SCIENZA E RICERCA

Cuore matto, matto da legare

Le morti premature di artisti noti e amati dal pubblico come Pino Daniele e prima ancora Giuseppe Mango hanno nuovamente portato alla ribalta i pericoli connessi alle patologie cardiovascolari. Tanto che sul web sono tornati ciclicamente a diffondersi prontuari e rimedi fai-da-te, spesso con informazioni imprecise o addirittura estremamente pericolose: come quella che ad esempio suggerisce di contrastare i segni di un infarto in atto con qualche colpo di tosse. Cosa fare però per prevenire e riconoscere davvero un attacco cardiaco? Lo abbiamo chiesto al dottor Gino Gerosa, docente di cardiochirugia all’università di Padova e direttore del Centro ‘Vincenzo Gallucci’.

Innanzitutto come avviene l’infarto? “Succede che a un certo punto non arrivano più l’ossigeno e i nutrienti necessari alle cellule cardiache, che così vanno incontro a morte. Sostanzialmente le modalità con cui questo avviene sono due: a causa di patologie ostruttive, come ad esempio l’arteriosclerosi nei soggetti più anziani, oppure per uno spasmo della coronaria”. In caso di ostruzione le modalità di intervento possono essere diverse: “Si può intervenire con un bypass, che la aggira; in alternativa c’è l’angioplastica, che introduce uno stent: un’armatura artificiale che allarga di nuovo il vaso sanguigno nel punto interessato. Spesso molti preferiscono questa seconda opzione perché meno invasiva, dato che lo stent viene introdotto attraverso un catetere inserito nell’arteria femorale. I dati però ci dicono che al momento il bypass assicura ancora un’aspettativa di vita più alta rispetto all’angioplastica, in particolare per alcune categorie come ad esempio i pazienti diabetici”.

Proprio Pino Daniele era stato in precedenza operato di bypass aorto-coronarici: “In quel caso effettivamente possono essere stati fatali i ritardi nel farsi soccorrere. Diverso invece, almeno in apparenza, è il caso di Giuseppe Mango e soprattutto di suo fratello Giovanni, colto da malore durante la camera ardente. Soprattutto in quest’ultimo caso sembra aver giocato un ruolo fondamentale l’aspetto emotivo”. Perché, sono pericolose anche le emozioni?  “Certamente. Diversi studi mettono ad esempio in relazione i casi di infarto miocardico con la visione gli eventi sportivi, come ad esempio le partite di calcio a eliminazione diretta, con probabilità che addirittura aumentano quando queste si concludono con i rigori. Tanto che qualcuno ha addirittura proposto di abolirli”. Quando si dice la squadra del cuore. “A maggior ragione sono stati registrati degli incrementi in occasione di guerre e di terremoti. Ma non solo. Con il nome di sindrome di Takotsubo (in giapponese il nome di una trappola per polipi), si indica una cardiomiopatia che si manifesta soprattutto in persone sottoposte a forti emozioni, con incidenza particolare nelle donne dopo la menopausa. Si tratta di quella che una volta veniva chiamata la morte di crepacuore: il ventricolo sinistro in questo caso si gonfia come un palloncino, dando luogo a infarto a coronarie sane”. E una prevenzione delle emozioni? “Alcuni hanno addirittura proposto di impedire i rigori. Oppure training autogeno per tutti. Anche se gli eventi sportivi possono addirittura giovare, soprattutto se si vincono: in Francia è stata registrata una diminuzione dei casi di infarto in occasione della vittoria ai mondiali del 1998”.

Come riconoscere quando sta arrivando un infarto? “Di solito il dolore si irradia dal cuore verso la gola e gli arti, accompagnato da un crescente senso di oppressione retrosternale e di ansia. I sintomi di solito vengono riconosciuti dai soggetti colpiti, a meno che non si tratti di diabetici, che normalmente hanno minore sensibilità al dolore fisico. Il malessere serve sostanzialmente a mettere in allarme la persona e ad avvertirti che non sta arrivando sangue alle cellule cardiache”. Che fare in quel caso? “Ovviamente lasciar perdere i colpi di tosse, le automedicazioni e soprattutto chiamare immediatamente il 118 o farsi accompagnare direttamente all’ospedale più vicino. Anche perché oggi c’è un’alta possibilità di salvare il paziente, sia con il defibrillatore che con l’angioplastica primaria, che protegge anche il miocardio da possibili danni”. 

Soprattutto però ricordare che la migliore cura è la prevenzione: “Bisogna innanzitutto eliminare o ridurre i possibili fattori di rischio. Quindi smettere di fumare, tenere sotto controllo la pressione alta e il metabolismo, in particolare glicemia e colesterolo. Poi mangiare tanta frutta e verdura, contengono antiossidanti e hanno un’azione protettiva verso le cellule: gli americani parlano di five servings, almeno cinque porzioni al giorno per ottenere effetti importanti. Anche con una semplice mela o banana”. Le carni rosse sono davvero nemiche del cuore? “Meglio non fare allarmismi, ma sono certamente più grasse rispetto alle carni bianche, quindi possono portare più facilmente all’ipercolesteloremia”. Infine bisogna fare attività fisica, che ha un effetto fortemente protettivo: “Non è necessario essere sportivi: per abbattere il rischio bastano anche 20 minuti di camminata veloce, quella che dà appena un po’ di affanno, almeno tre volte alla settimana”. La cosa più importante insomma è agire sulla qualità e lo stile di vita: “Oggi tendiamo ad essere troppo sedentari e a mangiare troppo. Una vita sana, sia nell’alimentazione che nella nutrizione, è importante per tante patologie, non solo per quelle cardiache. E soprattutto fa stare bene”.

Daniele Mont D’Arpizio

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