SOCIETÀ

L'app per essere assunti. E licenziati

A febbraio Facebook compie dieci anni, un arco di tempo davvero breve se lo si pensa in prospettiva storica, ma che ha portato enormi cambiamenti alla quotidianità dei lavoratori di tutto il mondo – oltre che dei suoi utenti sul web. Nuove tecnologie e social media, infatti, stanno rivoluzionando non solo le relazioni personali e il modo di impiegare il tempo libero, ma anche, e soprattutto, il mondo del lavoro, a partire dal reclutamento di nuovi dipendenti da parte delle aziende.

LinkedIn, il social network su cui si può caricare il proprio curriculum vitae, connettersi a altri professionisti del settore e trovare e offrire lavoro, ha quasi 260 milioni di utenti in giro per il mondo, di cui 84 milioni solo negli Stati Uniti – su un totale di circa 155 milioni di persone che compongono la forza lavoro del Paese. E le sue dirigenze non nascondono l’ambizione di arrivare in futuro fino a tre miliardi di iscritti. Dato il successo di LinkedIn, non sorprende che comincino ora ad apparire altri servizi simili, che mirano a conquistare sempre nuove nicchie. Collegefeed, ad esempio, nato appena un anno fa nella solita Silicon Valley californiana, aspira a mettere in contatto datori di lavoro e studenti universitari o neolaureati, che quindi hanno esperienze professionali limitate, un CV particolarmente corto e la necessità di farsi conoscere e apprezzare anche in altri modi. Il sito offre dunque la possibilità di mettere in mostra progetti rilevanti svolti durante i propri studi, paper scritti per superare gli esami e la propria lettera di presentazione.

“La sfida è sempre quella di appaiare le esigenze delle aziende e le abilità dei dipendenti, cosa per nulla facile – nota Dave Ulrich, professore alla Ross school of business della University of Michigan e partner presso la società di consulenza Rbl Group – Peter Drucker, fondatore delle strategie manageriali moderne, stimava una percentuale di successo di solo il 30%”. Secondo Ulrich, strumenti quali i social media offrono maggiori informazioni sia sui lavoratori sia sui datori di lavoro e aprono le porte a opportunità e interlocutori su scala globale. “Forse così riusciremo a trovare la giusta combinazione il 60-70% delle volte”.

Durante la fase di reclutamento di nuovi dipendenti, però, i social media si trasformano facilmente in uno strumento non così favorevole a chi cerca lavoro. Un rapporto dell’Institute for employment studies, un centro di ricerca con sede a Londra, rivela che nel 2013 quasi il 50% delle aziende ha ispezionato i profili personali pubblicati su Facebook e altri siti simili per valutare potenziali candidati.

“È già evidente che questo approccio produce risultati arbitrari e ingiusti – commenta Lewis Maltby, presidente del National workrights institute di Princeton in New Jersey – Non si contano i candidati qualificati cui sono state precluse opportunità lavorative perché un datore di lavoro ha trovato su internet informazioni che nulla avevano a che vedere con le competenze professionali richieste ma che comunque non gli sono piaciute”. Talvolta è sufficiente esprimere sui social media posizioni politiche discordanti rispetto a quelle dei titolari dell’azienda, o postare istantanee di feste e vacanze al mare, per convincere un datore di lavoro a cestinare un CV (occhio ad esempio a sfoggiare bikini troppo sexy o a farsi fotografare con alcolici in mano). “Nell’Unione europea è generalmente illegale fare selezione su questa base – dice Maltby – Ma negli Stati Uniti le aziende sono libere di rifiutarsi di assumere chiunque e per qualunque ragione, ad eccezione di alcuni criteri di discriminazione prestabiliti, ad esempio la razza e il genere”.  

Intanto, la Silicon Valley ha già prodotto tutta una nuova generazione di tecnologie per il reclutamento di dipendenti. Comincia così a diffondersi tra le grandi aziende l’uso di gaming app, ovvero videogiochi che sono in grado di testare le abilità cognitive di chi le usa anche in un contesto di intrattenimento. La più famosa è Wasabi Waiter della start-up Knack: sviluppata da un gruppo di neurologi, psicologi e scienziati del comportamento, questa app richiede al giocatore di servire il giusto ordine di sushi al giusto cliente a una velocità sempre crescente e in un ristorante virtuale sempre più affollato. Il modo di giocare di un individuo ne rivela, almeno in teoria, alcune caratteristiche fondamentali, ad esempio la rapidità di reazione, la propensione al rischio, e la capacità di ragionare logicamente. Tra le grandi corporation che stanno collaudando l’uso delle app di Knack per reclutare nuovi dipendenti vi è anche la multinazionale dell’energia Royal Dutch Shell.

“Queste gaming app sono eccezionali per testare le competenze tecniche di un candidato, per capire se possiede le conoscenze e le abilità necessarie a ricoprire un determinato posto di lavoro – dice il Professor Ulrich – Ma le competenze sociali di una persona, la capacità di apprendimento, la propensione al lavoro di squadra e al lavoro indipendente, sono molto più difficili da giudicare sulla base di questi videogiochi”.

Insomma, i colloqui non sono in procinto di scomparire. Ma siccome tutto quello che richiede tempo e personale costa soldi, bisogna cominciare a preparasi a un futuro in cui saremo tutti assunti – ed eventualmente licenziati – dai computer.

Valentina Pasquali

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