SOCIETÀ

Migrando, come rondini nel web

Oltre che di economia, la globalizzazione è fatta anche di persone e in particolare di migranti. Si chiamano così, adesso: le vecchie parole immigranti/emigranti ormai suonano male, forse poco politicamente corrette, e poi implicano per forza un punto di vista preciso, una partenza e un arrivo, un distacco. Sono i termini con cui chi “sta” a casa sua parla di chi una “casa sua” non ce l’ha più, o non ancora. “Migrante” invece racconta soprattutto l’esperienza di chi si sposta, non quella di chi lo vede partire o arrivare, e descrive il viaggio geografico ed esistenziale nel suo compiersi.

Fa piacere quindi scoprire che quel che può sembrare il distacco un po’ snob da concetti scomodi e “poveri”, come la solita valigia di cartone, si riveli un’attenzione per le molte forme che la migrazione assume. I migranti sono tra noi, abitano le nostre città, e ci regalano uno sguardo diverso su realtà che crediamo di conoscere bene. Nascono nelle città italiane le passeggiate migranti, con cui i nuovi arrivati fanno conoscere agli indigeni il volto multiculturale delle loro città, e fioriscono guide di viaggio come la Guida migrante (Compagnia delle lettere) che ci ricordano che gli immigrati vengono dagli stessi luoghi dei personaggi esotici che amiamo incontrare e fotografare nelle nostre vacanze. Dall’Albania al Marocco, dall’Etiopia alla Cina, la Guida racconta una ventina di viaggi possibili, tutti con suggerimenti di turismo responsabile. Ogni paese viene spiegato da un giovane immigrato, che insieme a qualche dritta utile ridisegna la sua personale geografia del cuore. E ogni capitolo si chiude con la storia delle migrazioni da quel paese, compresa l’Italia – per ricordarci che anche l’Italia è terra di emigranti e forti migrazioni interne. È curioso scoprire così la storia di un giovane immigrato messicano nel nostro paese, che ancora si stupisce del mistero dei tempi di cottura della pasta (con gli italiani che invariabilmente gli suggeriscono “ancora un minuto”) e dell’assurdità della burocrazia che non gli consente di ottenere un permesso di soggiorno definitivo perché è lui che porta i soldi a casa con un lavoro regolare e non lei, l’italiana che ha sposato e che da lui si fa mantenere.

Anche A Nordest di che partecipa della stessa ricerca di uno sguardo “altro”, fuori dai consolidati circuiti dell’informazione mainstream, per testimoniare realtà che nessuno racconta. Si tratta di un sito giovane, nato dall’omonimo libro (Edizioni della Torre, 2010). Qui trovano spazio i nostri migranti, sparsi per il mondo, che raccontano le loro esperienze. Se le statistiche di accesso al sito confermano le cattive abitudini del lettore italiano, per cui la notizia più significativa e documentata dalla Palestina tira meno del post sbarazzino della sedicenne da Londra, ci pensano gli stranieri a far tornare l’ottimismo. Sono gli immigrati a casa nostra, come “il romeno della porta accanto”, a tenere dei blog frequentatissimi dai loro compatrioti, comunità ormai mature per cercare informazione di qualità nella nostra lingua.

Perché i migranti viaggiano anche tra le lingue e non solo tra i continenti, come del resto la storia della letteratura ci testimonia da secoli. I migranti leggono, pensano e scrivono. Possono decidere di scrivere poesie o memorie, romanzi o saggistica, racconti brevi o blog. Possono tentare un ultimo approccio al loro pubblico d’origine,nella loro lingua madre, o possono nascere a una lingua nuova, ulteriore via di fuga dalle chiusure della cultura natia, in una sorta di riuscito e liberatorio tamizdat linguistico. Anche in Italia, come già in altri paesi europei, la produzione letteraria degli immigrati ha trovato uno spazio. È El Ghibli la rivista online di letteratura della migrazione, che porta il nome del vento dei nomadi del deserto, parzialmente sovvenzionata dalle province di Bologna e Milano, giunta quasi al traguardo dei 10 anni di vita e che può vantare oltre 200.000 visitatori all’anno. Vi sono ospitati autori stranieri che scrivono in Italiano, o più in genere autori immigrati in Europa che scrivono nella lingua del paese d’adozione. Quel che spicca qui, infatti, nella definizione di “scrittori migranti” è l’accento non tanto sulla migrazione tra paesi quanto sullo spostamento di lingua, passo sempre delicato per uno scrittore, così esposto al rischio della perdita della sua identità e del suo pubblico di riferimento. Chi sposa una nuova lingua si perde alla letteratura d’origine e sceglie di cercare un posto nella letteratura d’arrivo, mentre resta inevitabile il conflitto anche interiore tra chi si sente assolutamente migrante e chi si sente assolutamente e solo scrittore. Alla fin fine, come diceva Brodskij, “si può finire in esilio per ragioni diverse e in diverse circostanze [ma] sullo scaffale il tuo posto non sarà occupato da te ma da un tuo libro”.

 

Cristina Gottardi

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