Il rumore delle parole. Il podcast del Cantiere delle donne contro la violenza di genere

La violenza di genere si può interrompere, contrastare e persino prevenire. Per farlo, però, bisogna imparare a riconoscerne i segnali, anche quelli più subdoli e silenziosi. Rompere questo silenzio è possibile: attiviste e associazioni lo fanno ogni giorno, ricordando che nessuna voce è superflua, perché le parole hanno la forza di fare rumore, diffondere consapevolezza e, talvolta, salvare vite.
In questa direzione si inserisce il podcast Il rumore delle parole, realizzato dalle giornaliste Pamela Ferlin e Micaela Faggiani, presidente dell’associazione Cantiere delle donne, che promuove l’empowerment femminile e sostiene chi cerca di uscire da situazioni di violenza. Finanziato da Fondazione Cariparo e Confartigianato Veneto e disponibile su tutte le piattaforme, il podcast racconta le storie vere di sei donne venete (presentate con nomi di fantasia) che hanno affrontato e superato diverse forme di violenza fisica, psicologica, economica. Non sono “supereroine” né “vittime”, ma persone che, anche grazie al sostegno di reti di aiuto e all’accesso, spesso difficile ma possibile, agli strumenti legali esistenti, hanno ritrovato autonomia, indipendenza e persino sogni messi a tacere troppo a lungo.
Il settimo e ultimo episodio – una sorta di puntata extra – è dedicato alla storia di Giulia Cecchettin, che, come purtroppo sappiamo, non ha avuto un lieto fine e che ha scosso l’opinione pubblica, portando la società civile a scontrarsi ancora una volta con il fatto che la violenza di genere non riguarda singoli episodi che avvengono nel privato, ma rappresenta un problema pubblico, sistemico e culturale.
“Il podcast è nato dopo la pubblicazione dell’instant book omonimo Il rumore delle parole, frutto di una call to action diffusa sui social dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin”, racconta Micaela Faggiani a Il Bo Live. “È stata una risposta di pancia, data dalla necessità di fare qualcosa dopo quel terribile episodio. All’invito hanno aderito molte donne venete di età e condizioni sociali diverse, che hanno scelto di condividere in forma anonima le proprie esperienze di violenza quotidiana”.
Ciò che colpisce, nell’ascolto di queste storie, è la loro ordinarietà. Le vicende raccontate non sono affatto eccezionali, ma riportano dinamiche che, purtroppo, non sono affatto rare e che è difficile non ricondurre alla propria esperienza personale o a quella di amiche, colleghe, parenti, madri, figlie, sorelle. “Crediamo che rispecchiarsi in una storia aiuti a capire la propria”, riflette Pamela Ferlin. “è proprio con questo “gioco dello specchio” che speriamo di stimolare la consapevolezza attraverso il podcast. Le protagoniste, infatti, sono donne di età, condizione sociale e livello di istruzione molto diversi; c’è anche il caso di una coppia omosessuale, a ricordare che nessun contesto è immune dalla violenza”.
Varie sono anche le forme di violenza raccontate: non solo abusi fisici, ma anche manipolazioni psicologiche, umiliazioni, controllo, minacce, limitazioni della libertà, comportamenti che spesso passano inosservati, ma che segnano profondamente chi li subisce.
Un’attenzione particolare è rivolta alla violenza economica, una realtà ancora poco riconosciuta, specie in Italia, dove l’alfabetizzazione finanziaria resta tra le più basse d’Europa, soprattutto tra donne e giovani. “La dipendenza economica dal partner comporta la perdita di autonomia e di potere decisionale”, spiega Ferlin. “Da qui l’importanza di promuovere occasioni di educazione finanziaria fin dalla scuola (una delle attività, tra l’altro, portate avanti dal cantiere delle donne) che insegnino come aprire un conto corrente personale e perché sia importante farlo, ma anche come gestire le proprie entrate e mantenere il pieno controllo delle proprie risorse. Perché disporre liberamente del proprio denaro è anche una forma di libertà e di tutela contro la violenza”.
Ricorre diverse volte, nelle puntate del podcast, il riferimento alle cosiddette red flags, ovvero quei campanelli d’allarme che in un rapporto suggeriscono che qualcosa non va. Possono essere comportamenti del partner, situazioni che creano disagio, rinunce forzate o semplicemente il modo in cui ci si sente in quella relazione. A volte sono segnali lievi, ma riconoscerli subito è fondamentale per evitare che degenerino.
