UNIVERSITÀ E SCUOLA

La Ue attira studenti, nonostante le criticità

Giugno 2013: con la tempestività tipica dei grandi studi statistici, nel rapporto Education at a glance presentato in questi giorni alla commissione europea, l'Ocse ci informa che nel 2011 eravamo già in crisi e questa mordeva anche il comparto dell'educazione.

Gli stipendi dei docenti conoscevano dopo un decennio un calo generalizzato del 2%, alcuni paesi tra cui l'Italia hanno dovuto tagliare fondi tra critiche attese e prevedibili. La disoccupazione colpisce duro soprattutto in alcune zone, i Neet (Not in education, employment or training) sono un fenomeno in crescita ovunque (impressiona il dato di Turchia e Israele per la fascia d’età 15-19, entrambi sopra il 24%). Per i pessimisti nazionali, l'Italia vanta alcuni indicatori utili a intonare il mantra della "maglia nera" e dell'Ocse che "ci bacchetta". Primi fra tutti l'età media degli insegnanti (la più alta), la politica di tagli e la bassa percentuale di Pil investito in istruzione.

Per chi invece preferisce una visione europea, troverà analoghi motivi di sconforto sia pure a macchia di leopardo (età dei laureati, affollamento delle classi, e cosi via), profondamente consolanti in base al principio del "mal comune, mezzo gaudio".

Il dato generale confortante è invece che l'istruzione superiore è ormai conquista diffusa così come il raggiungimento della laurea (media Ocse del 38% nel segmento d’età 25-34, un salto in avanti di circa 7 punti rispetto al segmento più ampio 25-64), con il dato record della Corea che conta ormai il 98% dei diplomati tra i giovani sotto i 24 anni e quasi il 64% di laureati. Resta da domandarsi in un Paese di ingegneri chi coltiverà più il riso o pulirà le stalle. Misteri del mondo 2.0.

In generale, inoltre, studiare fa bene - non ci si stanca di ripeterlo: al conto in banca perché garantisce salari migliori ma anche alla salute, considerato  che chi ha un titolo di studio medio-alto fuma meno e tende meno all'obesità.

Studiare fa bene (nel 2011 solo il 4,8% dei laureati era disoccupato contro il 12% di chi non aveva neanche un diploma), in particolare se si sceglie un percorso tecnico-scientifico magari fin dalle superiori: ci si costruisce così un vantaggio contro la disoccupazione in tempo di crisi. O almeno così recitano le slide ufficiali distribuite insieme al rapporto; peccato che le stesse slide riportino dati che dimostrano che quando la crisi c'è e la disoccupazione è alta (Grecia, Irlanda, Spagna) non c'è formazione tecnica che tenga. E tornano alla mente le periodiche affermazioni sulla validità di una formazione "generica" che permette di riciclarsi meglio.

Interessanti invece le affermazioni del vicedirettore Ocse, Andreas Schleicher, durante la presentazione del rapporto, da leggersi – dato il contesto – soprattutto in chiave europea. Tra ragionamenti su formazione tecnica o generalista (“difficile dare un consiglio, il futuro è troppo vago”, meglio puntare su sistemi di formazione più “permeabili” che integrino l’ambito specialistico con quello più strettamente accademico) e il “fattore età” che tra qualche anno sposterà la bilancia della distribuzione dei talenti verso oriente, Schleicher insiste che nonostante tutto – e contrariamente a quel che sembra a sentire le continue proteste – il comparto dell’educazione ha risentito meno della crisi rispetto ad altri settori pubblici. Allo stesso modo, a sentire il vicepresidente, il tasto delicato dei finanziamenti pubblici o privati non è così drammatico, con evidente apprezzamento dell’esperienza inglese. E anche in tema di “efficienza degli investimenti”, la posizione di Schleicher può sembrare controcorrente. Dovendo scegliere come investire il denaro – miglioramento delle classi, aumento dello stipendio degli insegnanti, ecc. – il trend pare essere univoco: diminuire il numero di alunni per classe. Forse non il modo più efficiente di investire, sottolinea, ma certamente quello che piace di più: a genitori, insegnanti, dirigenti, politici.

Nel frattempo pare assodato che l'Europa sia ormai uno dei luoghi più appetibili per studiare: si è passati da 920.140 studenti stranieri nel 2000 a oltre due milioni nel 2011, un dato che raccoglie quasi metà degli studenti in mobilità nel mondo. Benvenuti in Europa.

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