Violenza economica: conoscerla per prevenirla
Secondo un rapporto intitolato Ciò che è tuo è mio pubblicato da We World del 2023, il 12% delle donne in Europa ha subito abusi riconducibili alla violenza economica a partire dai 13 anni, una quota che sale a un terzo tra le donne che si rivolgono ai Centri antiviolenza (CAV) nel nostro Paese.
La violenza economica consiste in un abuso di potere compiuto attraverso il controllo delle finanze da parte di un partner che rende la sua compagna economicamente dipendente da lui, non solo negandole l’accesso alle sue risorse personali ed escludendola dalla gestione del patrimonio familiare, ma anche ostacolando la sua ricerca di un’autonomia finanziaria e di una crescita professionale, ad esempio sminuendo o intralciando le sue aspirazioni di carriera.
Stiamo parlando, quindi, di una vera e propria limitazione della libertà; la violenza economica viene infatti menzionata, accanto a quella fisica e psicologica, anche nell’articolo 3 della Convenzione di Istanbul per il contrasto alla violenza sulle donne. Eppure, questo tipo di abusi sono ancora poco conosciuti e identificati dalle donne stesse che ne fanno esperienza.
Ciò che ancora ostacola il riconoscimento di questa forma di violenza è la mentalità, ancora ampiamente diffusa, secondo la quale è l’uomo, in quanto capofamiglia, ad essere l’unico incaricato della gestione finanziaria della famiglia. Una convinzione, quest’ultima, che si sta lentamente erodendo grazie al lavoro dei Centri antiviolenza presenti in tutta Italia, che offrono supporto gratuito anche alle donne che desiderano conquistare o riconquistare una loro autonomia economica. Sono in aumento, inoltre, le occasioni formative e di sensibilizzazione che aiutano le donne a riconoscere i segnali d’allarme della violenza economica, prevenirla e, nei casi più gravi, proteggersi. Tra le tante iniziative troviamo, ad esempio, uno dei podcast prodotti dalla community di Rame, che promuove l’educazione finanziaria femminile e dedica alcuniepisodi proprio a questo tema.
Come spiega Daria Tinagli, psicologa psicoterapeuta esperta dell’argomento, questo tipo di violenza non si manifesta solo nelle situazioni in cui esiste un forte squilibrio economico all’interno della coppia o nei contesti in cui il tasso di alfabetizzazione finanziaria è mediamente basso, ma anche nelle famiglie benestanti e tra persone con un elevato livello di istruzione.
“A volte succede che l’abuso di potere economico alla base di questo tipo di violenza si manifesti in modi molto sottili, non facilmente riconoscibili”, osserva Tinagli. “Diffuso, ad esempio, è il cosiddetto sessismo benevolo, una modalità di controllo molto radicata culturalmente, che viene facilmente scambiata per un gesto di affetto. Si tratta di quei casi in cui l’uomo “solleva” la donna da questioni che possono risultare ostiche o noiose, come la burocrazia, la gestione delle spese e dei pagamenti, di cui si assume l’intera responsabilità. Lo stesso accade quando propone alla propria partner di lasciare o ridimensionare a ribasso il suo lavoro dopo la nascita dei figli.
Sembra un gesto di benevolenza, da parte dell’uomo, sobbarcarsi tutto il peso del lavoro e della gestione finanziaria. Inoltre, la possibilità di godersi i bambini piccoli e non dover pensare al lavoro e alla carriera può far sentire privilegiate e viene spesso accolto positivamente dalle donne stesse che – come accade nella maggior parte dei casi – guadagnano meno dei loro compagni, le quali ritengono che il proprio stipendio non sia rilevante nell’economia familiare e pensano di risparmiare in baby-sitter o nella mobilità casa-lavoro decidendo di dedicarsi esclusivamente al lavoro domestico.
