CULTURA

Su Iosif Brodskij, senza un perché

Non è un vero anniversario, ma chi l'ha detto che serve una cifra tonda per ricordare qualcuno? Il 24 maggio è il compleanno di Iosif Brodskij, ebreo russo, cosmopolita, poeta. Sono 73 anni dalla nascita, 17 dalla morte, 41 dall'esilio, 26 dal Nobel. Nessuna cifra tonda. Sono 50 esatti invece (era l'ultimo scorcio del 1963) dall'arresto per parassitismo, preludio di un processo che fece storia (prima di quello altrettanto famoso di Sinijavskij e Daniel') e di una condanna all’ospedale psichiatrico prima e ai lavori forzati poi, che sconterà solo a metà grazie alle pressioni di numerosi intellettuali. E nel '63 a lui dedicò una delle sue raccolte l'immensa Anna Achmatova, che amava il suo "furioso temperamento poetico" e lo chiamava "un gatto e mezzo", come il soprannome del gatto dei vicini, "enorme, rumoroso, fulvo".

Il 1973 invece è l'anno in cui muore W.H. Auden, poeta ammirato, e poi amico, che lo ha accolto nelle prime settimane d'esilio, prendendosi cura di lui "con la sollecitudine di una buona chioccia", con cui trascorre i giorni a parlare di poesia. Ed è l'anno del suo primo viaggio a Roma, la Roma classica, nuovo viaggio italiano dopo quello dell'inverno precedente a  Venezia, la città in cui - appena arrivato, di notte, in stazione -  gli "sembrava di arrivare in un paese di provincia, in qualche posto sconosciuto, insignificante - forse al paese natale, dopo anni di assenza". Esattamente come atterrando a Vienna, sempre di notte, dall'aereo che lo porta in esilio scorge le luci della città, che gli ricordano i circuiti della radio che ascoltava da ragazzo, con le voci del mondo - e gli sembra "di riconoscere il posto". Perché da tipico russo che ha "nostalgia dell'Occidente", come già insegnava Mandel'štam, in ogni luogo ritrova casa sua. E a Venezia riconosce l'odore delle alghe sottozero e il tempo che si fa acqua, come nella sua Leningrado. Come lì la nebbia del Baltico gli insegnava cos'è l'infinito, così a Venezia riscopre che "di notte, in terra straniera, l'infinito comincia con l'ultimo lampione, e lì il lampione distava solo venti metri".

Arriva il 1983, che segna idealmente l'anno della conversione alla lingua di Shakespeare. Ma  è in memoria di Auden che decidere di scrivere i suoi saggi in inglese, "per compiacere un'ombra". E anche, scegliendo quella lingua per le memorie più intime, per dare ai suoi genitori, morti senza rivederlo, una via d'uscita più onorevole "del camino dei forni crematori" di Leningrado. È l'anno di To please a shadow (dedicato a Auden), quindi, ma anche della pubblicazione della raccolta Novye stansy k Avguste (Nuove stanze ad Augusta), che contiene le liriche "d'amore" (le virgolette sono obbligatorie) composte dal 1962 al 1982: dalla fredda e desolata Siberia alla desolazione dei primi mesi d'esilio in cui temeva di non riuscire più a scrivere, alla linfa ritrovata, perché - dirà - l'esilio non è così brutto come lo si dipinge.

1993 - Dopo gli anni della perestrojka e della glasnost', in cui dissidenti ed esuli vengono riabilitati; dopo il Nobel dell'87 che "complica le cose" per la pubblicazione delle sue opere in Russia, dando all'operazione un sapore di opportunismo politico e non di spontanea riscoperta, la Literaturnaja gazeta pubblica un articolo sul "caso Brodskij". A 30 anni dall’arresto, il poeta che ritiene l'estetica "madre dell'etica", il genio che usa la lingua come una macchina fotografica, che scrive versi in una metrica perfetta che però scorrono sciolti come la lingua naturale, trova definitivamente un posto sulle pagine delle riviste letterarie nazionali. Tornerà in patria solo sulla carta, perché con gli anni - trova - "ti trasformi, in un certo senso, in un apparecchio cosmico […] e gradualmente accade qualcosa di singolare: tu provi la gravità, ma la gravità verso casa si indebolisce e si intensifica la gravità verso l'esterno, nell'aperto cosmo". Lo aveva detto nel discorso di accettazione del Nobel: professionalmente parlando, per un poeta l'esilio è una fortuna. E d'altronde, già lo aveva detto della sua esperienza in Siberia: "Quando esci di mattina alle 6, nei campi, a lavorare con il sole che si alza, senti che quel gesto è lo stesso di milioni e milioni di altri essere umani. È allora che avverti il senso della solidarietà umana, direi. Se non mi avessero arrestato e condannato, non avrei avuto quest'esperienza, sarei stato più povero. In un certo modo sono stato fortunato".

2003 - non c'era già più.

Cristina Gottardi

…La vita, a cui non chiedicome al famoso cavallo, di farsi guardarein bocca, mostra i denti ad ogni incontro.Di ciascun uomo non resta che una partedel discorso. In genere, una parte. Parte del discorso.

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