CULTURA

L'Università di Gramsci

Ottantacinque anni fa, dal carcere di S. Vittore a Milano, Antonio Gramsci rispondeva a una lettera di Francesco Berti, un dirigente comunista confinato a Ustica, che gli chiedeva consigli su come organizzare una “università” dei confinati. I programmi di Berti erano ambiziosi: al corso di filosofia erano iscritti oltre 70 detenuti e si stava per aprire un corso di storia greca. Tra i confinati c’erano anche Ferruccio Parri (che diventerà poi il primo Presidente del consiglio dopo la Liberazione) e Nello Rosselli, che verrà rilasciato nel 1929 e assassinato da sicari fascisti in Francia nel 1937 insieme al fratello Carlo. Qui di seguito i passi principali della lettera di Gramsci.

 

4 luglio 1927

“Caro Berti, ho ricevuto la tua lettera del 20 giugno. Ti ringrazio di avermi scritto. Non so se Ventura ha ricevuto le mie numerose lettere, perché da Ustica non ricevo corrispondenza da un bel pezzo. (…) Una delle attività più importanti, secondo me, da svolgere da parte del corpo insegnante sarebbe quella di registrare, sviluppare e coordinare le esperienze e le osservazioni pedagogiche e didattiche; da questo ininterrotto lavoro solo può nascere il tipo di scuola e il tipo di insegnante che l’ambiente richiede. (…)

Io penso, così all’ingrosso, che la scuola dovrebbe essere in tre gradi (fondamentali, perché ogni grado potrebbe essere diviso in corsi): il terzo grado dovrebbe essere quello degli insegnanti o equiparati, e funzionare piuttosto come circolo che come scuola in senso comune. Ogni componente, cioè, dovrebbe dare un suo contributo come conferenziere o relatore su determinati argomenti scientifici, storici o filosofici, ma specialmente didattici e pedagogici. Per il corso di filosofia io penso, così, sempre all’ingrosso, che l’esposizione storica dovrebbe essere riassuntiva e si dovrebbe invece insistere su un sistema filosofico concreto, quello hegeliano, sviscerandolo e criticandolo in tutti i suoi aspetti. Farei invece un corso di logica (…) e di dialettica. Ma di tutto questo potremo ancora parlare, se tu mi scriverai ancora”.

 

Da: Antonio Gramsci, Lettere dal Carcere 1926 – 1930, Sellerio editore, Palermo, pp. 94-95

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