Il problema, però, è che dipendere totalmente da un’altra persona mette nella condizione in cui bisogna chiedere al proprio compagno i soldi per fare la spesa o passare per il suo benestare quando si vuole comprare qualcosa per sé. Inoltre, ci si scopre particolarmente vulnerabili nel caso in cui si debba allontanare un compagno che maltratta (o che si desidera lasciare per altri motivi) quando si dipende economicamente da lui”.
Per non parlare poi del fatto che subire violenza economica ha un impatto anche a livello psicologico, perché “causa ansia, insicurezza, abbatte l’autostima e suscita un profondo senso di vergogna per i passi falsi compiuti”, continua Tinagli. “È frequente, inoltre, la tendenza a isolarsi, sia a causa dell’imbarazzo che si prova, sia per il timore di non potersi permettere determinati svaghi. Proprio in questi momenti, invece, si ha bisogno di una rete di supporto sociale”.
Da qui l’importanza di un’educazione finanziaria, rivolta soprattutto ai ragazzi e alle ragazze più giovani, che promuova un cambiamento anche culturale. “È fondamentale esortare le donne al dialogo, abituandole a pretendere la stessa informazione, lo stesso controllo delle risorse e lo stesso potere decisionale nel rapporto di coppia a prescindere dalle rispettive entrate. Credo ci sia poi un altro messaggio importante da diffondere: pretendere equità nella gestione finanziaria non significa non fidarsi dell’amore, della coppia o della famiglia; significa, piuttosto, volersi abbastanza bene da rispettarsi anche sul piano economico”.
“ Pretendere equità nella gestione finanziaria non significa non fidarsi dell’amore, della coppia o della famiglia; significa, piuttosto, volersi abbastanza bene da rispettarsi anche sul piano economico
Sull’importanza dell’educazione finanziaria si concentra anche Roberta Sgreva, consulente finanziaria Fideuram e membro del direttivo del Cantiere delle donne, un’associazione per la promozione dell’empowerment femminile, che ha curato di recente un podcast dal titolo Il rumore delle parole (di cui abbiamo parlato qui).
“Il disinteresse per le proprie finanze non è un problema solo femminile, ma genericamente italiano”, osserva Sgreva. È opinione comune che la gestione delle proprie risorse implichi conoscenze sofisticate di matematica finanziaria e andamento del mercato economico. Non è così. Al contrario, significa occuparsi della propria autonomia economica, delle esigenze presenti e dei progetti futuri.
Le donne tendono però maggiormente a non gestire autonomamente i propri flussi a causa di quel retaggio culturale che le spinge a considerare tali attività appannaggio degli uomini, come se la gestione finanziaria fosse solo uno dei vari incarichi da distribuire tra i membri di una coppia, come accompagnare i figli a scuola, cucinare o fare la spesa”. Infatti, come riportano i dati del report di We World citato in apertura, solo il 37% delle donne italiane possiede un conto corrente intestato esclusivamente a suo nome.
“Dovrebbe passare il messaggio che occuparsi delle proprie finanze è come prendersi cura della propria salute: non è un compito che può essere delegato a qualcun altro, ma è indispensabile per proteggere il nostro domani”, afferma Sgreva, che fornisce alcuni consigli pratici per riuscirci. “Innanzitutto, è importante costruire un risparmio che consenta di essere resilienti di fronte agli imprevisti. Non si tratta di mettere da parte grandi ricchezze (quello è un obiettivo diverso) ma di trovarsi preparati nelle varie eventualità che possono presentarsi nel corso della vita, come rimanere da soli, dover prendere una decisione rapida o fuggire da una situazione di pericolo. A prescindere dal proprio reddito, questo risparmio va costruito fin dai primi guadagni, mettendo da parte ogni mese una piccola percentuale (anche solo del 5%, ad esempio) dello stipendio. L’accantonamento, in altre parole, deve diventare una vera e propria forma mentis.
