SCIENZA E RICERCA

I robot ci guardano

Trovano impiego in ambito industriale e nel settore sanitario; sono concepiti per uso domestico, oltre che agricolo, zootecnico e militare. Ci sono quelli brutti ma funzionali e quelli belli ma meno utili. Ai robot dedica un libro Nicola Nosengo, I robot ci guardano. Aerei senza pilota, chirurghi a distanza e automi solidali (Zanichelli 2013), finalista del premio Galileo e protagonista del quarto degli incontri tra autori e pubblico.

L’immaginario collettivo considera i robot esseri umani artificiali. In realtà i robot umanoidi sono i meno numerosi e i meno utili: cos’è dunque un robot?

“Non so definire un robot ma ne riconosco uno quando lo vedo” diceva Joseph Engelberger uno dei grandi padri della robotica. Possiamo definire un robot come un agente artificiale, una macchina con una dimensione fisica, in grado di muoversi e compiere azioni senza la guida costante dell’essere umano, dunque con un certo grado di autonomia. Un robot non deve ripetere sempre lo stesso compito senza alcuna variazione, ma al contrario avere almeno un certo grado di varietà nelle azioni che esegue.

In che misura i fattori economici e le necessità sociali influiscono, se influiscono, sui progressi della robotica?

I fattori economici hanno senza dubbio un ruolo importante. La robotica è legata a filo doppio ai destini dell’industria, soprattutto a quella automobilistica che da sempre è il principale acquirente della robotica industriale. Se si esaminano le vendite e il fatturato della robotica industriale, si vedrà infatti che seguono in modo speculare l’andamento dell’industria automobilistica. In questo senso il legame tra le due dimensioni, tra economia e robotica, è strettissimo.

Più difficile dire quanto la robotica sia influenzata dalle dinamiche sociali. Sicuramente hanno un peso sugli investimenti in ricerca. L’invecchiamento della popolazione in occidente, in particolare in Giappone e in Europa, ad esempio è uno dei motivi che hanno spinto a investire in questo settore, perché c’è l’idea che soltanto uno sviluppo importante della robotica potrà permettere di pensare all’assistenza di un numero sempre maggiore di anziani. Tuttavia, nonostante vi sia stato un aumento degli investimenti in ricerca nella cosiddetta robotica “di servizio”, non esiste ancora una ricaduta economica importante.

Il principale sponsor della ricerca robotica è il settore militare ….

Uno dei principali certo, come capita in molti casi nella tecnologia di frontiera. Se si guarda alla storia della tecnologia ci si accorge che molte innovazioni sorgono dall’interesse militare. Del resto alcune innovazioni della robotica, che stanno trovando anche un’applicazione civile, nascono proprio in questo settore: i veicoli senza pilota come le auto o gli aerei, ad esempio, devono molto alla ricerca in ambito militare (soprattutto statunitense) che ha lo scopo di creare mezzi in grado di muoversi sul campo di battaglia o in terreni minati in modo autonomo, senza rischiare la vita di esseri umani.

Ma anche applicazioni importanti in ambito medico, come gli arti artificiali che sostituiscono quelli amputati, discendono da ricerche militari finanziate soprattutto dal Darpa (Defense advanced research projects agency), il dipartimento di ricerca di frontiera del Ministero della difesa americano, con l’obiettivo di salvare soldati di ritorno dal fronte con gravi mutilazioni. Studi che poi hanno ricadute importanti in sanità e dunque in ambito civile.

Ad un certo punto del libro parla di “rivoluzione copernicana” della robotica. In che cosa consiste?

È il superamento dell’idea, connaturata alla nascita stessa della robotica, che l’ispirazione migliore per un robot debba essere necessariamente l’essere umano nella sua forma, nelle sue movenze e anche nelle sue capacità intellettive. In realtà ciò di cui molti specialisti della robotica si stanno accorgendo è che questa non è la strada più interessante. Ciò che interessa è il lavoro dei robot in settori e in ambienti in cui l’uomo non è capace e non riesce ad arrivare, come il fondo degli oceani o il luogo di un incendio.

Al contrario la selezione naturale ha fatto sì che per ogni ambiente della terra, per quanto ostile, esista un animale che si è evoluto per vivere e affrontare quel luogo molto meglio dell’uomo. Dunque, in alcuni casi, è più funzionale ispirarsi a questi organismi: se è necessario esplorare i fondali marini la cosa migliore è prendere come esempio un animale che ci abita, come il polpo.

Non mancano risvolti etici e sociali. Nel libro si sottolinea il timore che i robot “de-umanizzino” azioni e responsabilità umane e determinino differenze sociali. Cosa si intende?

La de-umanizzazione è un problema che molti vedono negli utilizzi bellici di queste tecnologie. Uno dei settori in cui oggi i robot sono largamente impiegati è quello dell’aviazione. Si ricordano i cosiddetti droni (aerei senza pilota Ndr) utilizzati non solo a scopi di ricognizione ma anche di attacco, in particolare dagli Stati Uniti. Molti segnalano che il distacco dal campo di battaglia determinato dai droni possa creare una maggiore indifferenza etica e dunque una maggiore facilità nel muovere guerra. In realtà la guerra rimane sempre tale, che sia combattuta su un campo di battaglia che da migliaia di chilometri di distanza: il problema non è tanto il drone in sé, ma la guerra.

L’altro grosso problema sociale che inevitabilmente si creerà, e che si crea ogni volta che un’innovazione radicale arriva nella società, sta nelle differenze di accesso a queste tecnologie. Avremo, dunque, una fetta della popolazione che potrà permettersi l’accesso alla robotica e ai miglioramenti in termini di qualità della vita e di produttività economica e una parte della società che invece avrà più difficoltà.

Un’altra preoccupazione è che i robot possano portare via posti di lavoro….

È chiarissmo da decenni che i robot hanno molti vantaggi, ma tendono a cancellare posti di lavoro perché un robot fa da solo in qualunque campo il lavoro di molte persone. L’idea a livello macroeconomico è sempre che un’innovazione così importante se da un lato cancella posti di lavoro, ne crea di nuovi dall’altro, ma le due cose non sono così immediate. L’eliminazione di posti di lavoro, infatti, può precedere anche di anni o di decenni la creazione di nuove occupazioni grazie all’impatto economico favorevole di quella tecnologia. Di certo nei prossimi anni la robotica, in alcuni settori come quello manifatturiero, creerà diversi milioni di disoccupati e forse passerà parecchio tempo prima che se ne sentano gli effetti positivi grazie alla crescita della produttività. Basti pensare al calo occupazionale nel settore automobilistico dal momento in cui sono stati introdotti i robot. E lo stesso discorso vale per l’aviazione militare: il numero di piloti arruolati dai Paesi occidentali è in calo verticale da molti anni ormai.

Monica Panetto

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