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UniversoPoesia: nasce una nuova casa editrice, la Molesini Editore Venezia

È nata da qualche mese una nuova casa editrice. Pubblica solo poesia, fa libri esteticamente molto riconoscibili e molto curati, inanella nomi noti ad autori sconosciuti, porta il nome del suo fondatore: Andrea Molesini, studioso, traduttore, scrittore (il suo ultimo romanzo in libreria è Il rogo della Repubblica per Sellerio e ha vinto il Campiello nel 2011 con Non tutti i bastardi sono di Vienna). Lo abbiamo intervistato.

Qual è il desiderio, la spinta, che muove un letterato (uno scrittore, un traduttore, un poeta, un professore) a fondare una casa editrice? Quale il desiderio intimo e quale quello pubblico?

Fin da quando ero bambino ci sono sempre stati tanti libri intorno a me. Libri dalle copertine di cuoio, di carta dai colori ora vividi ora spenti, libri tascabili e di grande formato, libri che raccontavano di miti e dèi remoti o di piccole cose di tutti i giorni, vissute o immaginate da uomini e donne ora vivi, ora morti da tempo, di genti che vivevano nei ghiacciai dell’Himalaya o nei deserti dell’Africa, nei fiordi della Norvegia, nelle lande sterminate di tutte le Russie, nel Texas o nel Monferrato. Mi è sempre piaciuto l’odore di quelle pagine, l’odore della carta come quello dell’inchiostro. Tante copertine che suggerivano viaggi senza ritorno e, sempre, quel magico intrecciarsi di parole e delle immagini da loro suscitate. Mi è sempre piaciuto leggere, scrivere, ma anche riporre e riordinare i libri sugli scaffali. Così nella vita ho finito col tradurre poesia (Adelphi), scrivere fiabe (Mondadori e Rizzoli) e romanzi (Sellerio), mi mancava l’esperienza dell’editore. Non ho saputo resistere, sono stato tentato dalla voglia di esplorare questo territorio a me sconosciuto: produrre, fisicamente, sul piano artigianale più che industriale, dei libri che corrispondessero alla mia identità intellettuale.

Come mai la decisione di pubblicare solo poesia?

Incomincio con dare i numeri. Ci sono quattromila editori in Italia, che stampano circa ottantacinquemila titoli all’anno, poco meno di 283 titoli al giorno, inclusi i sabati e le domeniche. Un’enorme produzione per un popolo che legge pochissimo: infatti stando alle statistiche solo il 40% degli italiani acquista un libro all’anno. C’è però una minoranza di lettori onnivori che leggono e leggono molto. È una minoranza di cui faccio parte, e ne vado orgoglioso. A questa minoranza ho pensato nel fare la mia scelta.

Carmina non dant panem, si diceva venti e più secoli fa e vale anche oggi, anzi, oggi temo che valga più di ieri. Ma non m’importa: il profitto, per un’azienda, è senza alcun dubbio una cosa importante ma non dovrebbe mai essere – e spesso non è – il fine dell’azienda. Un’azienda nasce da un sogno, una visione: per me produrre libri di alta qualità estetica è un principio morale, non sarà facile tenervi fede, ma vale la pena provarci.

La poesia è considerata la Cenerentola delle lettere: non si vende, corre voce, e così tanti editori, sia pure di grande qualità, non vi dedicano tutta l’attenzione che meriterebbe. La mia è una scommessa: a lungo andare, credo, la poesia ce la farà a imporsi.

C’è un manifesto?

La casa editrice veneziana nasce dall’esigenza di rivitalizzare il ruolo della poesia, e della riflessione sulla poesia, nella vita letteraria italiana. La poesia, dice Wallace Stevens, è l’indefinibile gesto sapienziale di una minoranza consapevole, ed è il frutto del caparbio, micidiale intervento dell’immaginazione: in ogni uomo, in ogni brandello di vita, l’immaginazione celebra uno scontro rituale con la realtà, ed è proprio l’immaginazione che, grazie a questo duello, ci consente di attraversare le spigolose durezze della res senza esserne umiliati e travolti: “È il potere della mente sulla potenzialità delle cose”. Una poesia altro non è se non “l’immaginazione che si manifesta nel dominare le parole”. E un tratto specifico dell’immaginazione è la nobiltà, indefinibile quanto il canto, fatta di vibrazioni, di movimento, metamorfosi. La nobiltà è l’oggetto del desiderio dei poeti, che la cercano dovunque posino lo sguardo, nei più vicini come nei più remoti anfratti del reale, nell’animo più vile e crudele come in quello più audace e generoso, con devota curiosità, “certi della sua oscura esistenza”. Wallace Stevens:

Io sono l’Angelo della realtà,

intravisto un istante sulla soglia.