“Vogliamo raggiungere più persone possibili con un messaggio chiaro: non siete sole”, spiega Ferlin. “Impariamo ad ascoltarci, a guardare la nostra storia e a riconoscere ciò che non è accettabile. Molte delle situazioni che le nostre madri e nonne hanno vissuto in silenzio oggi non possono più essere considerate normali”.
Il podcast mette a fuoco alcuni di questi campanelli d’allarme. “Si tratta di dinamiche a volte difficili da decodificare, soprattutto per le più giovani: dal controllo del telefono, che non è un gesto d’amore ma un comportamento tossico, fino all’isolamento graduale da amici, colleghi e familiari”, prosegue Ferlin. “È un processo subdolo e progressivo, paragonabile alla metafora della “rana bollita” (se si alza un po’ alla volta la temperatura della pentola in cui si trova la rana, questa non si accorgerà dell’aumento del calore, non uscirà dalla pentola e finirà bollita, ndr): piccole rinunce tollerate oggi possono trasformarsi, con il tempo, nella perdita totale della propria libertà.
Per quanto esista, infatti, una gelosia “sana”, ovvero quell’umano sentimento di attaccamento alla persona amata, è importante distinguerla dal possesso, ricordando che l’altra persona è il soggetto – e non l’oggetto – del nostro amore, e come tale va rispettata, senza consumare i suoi spazi di libertà. Crediamo che diffondere questa consapevolezza sia indispensabile, soprattutto tra le donne più giovani”.
L’obiettivo delle autrici non è solo quello di offrire strumenti utili a chi rischia di subire violenza, ma anche stimolare negli uomini la capacità di mettersi in discussione, riconoscere comportamenti sbagliati e scegliere di cambiarli. “Abbiamo ricevuto feedback positivi da alcuni uomini che, dopo aver ascoltato il podcast, hanno riconosciuto in sé atteggiamenti problematici e hanno deciso di cambiare”, aggiunge Ferlin. “È esattamente ciò che speravamo accadesse”.
Ogni puntata del podcast contiene, inoltre, un paio di interviste ad esperti ed esperte in diversi ambiti di riferimento – giuridico, psicologico, sessuologico ed educativo – che offrono strumenti concreti per riconoscere e affrontare situazioni di rischio. Vengono spiegati, ad esempio, l’iter di una denuncia, le fasi di presa in carico di una donna (sempre con il suo consenso) da parte dei centri antiviolenza, ma anche le strategie consigliate a genitori e familiari per individuare comportamenti a rischio e le dinamiche ricorrenti di sopraffazione e abuso che contraddistinguono le relazioni tossiche. Vengono inoltre chiariti concetti come il catcalling, una forma di molestia verbale che non ha nulla a che vedere con i complimenti graditi, e il gaslighting, la manipolazione psicologica dell’altro per sminuire le sue emozioni e renderlo più vulnerabile.
Per quanto riguarda le scelte stilistiche, colpisce la decisione delle autrici di non dare un nome agli uomini violenti presenti negli episodi, neppure di fantasia. “È una scelta voluta”, spiega Ferlin. “Il “lui” di ogni storia non ha un nome perché rappresenta un uomo qualunque”. Definire qualcosa, infatti, significa circoscriverla, e permetterebbe agli uomini in ascolto di prendere le distanze da quei “Tizio” o “Caio” di cui si racconta. Identificarli invece come “il marito”, “il compagno” o “il padre” evidenzia la natura comune e non eccezionale della violenza di genere. “Allo stesso modo, per promuovere l’empatia e il riconoscimento del soggetto, le donne invece vengono nominate, sebbene con nomi di fantasia”, sottolinea Ferlin.
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“Credo che oggi i progetti di sensibilizzazione sulla violenza di genere – come questo podcast – siano più che mai fondamentali”, afferma Faggiani. “Lo dimostra anche la recente scoperta e conseguente chiusura del gruppo Facebook Mia moglie, che conteneva foto esplicite di donne, corredate da commenti offensivi e misogini, caricate senza il consenso di queste ultime dai loro partner. Episodi come questo ci ricordano quanto sia urgente scardinare quella cultura che tende a tollerare certi comportamenti solo perché non vengono percepiti come violenza. Al contrario, dobbiamo riconoscerli per quello che sono e incoraggiare le denunce.
Attraverso l’educazione, al contrario, possiamo costruire una cultura più equa e diffondere consapevolezza, promuovendo la responsabilità collettiva, spingendo gli uomini a una maggiore coscienza e le donne a rafforzare la sorellanza. Diventa così evidente quanto sia importante restare vigili, informarsi e sapere come agire”.