è stata oggetto di ricerche, testimonianze, libri, film (dal Giorno più lungo del 1959 con Robert Mitchum, John Wayne e Sean Connery al più recente Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg con Tom Hanks) e persino canzoni (tra tutte The Longest Day degli Iron Maiden), ma anche perché il suo anniversario cade in un momento in cui anche nell’Europa occidentale torna ad aggirarsi lo spettro della guerra. “So che il nostro Paese è ricco di una gioventù coraggiosa, valorosa, pronta allo stesso spirito di sacrificio dei suoi antenati – ha detto il presidente francese Emmanuel Macron rivolgendosi ai rappresentanti delle forze armate durante l’inizio delle celebrazioni per gli 80 anni dall’operazione Overlord –. I pericoli aumentano ma voi ci ricordate che siamo pronti agli stessi sacrifici per difendere quello che abbiamo di più caro".

Una memoria dunque viva e presente, alla quale oggi si torna a chiedere di catalizzare le risorse della nazione per fronteggiare nuove minacce. Qual è stata però l’importanza concreta del D-Day dal punto di vista strategico? Lo chiediamo a Giovanni Cadioli, ricercatore presso il dipartimento Spgi dell’università di Padova. “L'apertura del cosiddetto secondo fronte contribuì certamente in maniera fondamentale a segnare le sorti della guerra, che però a quel punto erano già sostanzialmente decise – spiega lo storico a Il Bo Live –. Nel giugno del 1944 il punto non era se la Germania sarebbe stata sconfitta, ma quando. Il regime fascista italiano era già crollato, i regimi pro-tedeschi di Bulgaria e Romania avrebbero voltato le spalle al Reich pochi mesi dopo, passando agli Alleati”.

Dal punto militare, secondo Cadioli, il vero punto di svolta della guerra in Europa fu la (per lui) scellerata decisione da parte di Hitler di attaccare Stalin, con il quale meno di due anni prima si era spartito la Polonia. “In termini di battaglie campali l’esito del conflitto fu segnato dalle grandi vittorie sovietiche di Mosca, tra la fine del 1941 e l’inizio 1942, Stalingrado, tra il 1942 e l’inizio 1943, e Kursk nell'estate del 1943. Quest’ultima peraltro coincise con gli sbarchi degli Alleati in Sicilia, che ebbero un ruolo fondamentale nell'impedire che l'Asse inviasse rinforzi a est”. Strategicamente fondamentale fu anche l'espulsione di tedeschi e italiani dal Nord Africa, anche se questo non toglie che “sul fronte occidentale la Seconda Guerra Mondiale ebbe numeri molto diversi per quanto riguarda combattimenti e perdite. Sbarcando in Normandia il 6 giugno 1944 Americani, Inglesi, Canadesi e Francesi subirono 10.000 perdite o più, mentre per tutto il 1942 i soldati sovietici morirono a una media di 9.000 al giorno. I numeri non sono davvero paragonabili: a Mosca morirono più di mezzo milione di soldati dell'Armata rossa, a Stalingrado quasi 480.000, a Kursk quasi 450.000, senza contare milioni di feriti”.

Le campagne del fronte occidentale sono dunque state meno importanti per la sconfitta del nazismo? "Tutt'altro", chiarisce Giovanni Cadioli. "La battaglia dell'Atlantico contro gli U-Boot nazisti e i bombardamenti strategici della Germania permisero di rifornire Gran Bretagna e Urss per mare e di polverizzare la macchina bellica nazista. La stessa battaglia d’Inghilterra, pur con un numero proporzionalmente più esiguo di caduti, fu un momento di svolta fondamentale. Senza questa divisione del lavoro per terra, mare ed aria, gli Alleati non avrebbero vinto”. E per quanto invece riguarda l’aspetto politico e propagandistico, quali furono gli effetti dello sbarco più imponente della storia? “Da questo punto di vista il D-Day fu fondamentale: gli Alleati erano davvero tornati in Europa. C'erano già ovviamente, in Italia, dove però la campagna procedeva a rilento; sulle coste francesi invece la possente macchina bellica anglo-americana si rivelò davvero inarrestabile, mentre l'enorme massa di uomini dell'Armata rossa continuava a mietere successi sul fronte est. Nell'estate del 1944 nella sola operazione Bagration i sovietici distrussero 28 divisioni naziste, equivalenti a tutto il contingente tedesco sul fronte occidentale”.

La vittoria degli Alleati sul nazismo fu insomma la storia di una collaborazione capace di superare le profonde diffidenze reciproche. Di lì a poco però sarebbe iniziata la Guerra Fredda. “A lungo occidente ed oriente per ragioni ideologiche e politiche avrebbero ignorato il rispettivo contributo durante la guerra – conclude Cadioli –. Le speranze di riuscire a giungere a una memoria storicamente condivisa sembrarono concretizzarsi negli anni '90 e nei primi anni '2000, ma in seguito in Russia la memoria dell'enorme sacrificio del popolo sovietico, 27 milioni di morti, è stata totalmente trasformata in un'arma propagandistica del regime. Fino ad arrivare al punto di usare le parole chiave di Yalta e Potsdam sulla Germania, demilitarizzazione e denazificazione, per negare l'esistenza autonoma dell’Ucraina e giustificarne l’invasione”.

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