Per costruirsi un’autonomia economica è fondamentale, inoltre, che i propri flussi entrino in un conto corrente intestato esclusivamente a proprio nome. È utile, poi, sottoscrivere adeguate polizze assicurative per proteggersi dai rischi e costruire una relazione di fiducia con un istituto di credito o un consulente bancario che conosca le esigenze specifiche e sia in grado di fornire supporto in ogni circostanza della vita, comprese quelle impreviste”.
“ Occuparsi delle proprie finanze è come prendersi cura della propria salute
Per quanto riguarda invece la gestione del patrimonio familiare e di coppia, è importante agire fin da subito per evitare che eventuali squilibri economici si trasformino anche in uno squilibrio di potere, in cui chi guadagna di più ha maggiore potere decisionale o usa il denaro come uno strumento di controllo.
“Prevenire queste situazioni è possibile”, assicura Sgreva. “È importante, però, impostare da subito le relazioni di coppia dando valore all'autonomia economica.
Ancora prima di imparare a gestire i propri flussi, però, è consigliabile trovare un lavoro e conservarlo. Lasciare il proprio impiego alla nascita di un figlio si rivela spesso un grave errore. Anche se ciò che si riesce a mettere da parte al netto delle spese di baby-sitting o delle strutture per l’infanzia è poco o nullo, va fatto lo stesso, per conservarsi un posto di lavoro, perché i figli crescono, ma il lavoro spesso non torna.
Nel caso in cui entrambi i membri di una coppia lavorano, quindi, è essenziale che i flussi di ciascuno entrino in conti separati. Semmai si accende un altro conto corrente, cointestato, in cui ognuno versa periodicamente una somma proporzionale al proprio reddito in cui far confluire le bollette, le spese per la casa e per i figli. È fondamentale, però, che ciò che rimane dei rispettivi stipendi, anche se poco, resti nei conti personali.
Nel caso in cui la donna ha compiuto la scelta – comunque sconsigliata – di dedicarsi esclusivamente al lavoro domestico, in una relazione basata sulla fiducia e sul rispetto reciproco, è utile che disponga di un proprio conto corrente in cui far confluire una parte del patrimonio familiare a suo uso esclusivo, di cui lei sola abbia la disponibilità e che le permetta di costruire un risparmio”.
In generale, prosegue Sgreva, è molto più difficile andare a compensare eventuali squilibri nelle coppie già consolidate, perché certe abitudini possono essere difficili da scardinare. “In questi casi, è bene procedere a piccoli passi per riallineare la situazione”, spiega. “Certo, ogni caso va valutato singolarmente, ma il primo passo resta l’accensione di un proprio conto corrente (possibilmente con costi bassi di gestione) sul quale farsi accreditare lo stipendio o altri tipi di reddito. Le donne che non lavorano, invece, possono cercare di lavorare su loro stesse, con l’obiettivo di trovare un impiego, dedicandosi ad esempio ad attività di formazione o di qualificazione professionale”.
Bisogna infine ricordare, anche nei casi più gravi, ovvero quelli in cui non è più possibile prevenire o risolvere una violenza economica attraverso il dialogo, perché manca nella relazione il rispetto reciproco o sono presenti anche altre forme di violenza, che uscirne è possibile e che non si è sole.
Il primo passo è rivolgersi ai Centri antiviolenza (contattabili chiamando il numero 1522 o collegandosi al sito) dove operano professioniste e professionisti in grado di offrire supporto legale, psicologico, informativo e indirizzare a percorsi di empowerment. Queste realtà lavorano in rete con altri servizi del territorio per accompagnare le donne che lo desiderano a riappropriarsi della propria indipendenza, ricostruire l’autonomia e, quando necessario, rimettersi in piedi anche dal punto di vista professionale.
I centri antiviolenza svolgono inoltre un ruolo fondamentale nel promuovere un cambiamento culturale: diffondono materiali informativi, organizzano incontri e iniziative di sensibilizzazione e insistono sull’importanza dell’educazione finanziaria come strumento di libertà, perché l’indipendenza economica non è solo una tutela, ma una forma concreta di autodeterminazione.