Non ho ala di cenere, né di oro stinto,

né tepore d’aureola mi riscalda.

Non mi seguono stelle in corteo,

in me racchiudo l’essere e il conoscere.

Sono uno come voi, e ciò che sono e so

per me come per voi è la stessa cosa.

Poesia è sintesi felice di senso e di suono, equilibrio generato dalla precisione espressiva, forza non priva di leggerezza, eleganza non priva di profondità di pensiero. Vitruvio: Firmitas (solidità); Utilitas (utilità, praticità); Venustas (bellezza).

No ideas but in things: nessun pensiero dimora nella cittadella dell’intelletto senza essere passato per il setaccio dei cinque sensi. Cinque, certo, ma soprattutto due: vista e udito. Oggi, in seguito alla travolgente preponderanza dell’immagine in ogni momento della vita quotidiana, la parola sempre più viene relegata al ruolo di comprimaria, come avviene nel cinema, nella pubblicità, nella didattica. E quando l’orecchio cede alla vista troppo territorio il popolo dei parlanti si fa sordo, incapace di canto, e dunque schiavo. Perché è nella musica segreta di ogni lingua che si annida la ghianda di luce del pensiero, il solo luogo dove esiste libertà.

La poesia intesa come fonte di pensiero e come scrigno per custodirlo. Luogo di incanto e supremo vigore verbale, dove l’orecchio vive sovrano: che il suono calzi il senso e il senso il suono. Calzi e incarni. Dobbiamo ritrovare lo spirito della Commedia: di comitiva festante (kômos) e di canto (ōidē), dove ogni singolo verso è un abracadabra, e come tale è intraducibile.

Troppa letteratura dei nostri giorni si accontenta di sembrare tradotta, mentre anche quella tradotta dovrebbe evitare di sembrare tale. Quando la poesia – il dire innervato di ritmo che genera pensiero/emozione – inaridisce, anche la prosa rischia di essere risucchiata nel baratro dell’improvvisazione e della banalità giornalistiche. Mandel’štam: “La bellezza non è il capriccio di un semidio ma il colpo d’occhio rapace di un falegname”.

L’aspetto grafico non è trascurabile: come hai scelto che debbano essere i tuoi libri? Il libro è anche, primariamente, un oggetto...

Certo, un oggetto che deve essere solido, pratico, bello. Incarnare il motto di Vitruvio non è stato facile. Ci è voluto il talento, l’ingegno e l’esperienza di Giacomo Callo, il grafico a cui mi sono rivolto. Sono libri cuciti a mano, con copertine dalle grandi bandelle. Il formato è tascabile, ma largo a sufficienza da non costringere a spezzare i versi lunghi. Il carattere è il Baskerville Original, dalle grazie pronunciate e nitide, usato pochissimo in Italia, dove si predilige il Simoncini Garamond.

Dal punto di vista economico cosa ti aspetti? Fondare una casa editrice è, si dice (e molto probabilmente è davvero così) un azzardo: hai deciso che non t’importava?

Corre voce che ci siano tre modi per giocarsi un patrimonio: donne, roulette, casa editrice. Sono tre amanti egualmente affascinanti e pericolose. Tutte e tre mi appassionano ma l’ultima è più prossima alla mia indole.

Mi puoi anticipare qualche titolo in uscita?

A gennaio un libro di poesie di Gilberto Sacerdoti e un saggio di sorprendente originalità sulla poesia di Montale di Francesco Zambon. Da febbraio ad aprile quattro titoli formidabili: Alfredo Rizzardi, Da una fessura di abbaino, con un saggio di Bianca Tarozzi; Giuseppe Elio Ligotti, L’alga del tempo, con un saggio di Fabio Stassi; Nico Naldini, Il mio solo fratello. Ritratto di Goffredo Parise, per cura di Francesco Zambon; Angelus Silesius, Il viandante cherubico, per cura di Gio Batta Bucciol.

Ligotti è il solo nome sconosciuto, un esordiente (classe 1946), si tratta di un poeta di grande respiro, capace di scrivere sonetti e di esprimersi in terzine dantesche alternate a fulminei epigrammi, un vero campione della lirica moderna, ironico e sfacciato, arguto e tenero, una vera scoperta di cui io, e tutta la redazione, andiamo fieri.

La poesia è considerata la Cenerentola delle lettere: non si vende, corre voce, e così tanti editori, sia pure di grande qualità, non vi dedicano tutta l’attenzione che meriterebbe. La mia è una scommessa Andrea Molesini

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